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Dopo avere gustato il recente volume lirico di Lilia Slomp Ferrari: All’ombra delle nove lune, sento l’urgenza di scrivere alcune impressioni di lettura; contemporaneamente, avverto la responsabilità della parola, di mediare fra il poeta e il lettore. Credo che per penetrare il cuore dell’opera sia opportuna un’attenta marcia d’avvicinamento per cogliere le motivazioni essenziali: il luogo e il tempo in cui si fa la poesia, la sensibilità dell’autore, la sua capacità di aderire alla realtà e di superarla. E mi chiedo cosa significhi scrivere versi. Mario Bebber, l’indimenticabile poeta di Levico, afferma: "Scrivere versi è come | denudarsi. | Scrivere versi è come | fmire d’incontrarsi. | Scrivere versi è come | semplicemente fmire". Più prosaicamente di lui, mi limito a dire che scrivere versi significa percorrere un tratto del cammino esistenziale e poetico. A quale altezza si possa arrivare non so proprio, quello che so è che l’altezza poetica non dipende dal numero dei versi. Basta una sola raccolta per oltrepassare le comete, se si ha la capacità di lanciare al cielo la propria anima. Lilia di cammino ne ha fatto parecchio, saltabeccando dalle mulattiere erbose del dialetto: En zerca de aquiloni, Schiramèle, Amor porét, Striarìa ai prati luminosi della lingua: Nonostante tutto, Contro canto, Leggenda e ora: All’ombra delle nove lune.
Parallelamente, a questo motivo viene affiancato quello delle nove lune, che scandiscono la crescita della creatura fra le angosce, le paure e le insicurezze della madre, approdando infine a una visione di serenità. Si registra un cambiamento radicale poiché questo è il periodo di transizione in cui la donna diventa madre, che prevede una serie di conflitti interiori, a causa di una rivoluzione del fisico e della psiche. Affiorano, pertanto, sentimenti irrazionali e contraddittori, memorie sepolte insieme a una febbrile attività fantastica e onirica. La donna sente che, venendo meno la perfezione delle forme, scema l’attrazione sessuale; così, ella non accetta il proprio cambiamento né, inizialmente, accetta la propria creatura. Il seme che sta per svilupparsi è avvertito come un corpo estraneo, la donna inizia a percepirlo nei ritmi del sangue, nel brivido dei movimenti. Alla quarta luna avviene un’altra trasformazione, che si realizza nel sogno del figlio da parte della madre, mentre alla quinta luna si concretano l’accettazione del figlio e le soavi fantasie sul suo futuro.
Tutto questo fa parte del mistero della maternità e lascia spazio a stadi di nostalgia dell’infanzia e della ragazzità, racchiusi in una raccolta che si snoda fra momenti di chiarezza e di oscurità, d’immagini simboliche subito interpretabili, di metafore evidenti e altre non immediatamente comprensibili. È questa un’opera di notevole introspezione, in cui durante l’attesa, il fantasticare intorno al figlio è dominante; altrettanto lo sono l’accettazione del frutto della violenza e la celebrazione della maternità, che porta in sé l’atto salvifico di recupero dell’innocenza e di ricostruzione della verginità spirituale. Persiste il contrasto di sentimenti che dà movimento alla silloge, caratterizzata dall’interscambio di figure dense di fisicità con altre aeree di fantasie e d’idealità.
In filigrana ritorna il tema della violenza; a questo proposito, è interessante l’interpretazione dell’autrice che, alla mia domanda da dove le venga tanto furore, precisa: "Dalla rabbia contro l’uomo per la sua stupidità e ignoranza, oltre che per la poca voglia di penetrare il mondo femminile. L’uomo è più aperto al mondo esteriore e al proprio io". Dopo una lunga pausa, soggiunge: "Diversamente dall’uomo, la donna ha la capacità d’inventare l’altro, di costruire la vita. Per fortuna, non sono tutti così gli uomini, ci sono molte eccezioni". Ecco, sorgere la sesta luna, composizione che ha una musicalità diversa dalle altre, ricca delle vibrazioni del sangue. Più prosegue la gestazione, più s’accresce l’innamoramento della propria creatura che, alla fine, inglobata nella carne e nella linfa della madre, diviene un tutt’uno con lei. Allora, l’amore di sé s’identifica con quello del figlio, in più, si accresce il senso di pienezza e di completa realizzazione dell’essere. Continua anche la navigazione nel mare esistenziale fra i sogni e le fantasie del futuro, che disegnano l’arco della vita del figlio, non privo d’incertezze e di sbigottimenti.
È qui contenuta la premonizione del dramma che si compie all’apparire della nona luna, quando invece della gioia della nascita, esalano l’angoscia della morte prematura e una collera feroce.
La madre esplode in un urlo lacerante alla maniera jacoponica, nella scia del Lamento della Vergine per la crocifissione di Gesù.
Il volume è pavesato d’immagini e, contemporaneamente, è attraversato da un’onda sonora di fremiti e battiti, di respiri e sussulti, di palpiti, di tonfi e scalpitii che la donna avverte nel proprio ventre, così come la creatura percepisce il flusso del sangue materno. Questi rumori si alternano a quelli del mondo esterno, ai suoni-rumori dei galoppi, ai rombi di tuono, agli scrosci, alle cadenze della grandine, ai miagolii, all’irrompere improvviso di un notturno di Chopin. Nella Prefazione all’attuale silloge, Paolo Ruffilli afferma" Una poesia sospesa tra la natura, con i suoi elementi vivi, in carne e ossa, e la parola immaginosa e concreta ispirata dal naturale spirito religioso che aleggia dentro il mondo e che sembra colmare il dilagante vuoto di Dio". All’ombra delle nove lune è la raccolta della maturità di cui la Slomp Ferrari va giustamente orgogliosa, una raccolta densa di poesia come un favo di miele. Alla fine di questa lettura mi pongo un’altra domanda: se il poeta è la sua poesia, più semplicemente mi chiedo se l’autrice s’identifichi con All’ombra delle nove lune. In parte sì, solo in parte, perché la poesia è la sublimazione degli aspetti concreti e spirituali che intessono la quotidianità, in contrapposto la vita è un vortice melmoso e sublime che trascende la poesia. Di certo, in questa silloge lirica traspare in penombra il volto di Lilia. Infine, All’ombra delle nove lune, un alto canto tramato di emozioni viscerali, d’istinti e di razionalità, rappresenta la gioiosa e drammatica realtà dell’esistenza, sentita e pensata come un’esaltante divinità. Cà Quadre di
Sant’Omobono Imagna |
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