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Lo
spazio indeterminato di alcune strutturazioni scritturali di Laura Pierdicchi
nel suo recente Il tempo diviso, assume un livello di pregevolezza in
quanto possono ottenersi più modalità interpretative. Si avverte che c'è uno
spazio sottostante al di sotto della sua scrittura, che c'è un qualcosa che non
è possibile descrivere. Il tutto resta nella indeterminatezza. Emergono soltanto
riverberi. Lo stile raggiunto è compatto, è nel complesso uniforme. Gli
"oggetti" sono compiuti. Nella offerta del suo "se", della sua corporalità
scritturale e quindi psicologica possiamo avvertire una attenuata sonorità
lirica che tende verso un livello lievemente atonale; questo evento nei termini
della contemporaneità rappresenta anche un suo progredire. Per quello che vuol
dire Laura ci dà anche un tono, una atmosfera che ha carature seriose, raggiunge
un livello autonomo, ripeto, non più totalmente lirico, non più tonale. La
scrittura ha corpo, ha una sua corporalità: ottiene un muro mobile di parole in
movimento dinamico. Che sia un muro gentile?
Tutta la struttura è coprente di un vitale materico nulla che,
come avverte Gio Ferri nella premessa, potrebbe essere DIO. Io credo invece che,
per altra meno profonda misura, la vera causa di questa scrittura necessaria
possa essere la RES e cioè la COSA che risiede nel fondo inquieto dell'abisso
che è dentro di lei. La motivazione non visibile perché lei deve scrivere, il
suo IO sconosciuto e non conoscibile oppure possono essere i riverberi di un DIO
non visibile in quanto ha deciso di non farsi vedere. Non so il motivo perché mi
torna alla mente il triangolo delle "Pasque" di zanzottiana memoria:
I O D I O
O D I O
D I O
I O
O
Venezia, 20 febbraio 2009
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Recensione |
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