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L'angolo di Mara

La vita può riservarci infinite sorprese ad ogni angolo. Da un istante all’altro, il tuo quotidiano può essere sconvolto da fatti imprevisti ed imprevedibili: un terremoto, uno tsunami esistenziale, per usare termini di drammatica attualità.

Antonia Arslan, laureata in Archeologia, ha insegnato Letteratura italiana moderna presso l’Università di Padova ed ha scritto rilevanti saggi sulla narrativa popolare e sulla scrittura femminile italiana fra Otto e Novecento e ha tradotto, nei trascorsi anni ’90, le opere, tra le quali l’incompiuto Il canto del pane, dell’illustre poeta Daniel Varujan (1884/1915), massimo rappresentante del breve Rinascimento armeno (1908/1915), pugnalato a morte durante il Metz Yeghern, il Genocidio del popolo armeno perpetrato dai Turchi, principalmente nel 1915, e da questi ultimi mai riconosciuto come tale. Attraverso siffatta emozionante esperienza culturale ella ha riscoperto la sua profonda identità armena: il nome della famiglia d’origine è infatti Arslanian. In tema ha dapprima curato un libretto di carattere divulgativo sul Genocidio armeno e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia (2001), indi ha pubblicato il primo romanzo, La Masseria delle Allodole, edito da Rizzoli, tradotto in ben quindici lingue, che le è valso il Premio Campiello 2004. Grazie al romanzo la scrittrice ha conseguito diversi altri riconoscimenti (come il “Premio letterario della Poesia Religiosa” e il “Premio del Libraio, Città di Padova”); inoltre, quattro anni fa, i Fratelli Taviani hanno tratto dal romanzo uno struggente, stupendo film, che ha segnato il loro ritorno all’attività dopo un periodo di assenza. La seconda opera, La strada di Smirne, uscita nel 2009 sempre con Rizzoli, ne è l’ideale, drammatico seguito.

E’ stato poco dopo la pubblicazione di essa che, come ci racconta l’interessata, Antonia è ricoverata, la notte tra il 12 e il 13 aprile 2009, al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Padova, con lancinanti dolori alla schiena. La diagnosi giunge veloce: shock settico da calcolosi renale. I medici, consci del grave pericolo, la trasportano nel Reparto di Rianimazione, chiamato Istar 2, e la mettono in “coma farmacologico”. La ripresa avviene dopo molti giorni; seguono il ricovero in Urologia, dove, qualche tempo dopo, le viene asportato il calcolo all’origine di tanto dolore. Una volta dimessa, segue una lunga e paziente convalescenza, poi il riacquisto della salute.

Dal notiziario on line di un quotidiano avevo letto la notizia di quanto era accaduto alla scrittrice; poche righe veloci e fredde, alle quali, nei giorni successivi, era seguito il silenzio. Interpellati alcuni amici padovani, ero stata poi rassicurata che il peggio era passato.

In un tardo pomeriggio dello scorso gennaio, dopo aver assistito alla presentazione di La sfida di Amalia di David Kertzer presso la Libreria Ambasciatori di Bologna, mi aggiravo tra i numerosi scaffali che popolano i tre piani di questo luogo, recuperato alla vita grazie all’intuizione e all’impegno di un gruppo di persone amanti della cultura vissuta. Ricchezza di immagini, suggestioni, colori (e sapori).

L’occhio mi cadde ben presto su Ishtar2 Cronache dal mio risveglio, un libretto simile ad un quaderno di scuola, in color verde chiaro, con costola nera e, sulla copertina, un paio di rose rosse come possono apparire a chi ha la vista vagamente offuscata: la testimonianza scritta da Antonia Arslan sui suoi “giorni terribili”. Vicino a me c’era il Prof. Gerardo Martinelli, per circa quarant’anni Direttore dell’Istituto di Anestesiologia e Rianimazione del nostro Policlinico Sant’Orsola, uomo di grande competenza ed umanità, al quale sono grata per diverse ragioni personali, a cominciare dal fatto che mi aiutò, a suo tempo, a vincere -se non del tutto, almeno in larga parte- quel vago terrore che mi coglieva ogni qualvolta dovevo sottopormi giocoforza ad anestesia totale, prima di un intervento chirurgico.

