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Luce crepuscolare

Sebbene sia meno strutturata rispetto ad alcuni dei libri precedenti, dove prevaleva una tendenza poematica per di più sostenuta da tematiche forti, quest'ultima silloge di Giovanni Chiellino, Luce crepuscolare, non è semplicemente una raccolta di liriche sparse, ma mostra anzi un nucleo ispirativo unitario e offre anche qualche segreto legame sotterraneo a ribadire una genesi sostanzialmente omogenea. Due le sezioni e piuttosto ampie, eponima la prima, mentre la seconda, Pusilla, nonostante il titolo riduttivo che allude a 'piccolezze' o 'cose da nulla', non si allontana dai motivi svolti nella precedente, che al contrario sviluppa e approfondisce: prima di tutto l'intensa figura femminile che sembra emergere dal passato e vivere nel ricordo soffusa di luminosa bellezza, ma ancora occupa il presente e accende i sensi, e poi la stessa poesia che si incarica di cantare questa bellezza, di celebrare le opere e i giorni altrimenti destinati a perdersi per sempre, gli affetti familiari e i luoghi che si sono incisi nell'anima, opponendosi all'inesorabile trascorrere del tempo. Ne deriva una continua tensione verso l'eterno, tema molto caro a Chiellino, un vero e proprio ardore di eternità, nel quale ogni singolo momento, per quanto memorabile, è trasceso in un'ansia di fermezza, di un punto d'arrivo finalmente pacificato.

Particolare attenzione merita il componimento che intitola la prima sezione e dunque l'intero libro, a cominciare dalla disposizione strofica: un verso isolato, di solito un endecasillabo che si chiude con il punto interrogativo, si alterna a un gruppo di tre versi, che anche se non costituisce una risposta diretta alla domanda precedente, dà vita a un efficacissimo ritmo altalenante, ora incalzante ora riposato. Da notare inoltre che tutti i versi hanno eccezionalmente l'iniziale maiuscola, come si usava nell'Ottocento, quasi per creare una patina di antichità, mentre l'aspetto fonosimbolico è arricchito da rime interne ("Quale pupilla tremula sfavilla?") e da allitterazioni ("Venere che versa / Un ricordo di fuoco... / Sull'incantato arco della costa"). E la luce è altre volte protagonista, non solo quella crepuscolare ma anche dell'aurora o del pieno mezzogiorno, incaricandosi di ricacciare indietro l'ombra, di disperdere le tenebre della notte, penetrando nei più intimi recessi dell'anima: "E la luce s'accende / dentro, nel profondo. / L'anima vibra, franano i silenzi, / chiusi recinti cedono".

Il verso libero è prevalente ma sempre atteggiato classicamente e spesso nei momenti culminanti raggiunge la misura canonica dell'endecasillabo, con l'effetto di un'improvvisa accensione armonica e melodica; d'altra parte non mancano poesie con uno schema metrico preciso, come appunto il componimento eponimo o il Canto per una perdita organizzato in strofe di cinque settenari. Il dettato è scandito nitidamente e si offre al lettore senza infingimenti, con cristallina chiarezza.

Ma accennavamo ad un legame segreto che unisce prima e seconda sezione: ebbene, nella raccolta compare per ben cinque volte il raro aggettivo incipitario, che invano cercheremmo nei dizionari, dove si può trovare soltanto come sostantivo, e per giunta il legame è ribadito dal sostantivo reggente, per due volte fuoco e per due volte soglia, mentre nell'occorrenza rimanente il sostantivo aurora lo lega per àmbito semantico alla precedente, "Fuoco incipitario incalza da Oriente", dove si allude appunto all'aurora. Questa sottolineatura dell'inizio, sia quello della luce o della vita, ci sembra che chiuda perfettamente il cerchio con il concetto di fine che l'aspirazione all'eterno certo implica, in una vicenda perenne destinata a perpetuarsi nel tempo attraverso la sua apparente contraddittorietà.
Recensione
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