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E-Marginati

Da reminiscenze scolastiche, la E è sempre stata una congiunzione; se guardiamo nel vocabolario, fra le varie attribuzioni, la E, in sintassi è specificata come la più comune fra le congiunzioni, ha funzione aggiuntiva, ossia serve ad unire due parti del discorso, e, qui mi fermo, per tornare a ciò che ritengo voglia, nella fattispecie, esprimere: un uso rafforzativo, dato che Marginati si commenta da solo: essere ai margini o messi ai margini.

In effetti, i protagonisti di questo nuovo libro di Anna Maria Guidi, non sono semplicemente persone, ma individui di una particolate estrazione sociale, di un certo tipo di vita, di lavoro, di costume.

Per ciascuno, sotto al titolo della lirica, viene evidenziata la loro precipua caratteristica, o meglio il tratto capace di contraddistinguerli per dare voce a una poesia cruda, potente, graffiante, la quale si avvale di neologismi, credo coniati all’uopo, per rafforzare il dire.

In realtà l’impatto è sconvolgente anche in funzione dell’uso di termini rurali, contadini come pregna, in “Anacleto”, il sudor della pezzola, le grazie negate alla viril possa, che uniti all’immagine delle cinque figlie che ruzzano la fame con gli animali del cortile, ci rende lo spaccato di un tempo, fortunatamente lontano, quando nascere femmina era un fardello, una disgrazia. Il tempo nel quale l’uomo era il padrone assoluto dell’anima e del grembo di una donna.

Nel proseguire questo crudo viaggio, troviamo “Angiolo” stanco del vivere e di combattere la vita come fosse un nemico, colpito dalla feroce malattia del fratello che in tre mesi lo ha portato alla tomba che mi schianti di botto… / e un ci si pensa più.

Troviamo “Arlindo”, pescatore senza rete che non sa dove andare senza voce alla foce….

Nel proseguire in questa galleria di personaggi che insistono dal Mugello al Valdarno fino a Firenze, emergono desolanti e desolate figure come “Elvira”, colpita da un male inesorabile, dramma che diviene tragedia umana quando al disamore si aggiunge l’ignoranza e la miseria.

Altri nomi, altre storie: “Evelina”, “Ezdir”, segue “Foresto” per il quale la bestemmia, come diceva Curzio Malaparte, è un atto di devozione e di Fede. “Lina e Lisa”, madre e figlia legate da chi sa quale sordido segreto.

“Nonna Luisa”, anche lei come la sua casa bianca in riva al fiume appartata e silenziosa: isola ingloriata / di silenzio e di pace…: commentare questa poesia vorrebbe dire di sciupare, corrompere un pezzo di cielo.

Una silloge, dunque, densa di personaggi ognuno con la propria storia, il proprio vissuto, figure anche patetiche come “Giuliana”, tenere come “Rina”: figure spente nelle nebbie del vivere, oppure bramose di quella che il Verga chiamava la roba.

Sfilano davanti ai nostri occhi in una panoramica che mette a nudo “nudità segrete” (squallore di grette ambizioni, vizi, incorretti e incorreggibili) messe in evidenza non solo dalla capacità espressiva di Anna Maria, ma anche dalla sua capacità di osservare, sia pure con un certo distacco.

L’effetto sorprendente non lascia spazio a nessuna emozione che non sia “quella” verso la quale ci spinge la versificazione.

Veniamo dunque in contatto con individui senza speranza, senza risorse interiori o sociali, ma soprattutto senza remissione, redenzione o riscatto, il che fa di questa silloge una ”Antologia di Spoon River” al contrario, rendendoci una poesia verista, che parte dalla sofferenza di un mondo relegato ai limiti della città, dove grida il dolore, la rabbia, la miseria: questo mi ricorda una frase di Don Primo Mazzolari: I destini dell’uomo maturano in periferia.

Ma mentre in Edgar Lee Master si ravvisano alcuni spunti alla comprensione, alla giustificazione sia pure personale, ad un esame di coscienza sia pure a posteriori. -sono i personaggi stessi, ormai defunti, a scrivere il proprio epitaffio: Dare un senso alla vita…/…ma una vita senza senso è la tortura…/ …voi non vedeste mai / il mio lato in fiore., in E-marginati, invece veniamo in contatto con una umanità sfibrata, bloccata in un fermo immagine guardato da occhi impietosi, che non ritiene di trasmettere carità e pietas, ma li fissa proprio nell’attimo della loro bruttura, del loro abbrutimento.

Questo libro non è certo fine a se stesso, ma suscita vari interrogativi, che conducono a considerazioni etico-sociali importanti, per cui diviene un libro di denuncia e di condanna per situazioni di degrado ambientale, morale, sociale e di profonda ignoranza.

In tutto questo e di tutto questo, trovo conforto nella splendida lirica di apertura della silloge, che stempera il senso di impotenza e di caducità, ma anche di imbarazzo e di vergogna che ho provato o che mi è stato trasmesso da alcune letture come ad esempio “Ezdir”.

Ho capito di essere fortunata figlia di un “Dio maggiore” non solo misericordioso, ma anche Padre amorevole, poiché: Nè condanna e condona, ma soprattutto perdona, e sono felice e grata che anche Anna Maria possa dire in preghiera: …mi tendi la mano/padre mio ritrovato / E giammai più ti perdo / stella fissa che luce e non cade.

Recensione
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