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Dichiarazione di poetica

Premessa alla Antologia
Poeti della Toscana
a cura di Alberto Frattini e Franco Manescalchi
Forum – Quinta Generazione, Forlì, 1985, pp. 238.

La dichiarazione di poetica, da parte di un autore, è un impegno, un vincolo che corre sempre il grosso rischio di essere violato, contraddetto. La continua verifica a cui l'uomo e il suo patrimonio culturale vengono sottoposti nel tempo rimette in discussione dogmi e sbriciola certezze, fa saltare i reticolati di quell' hortus conclusus entro cui spesso il poeta (adopero qui e altrove il sostantivo, riferibile a chiunque «crei» qualcosa e non soltanto al «facitore di versi»), crede di essere al riparo da ogni assalto del tempo.

È quindi velleitario pretendere di stabilire canoni, annunciare griglie di comportamento senza tener conto di questo elemento labile, di questo quid che è l'imponderabile sotto le cui grinfie ciascun poeta deve passare.

Certo, vi sono direttrici che difficilmente subiscono macroscopiche deviazioni, linee sostanzialmente costanti nell'intrico della foresta delle seduzioni intellettuali. Al di là di ciò, il lavoro del poeta ha bisogno di incessanti verifiche, proprio perché ad alimentarlo non sono le certezze (intellettuali o esistenziali) ma le inquietudini e i dilemmi nei quali, sia a livello personale (o anche generazionale), sia a livello sociale (come parte di un tutto) si dibatte.

Credere di poter spiegare come e perché nasce una poesia, per esempio, è assurdo, dato che il poeta sa (quando è poeta) che l'interpretazione critica che egli dà alla sua produzione è solo uno dei tanti modi (o modelli) interpretativi cui l'opera medesima può essere sottoposta e perciò stesso continuamente riverificabili.

Il poeta tenta di dare un ordine al magma incandescente che gli ribolle dentro, alla bestia salvatica che lo azzanna di continuo, lo dilania e lo pone in ginocchio. Più volte, in questa dura battaglia, si dichiara vinto. Ciò che riesce ad esprimere, adoperando lo strumento linguistico (o anche i suoni, i segni iconici, le rappresentazioni visive, ecc.) è solo un vago fantasma di ciò che realmente sente. Il senso di frustrazione è talmente grande da ridurlo al silenzio, all'angosciosa attesa che l'attimo illuminante o salvifico scatti come per magia e lo liberi da quella prigione di impotenza nella quale si sente soffocare.

Ma il poeta non è un eletto, forse non è nemmeno vero che abbia una sensibilità maggiore o che sia migliore di altri uomini, come pare abbia dichiarato Gore Vidal a Roma a una manifestazione pacifista. È soltanto un uomo cui non è dato essere se stesso fino alle estreme conseguenze. Spesso tra il poeta e l'uomo corre uno iato che la ragione non riesce a colmare. È per questo che talvolta può succedere che dichiarazioni di poetica in realtà altro non siano che dichiarazioni di estetica, risvolti infruttuosi di quel fantasma di ratio al quale l'uomo cerca di appigliarsi, ma dal quale il poeta non riesce a ricavare il classico ragno dal buco.

È la corsa dietro l'ombra del proprio disaccordo, la forbice che si allarga nella dicotomia fra essere e sembiante, il punto di rottura posto nell'attimo di intersezione in cui l'uomo/poeta tenta(no) l'impossibile amalgama.

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