Il Professore era intervenuto nel dibattito, suscitato dalle tante tematiche trattate da Kertzer, confessando, a proposito di storie, per così dire, di carattere medico, qual è quella di Amalia, che avrebbe avuto un’infinità di vicende da raccontare.

“Ecco un’esperienza diretta di vita” gli proposi porgendogli il libretto della Arslan. Lo sfogliò con curiosità, mentre gli rammentavo chi fosse l’Autrice. Entrambi lo acquistammo.

Ho letto il libretto e ne sono rimasta affascinata perché non è facile raccontare con tanta efficacia espressiva e coinvolgente quei giorni di (forse solo apparente) incoscienza, in un luogo, Istar 2 (cioè l’Unità di Terapia Intensiva dell’Istituto di Anestesia e Rianimazione dell’Università di Padova), la cui denominazione è, per magica coincidenza, l’italianizzazione di Ishtar, la Dea del Pantheon assiro. Ishtar ha un carattere duplice: dispensa la vita, ma ne è pure la distruttrice. Dea della Luna: quando è crescente, tutte le cose si sviluppano, quando è calante, pare che muoiano. Ma ciò non è definitivo, perché la luna crescente torna di nuovo, l’oscurità cede di fronte alla luce.

E così sarà per la nostra scrittrice.

Il mondo circoscritto dell’ospedale diviene, a seconda dei momenti e degli stati d’animo, un “solitario castello sull’isola, a picco sull’oceano”, in cui si muovono silenziose presenze oppure un giardino dall’erba soffice.

Con una prosa ricca di immagini soffuse, capace di trasportarci in un infinito di cui conosciamo ben poco, potendolo solo intuire, Antonia ci comunica il suo mondo interiore che diventa via via nostro. I ricordi d’infanzia che affiorano….Le scene indimenticabili di ogni giorno in famiglia. Il papà chirurgo, Khayël, che tornava a casa con la cravatta macchiata di sangue, suscitando le ire della mamma perché in sala operatoria non se la toglieva. Alle rimostranze di lei, egli rispondeva col silenzio “aspettando la sua minestra caldissima, con la fetta di pane da intingerci dentro già in mano”.

Il desiderio – e l’illusione – di stare già bene cedono spesso di fronte alla consapevolezza dei propri limiti. Allora è piacevole farsi curare ed accudire da mani amiche ed abbandonarsi fino a dormire: immagini di rara poesia, simili a un canto: “Ruscellava una tiepida acqua sulle mie tempie e sul viso….”.

Sogno e realtà si mescolano: il dolore, le attenzioni di medici e infermieri, la paura, specie del buio e dell’ignoto, il terrore…di non riuscire più a scrivere. Che fare quando le poche lettere che riesci a tracciare escono sghembe ed oscillanti e scivolano “giù per la pagina” senza che sia possibile fermarle? All’improvviso le tornano in mente dei versi. Ad essi si aggrappa: sono l’incipit della smagliante preghiera di Dante alla Vergine, nel canto trentatreesimo del Paradiso. Quei versi gliene fanno rammentare altri ed ella si ritrova in un “Medioevo limpido e colorato”, vissuto diversi anni prima, in luglio, a Cluny. Momenti di gioia lucente.

Ancora, angoscia e forte rimorso per non essere riuscita a salvare chi si era prodigata tanto per lei. Ma era solo un incubo, presto svanito.

Poi pian piano…Le persone più vicine una notte le portano un pezzo di torta e un caffè, illuminati da una candelina. Da tale gesto ella intuisce che il peggio è passato: all’indomani verrà trasferita in Urologia, nell’attesa dell’intervento chirurgico risanatore
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