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Roma Leggo di letteratura e di ciò che si produce sul 38° parallelo, quello centrale della Sicilia. Ho una certa idea e non si capisce granché della produzione letteraria di un’epoca, e specialmente quella dei nostri giorni, ove si procede solo per “vette”, per realizzazioni supreme, per opere vastamente riconosciute e premiate, per “capolavori” insomma. Credo invece che la letteratura sia una vasta vegetazione in cui l’arbusto non è meno importante della quercia, di quelle che dalle nostre parti si chiamano “nanne” per dire che sono longeve e possenti. Leggo quest’estate il libro di Giunta e lo raggiungo subito perché intanto apprendo di un suo caso che mi ha messo veramente in agitazione e perché volevo accertarmi di quanto di immaginario ci fosse in quella prosa (A Palermo.. un giorno di agosto) ed apprendendo che di immaginato non c’era nulla mi rallegro con Giunta profondamente ch’egli avesse potuto per un filo raccontare una vicenda che nessun altro avrebbe raccontato come lui. Poi quei nomi, S. Marco D’Alunzio, questo paese incantato! Quando a Roma vado a S. Maria in Via Lata e vedo il rosso S. Marco mi sento anch’io accompagnato in questa lunga vacanza romana che dura da trentatre anni (ma sempre vacanza è) da cose preziose, da gemme, da pietre da cui queste colonne monolitiche che vengono da S. Marco; paese dove il tempio antico fa ancora, come a Roma, da struttura alla chiesa. Colonne appena appena tamponate che sono diventate Chiesa!
Questo giro largo non vorrei che fosse un modo di eludere, di richiamare l’attenzione su questi racconti di Giunta. A me Giunta interessa, lo dico francamente e lo ha detto Sansone, come letteratura minore dove minore non è affatto un titolo di demerito. E mi interessa anche come letteratura “Altra”, come dicono gli storici della letteratura. Giunta avrebbe potuto ancora ascendere per i gradi della sua attività in un settore importante; altamente remunerativo della vita economica, nazionale, ma non l’ha fatto; gli bruciava di dentro una fiamma. Aveva bisogno di tutto il suo tempo per fare ciò che gli piaceva fare: scrivere. Ricordo un pensiero di De Musset:“(...) la vita è un sogno della giovinezza che si realizza nell’età matura”. Giunta aveva da realizzare questo sogno ed io m’inchino reverente e commosso dinnanzi a vocazioni di questo genere, così sincere. Giunta non è un insegnante, non ha un mestiere che lo obbliga, per così dire, a tirare la mola, la macina, a produrre il libro che andrà, a scriverlo secondo i moduli, ohimè, dell’usa e getta. No! Strappa alla routine della quotidianità questo lembo di paradiso e lo indossa come un mantello. È una cosa bellissima ed io sarò sempre felice di ripetere tutte le volte che mi capiterà un giurista che diventi un grande scrittore, un medico che riveli la qualità di questa passione, di questo tormento. E così il prefetto, così l’uomo di mondo (cosa che in Francia è molto più frequente che da noi). E Giunta ha antenati illustrissimi a questo riguardo. Tolgo il superlativo quando parlo di Eliot. Questo mi commuove e mi esalta e mi mette in un certo stato d’animo perché, e sono felice che l’abbia detto anche Sansone, questa è la corda pazza. Voi vedete qui questa figura mite, con quest’aria assolutamente innocente e tranquilla, ebbene in lui vibra la “corda pazza”. Quando lo ricoverano tra la morte e la vita cosa dice di essere: “scrittore”; lì non si esita, non si mentisce. Scrittore! Questo confida. Aneddoto: Carlo Ponti gira un film in Sicilia, non so cosa, a Noto. Con l’aria dell’uomo di finanza, di quattrini, domanda: “Ma voi qui, a Noto, come vivete?, che cosa si produce?, quali risorse avete?” E coglie un poco tutti di sorpresa; li mette in imbarazzo, finché qualcuno, che poteva farlo autorevolmente, risponde: “Qui si producono soltanto intellettuali”. Ecco! Torniamo rapidamente sul libro con una notazione corsiva, notazione relativamente “ad estrinseco”, che non avrà mai la tecnicità di cui abbiamo avuto qualche minuto fa documento insigne del magistero, sempre così composto e vigile, del nostro caro Mario Sansone e come certamente fra qualche minuto ci dimostrerà di sapere trattare il libro, dico con quale perizia tecnica, Walter Mauro. Io faccio la notazione del lettore comune, che è poi quello che decide la sorte dei libri: nel libro si sente quello che ha detto Grisi e meno Sansone e cioè che la raccolta procede per strati e che per strati l’omogeneità non si è perfettamente verificata, stabilita. Non solo, ma l’autore ha anche voluto movimentare la scena e quindi nella raccolta noi troviamo la parabola, l’apologo e in qualcuno di questi racconti troviamo anche la suggestione ironica, come è stata perfettamente già segnalata, e troviamo il documento. Tre linee di composizione quindi: la parabola come ne Lo schiaffo. Ecco un racconto veramente condotto, vorrei dire tessuto con il filo della parabola. Certo non è un filo sottile; è la classica annodatura a nodo grosso. Questa è un’osservazione, tutto sommata, positiva perché io credo in questa applicazione letteraria di Giunta, visto che è così profonda, appassionata e redditizia perché ormai non è più una prova. Egli ha scritto romanzi, ha scritto in versi, ha scritto tante cose e continua a scrivere. Allora siamo alla vigilia, perché siamo sulla traccia di uno stile che si forma, che si può formare, che si deve formare. Ciò che Sansone ha chiamato “stile familiare” io lo qualificherei con una nuance leggermente diversa, direi “il parlato” che nel racconto Veramente, Laura ed io il parlato raggiunge effetti veramente straordinari, che sono già di stile. Mi domando perché solo lì? e siccome voglio essere preciso e concreto dico: non v’è nessuna ragione al mondo se non per una rinunzia inesplicabile che in una pagina, tra capoversi e non capoversi, ci siano periodi con Francesco. Questa è una negligenza inesplicabile ed inaccettabile perché non è calcolata come clausola, ma è sfuggita, è un semplice meccanismo. Quindi la parola non si è redenta! Concludo, mostrando in concreto che io ho un’intervista di uno scrittore che tiene le classifiche, ch’io non leggo, e che ha vinto lo “Strega”; Consolo. E qui faccio una considerazione esatta su quello che Consolo è. Una precisa teorica: il rifiuto della parola comune, il conflitto tra la parola televisiva, funambolesca, che Consolo giudica con orrore, ed il laboratorio, l’alchimia del termine “brillantato”. Questo fenomeno, questo processo di “brillantazione” della parola. Ebbene il destino di questo libro di Consolo, uscito recentemente dopo Retablo, non è quello dei libri che il comune lettore consideri tra i suoi preferiti. Ma proprio no! Perché non c’è aggettivazione in quel libro che non si triplicai, che non si quadruplichi per semplice fenomeno di ripercussione fonetica. Un’aberrazione! Oggi si compilano nel programmatore i libri per vincere anche il Premio Strega! A questo punto ci saranno pure scrittori che hanno soltanto parole di terra; lo dico pensando a Seneca quando faceva le sue riflessioni profonde sul vasellame della terra, ma sentite quell’odore di terra quanto bene fa al sangue! Grazie. |
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