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Dante Alighieri - l'essilio che m'è dato…

            La ricerca della verità e il senso della giustizia in Dante

A settecento anni dalla morte, si registra un rinnovato interesse per Dante, omaggiato di recente da Pupi Avati in un film che ne ripercorre la vita attraverso la figura di un altro poeta, Giovanni Boccaccio, suo ammiratore e primo biografo.

Sull’estrema attualità della poetica dantesca è incentrato questo saggio di Antonietta Benagiano che riflette sul senso della giustizia e sul disagio di chi paga con l’emarginazione la fedeltà ai propri principi e valori.

Dante non è stato il solo a essere condannato all’esilio. Ogni epoca ha annoverato personaggi colpiti dallo stesso destino (è il caso di Seneca, che esiliato in Corsica, si dedicò all’otium, agli studi) ma il Poeta appartiene a un secolo, il Trecento, in cui ci si sentiva davvero parte del luogo nel quale si era nati.

Due sentenze emesse nel 1302 – con la terza veniva sancita la condanna al rogo – costringevano Dante ad allontanarsi da Firenze e a peregrinare per le varie corti in cerca di ospitalità.

Sebbene l’accusa di baratteria (l’odierno reato di concussione) fosse infondata, Dante rifiutò di discolparsi perché un eventuale patteggiamento sarebbe sembrato un’ammissione di colpevolezza da parte sua.

E proprio nell’aver accettato l’ingiusta punizione (“l’essilio che m’è dato onor mi tengo”) risiede l’eroismo del Poeta, che pagò a caro prezzo l’appoggio dato ai Bianchi, fazione dei Guelfi contrapposta ai Neri e contraria all’ingerenza del Papa Bonifacio VIII, considerato il simbolo della corruzione morale della Chiesa.

Durante l’esilio la fama di Dante crebbe a tal punto che ci si propose di incoronarlo nel 1320 a Bologna con la ghirlanda d’alloro secondo l’antica usanza romana. La sua scomparsa nel 1321 a Ravenna vanificò questo proposito: la corona che il Poeta non poté ricevere da vivo gli sarà posta sul capo post-mortem.

La sofferenza per il distacco dall’amata Firenze si riflette nella Commedia di cui la studiosa pugliese sottolinea il carattere allegorico, soffermandosi sulla ricchezza e la varietà lessicale, sulla mescolanza di stili e registri linguistici che caratterizzano il poema dantesco.

Nei canti XXI e XXII dell’Inferno Dante giunge con Virgilio nell’ottavo cerchio dove lo attende il fosco spettacolo dei dannati che, immersi nelle pece nera, sono alla mercé dei diavoli posti a sorvegliarli. Giudicati colpevoli di baratteria, i condannati sono maestri nell’arte dell’inganno e riescono talvolta persino a gabbare i loro guardiani.

Pur essendo un punto di riferimento per la letteratura mondiale, non mancano i detrattori che vorrebbero escludere il poema dantesco dai programmi scolastici per una sua presunta oscurità e complessità. Di fronte al dominio del pensiero “unico” che ha indotto la stessa Autrice a non venire a patti con la Kulturindustrie, la poesia di Dante incarna l’essenza di un’italianità smarrita in quest’epoca caratterizzata da un’esterofilia dilagante e rappresenta un’ancora di salvezza di fronte all’inarrestabile imbarbarimento ideologico e linguistico.

Recensione
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