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Laura Pierdicchi, veneziana, come si chiarisce in quarta di copertina, ha
pubblicato finora sette volumi di poesia. Premi e riconoscimenti ben meritati
hanno confortato le sue opere. Sue liriche figurano in antologie e periodici.
In
queste pagine di "momenti" e "diversi" in cui l'elemento poesia vuol essere
sotteso alla diversità del contenuto e dell'ispirazione che trova ogni volta,
altro paesaggio psicologico, altro realismo e soggettività intrinseca, la
Pierdicchi ci presenta settantaquattro liriche senza titolo, in cui sono
rifiutate tutte le possibili lettere maiuscole, sicché il contesto appaia
livellato al quotidiano d'appartenenza, all'urgenza senza limiti e senza
speranza della ricerca del bene, del bello, del grande che, a proposito della
nostra vita, siamo soliti definire felicità. Tempo e spazio, il pensiero
relativo e l'assoluto con il quale si confronta, appaiono sul piano sfalsato
dell'intuizione sensibile, come ricerca tormentosa del significato della
perdita, dell'assenza, del dolori.
Il presente è la struggente bellezza dei giorni che ci inventiamo di volta in
volta, quindi "l'emozione va vissuta | tutta e subito..." (p. 13), prima che ne
sfugga il significato e la valenza. Nella temperie della civiltà
postindustriale, quando il bisogno di ritrovare una misura interiore per dare
significato all'esistenza, appare più che mai di difficile attuazione, l'autrice
partecipa della fugacità dei giorni, dell'ansia inarrestabile di un progresso
senza sviluppo: "il tuo lento passo nasconde | una corsa impazzita d'ideee | che
devi frenare | che non sai districare | prigioniero di regole imposte | che non
riesci a rimuovere".
Quei valori che adornavano le giornate degli esseri umani in una socirtà
dinamica che si poneva scopi costruttivi e riconosceva al percorso vitale la
validità di un'impresa meritevole d'eroismo, non sono più che vaghi ricordi che
si perdono nel buio del tempo. L'amicizia, l'affettuosa partecipazione al
dolore, il medicamento della malinconia, il rapporto reciproco, anche con le
limitazioni necessarie e persistenti, ormai obsoleti, lasciano vuoti
incolmabili.
Nessuna teoria potrà mai riportarli in vita, se non nascono nel cuore degli
uomini. E, come è noto, l'attuale crepuscolarismo, nelle arti, oggi è privo
finanche di quella tenera nostalgia del passato. E si realizza, infine, in una
resa poetica chiara, in un'apparente semplicità discorsiva del dettato: "...sono
in questo caldo rifugio | mentre una civetta mi chiama | e s'infiltra un brivido
nel silenzio | dei piccoli intervalli – anche la luna | oltre il vetro mi guarda
infreddolita – | solo per me dentro di me a cercare | e contare le briciole del
giorno | – dopo le deposito per lasciare | una traccia – un significato | di
questo mio limitato passo | anche se goccia di diluvio oppure | singolare
granello di deserto" (p. 74).
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Recensione |
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