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A differenza dei precedenti volumi, apparsi nelle esemplari per dignità editoriale edizioni Genesi, nella Luce crepuscolare il discorso di Giovanni Chiellino non è monotematico, ma vario nei suoi interessi, che appaiono incentrati sulla metafisica della luce fino all’approdo supremo. Forse più che di “luce crepuscolare” si potrebbe parare di “luce dell’aurora”, tanto il testo è ricco di spirito vitale costruttivo, nonostante la disamina obiettiva del percorso terreno. Se in Tramonto la luce è oscillante e “l’anima vibra fra la sera e l’alba”, in Luce del mezzogiorno “la luce s’accende | dentro, nel profondo. | L’anima vibra, franano i silenzi, | chiusi recinti cedono”. Ma anche Luce crepuscolare si conclude con una constatazione positiva:

“Nella tua parola. Sillaba eterna. | Lega terra e cielo sul tuo labbro. | La freccia del tuo sguardo indica l’alba”. Originale è l’accostamento con la luminosità della lucciola (La lucciola e il fanciullo ): “ Col suo lumino acceso fra le dita | supera anfratti, supera fossati, | supera il nero manto che l’avvolge. | Un fulgore di stelle si dispone | Lungo traiettorie di cielo | e annuncia le vittorie del sole | allo sguardo incantato che si apre | nella sfera infinita del creato”.

La natura è cantata in tutti i suoi aspetti con ammirazione e competenza. Ma sono soprattutto i panorami marini che l’autore descrive, spesso con la levità di un acquarello, popolati dalle creature dell’acqua: “Arrivarono cavalli di mare, | portando criniere di luce | e gabbiani a stormo precipitarono | per azzurri sentieri sulla spiaggia” (Arrivi).

Il dettato, ricco, variegato, si vale di metafore che trasfigurano momenti di realtà, rendono da diverse angolature la ricerca sulle cose ultime. Si avverte il fine intenditore di poesia e di filosofia. L’avvio è dato dall’immagine di copertina che richiama il Dialogo fra la Terra e la Luna” di Leopardi con una velata allusione a Friedich. E l’autore può anche immedesimarsi nella terra con il peso della sua terrestrità in una sorta di epicedio: “Vino rosso-rubino, vino forte, | neve sulla strada e sulle porte. | Ai margini della sera io e la luna | abbiamo alzato calici e parole | scivolando lieti nella notte. | Oscillava la luna | nel cerchio del mio sguardo | e nel suo sguardo io ti cercavo | ma tu correvi oltre l’orizzonte | sopra l’onda del tempo che non torna. | Lieta è la luna quanto più è brilla, | tu non lo vedi ma io le giro intorno | per non morire della tua mancanza” (Vino per una perdita).

La donna a volte è protagonista, a volte compare per inciso, sempre in posizione di privilegio, proposta con stima e devozione. Il poeta è incantato dalle sue linee: “La linea del tuo corpo | mi confonde. | Da quale gioco di numeri | discende? |Viene dall’alto | porta misure e segni | dell’Universo. | Nelle coppe convesse | del tuo seno | nell’arco teso e dolce | del tuo ventre, | nell’arcana luce | del tuo sguardo, | s’indovina il profilo di Dio | e mi conquista | il tuo essere soglia | fra l’eterno e il tempo” ( La linea del tuo corpo). Ma l’attenzione sessuale verso la donna è esaltava dalla sua funzione procreatrice, con un rimando delicato al tulipano: “Dov’è la donna mia | che rassomiglia, | nell’occhio azzurro | e nel socchiuso labbro, | nel ventre che unifica | e divide, al tulipano | che mi sta di fronte” ( Il tulipano ).

Il poeta cita spesso le piante e soprattutto i fiori, che coltiva e cura con grande sapienza nel suo giardino. Essi spesso illeggiadriscono i suoi versi e gli offrono spunto per osservazioni e meditazioni terrene e divine. Ma a volte il canto si eleva in pura armonia descrittiva: “Hai il capo adagiato sulla luna, | se ti guardo dal basso, | il viso nella schiuma delle ombre | sopra gli abissi della chiara notte. | Con la mano nascondi, | solo un attimo, Castore e Polluce | se tenti archi di spazio | a imprigionare le ali del tempo | cadute sulle ruote delle stelle. | Il vento impedisce fra le canne | insidie di silenzio | e tu sollevi voli nei miei sogni | e sopra onda di secoli mi culli” (Paesaggio per Mara). La donna e la luce si confondono : “Il tuo corpo seduto sulle mie ginocchia | illumina la notte dei miei occhi. | Mai la luna sulle ginocchia del cielo | fu così luminosa” ( Il tuo corpo luminoso ).

La ricerca della luce induce anche il tuffatore, nella composizione ispirata dall’affresco di Paestum, all’ultimo tuffo: “ Si tuffa nel suo abisso | in cerca della luce | da dove un tempo fu espulso, | esiliato nel regno metaforico, nel gioco del non essere “ (La tomba del tuffatore ). Così si rivela, per linee trasversali, la ricerca d’infinito dell’autore.

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