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Ruffilli: una tragedia in versi
Poesia
quale arte del pensiero. Quando la realtà diviene evanescente, si trasfigura, è
superata e compresa dalla conoscenza metafisica. E la metamorfosi guida verso l'
ascesi, quella luce splendida e cosciente che ridà vita e consapevolezza alla
nostra memoria. Nella sua ultima raccolta poetica La gioia e il lutto,
sottotitolo Passione e morte per Aids, Paolo Ruffilli narra di un calvario
sereno, certo comunque che il confine fra vita e morte sia solo un' illusione.
Un'elaborazione del lutto che si compie attraverso l' elegia del dolore, mentre
dal testo emergono voci, apparentemente anonime, che via via si rincorrono,
alternandosi (quella del giovane morente, di padre, madre, amici e amante), a
sottolineare che la condivisione della sofferenza dà forza a chi sta morendo e a
chi lo assiste. Sondare il mistero del morire è il compito che si è scelto il
poeta: la morte non è cosa terribile, ma un' esperienza che accomuna e il dolore
può essere la via per raggiungere la beatitudine.
Verso dopo verso, Ruffilli
conduce quasi per mano il suo moribondo in un al di là mentale, che stempera la
tragedia in un senso di pienezza esistenziale, di gioiosa saggezza, fino a
scommettere sul futuro dell' uomo e sulla continuità della specie nello
scoprirsi individualmente e collettivamente figli di una catena ininterrotta di
generazioni. Ruffilli utilizza versi medio-brevi, dal quinario al settenario, e
fa ampio uso della rima quasi fosse un bastone, sul quale la lettura del poema
sia in grado di trovare un adeguato sostegno. Una lettura che si sostanzia
appieno soprattutto se fatta ad alta voce. Ciò pare preludere a una possibile
versione teatrale di questo diario privato.
Per Ruffilli l' Aids è solo un
pretesto per raccontare la sua esperienza diretta. La conoscenza di cosa sia da
un lato assistere malati terminali e dall' altro «vivere» la propria morte. Il
poeta, infatti, nel 1982, quando aveva 33 anni, venne ripescato a Fano quasi
annegato. Lì, in coma, spettatore di se stesso, entrò in uno stato di
beatitudine assoluta. Ora il suo poema, composto tra il 1987 e il 2000, vuole
insegnare che «senza la morte, no,/ non ci sarebbe/ né sorte né destino... senza
la morte/ non ci sarebbe niente/ né società né storia...».
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Recensione |
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