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Auschwitz spiegato a mia figlia

L’urlo dell’impossibile. L’urlo dell’anima. L’urlo del silenzio. E nessuno ascolta. Tutti ridono. Tutti deviano per vie traverse; per le strade percorse da carovane sbilenche e senza forme. Con i carovanieri che non hanno l’urlo dell’impossibile nel cuore.

“Profondo fiume.

Profondo fiume, la mia patria è oltre il Giordano,

Profondo fiume, Signore, voglio passare dall’altra parte

Verso le aperte praterie.

Signore, voglio passare dall’altra parte verso le aperte praterie,

Signore, voglio passare dall’altra parte verso le aperte praterie,

Signore, voglio passare dall’altra parte verso le aperte praterie.

Oh, figlioli,

Oh, non volete andare a quella festa santa,

A quella terra promessa, quella terra dove tutto è pace?

Andrò in Cielo e prenderò il mio posto,

E getterò la mia corona ai piedi di Gesù,

Signore, voglio passare dall’altra parte verso le aperte praterie,

Signore, voglio passare dall’altra parte verso le aperte praterie,

Signore, voglio passare dall’altra parte verso le aperte praterie”.

L’urlo dell’impossibile. L’urlo dell’anima. L’urlo del silenzio. L’urlo non ascoltato da nessun carovaniere.

Eppure quest’urlo vince ogni dolore, vince ogni verità, vince ogni iniquità; vince ogni soffio di malignità e di turbolenza, ogni soffio di maldicenza, di sterco umano, di graffiatura di anima, di lividatura, di distacco, di abbandono, di lacerazione del cuore e di tutto il corpo.

Vince la sofferenza pura, il dolore inaccettabile, il buio eterno del vuoto.

Poi, la voce della Fede. Che inonda tutte le pareti del corpo, le incide, le graffia, le scalpella, le colma di gioia, le completa e le rende limpide. Senza più quell’ombra livida e imprecisa di vanità, di maldicenza, di paura, di finzione e di debolezza. Tutto cade nel vuoto e tutto si risolleva, mondato e fragrante

Anche se resta l’intima carezza della sfasatura umana, che sempre fa traballare il credo dell’unica verità che è la Fede.

Datemi quell’antica religione.

Datemi quell’antica religione, datemi quell’antica religione,

Datemi quell’antica religione. E’ quella che ci vuole per me.

Datemi proprio quell’antica religione, datemi quell’antica

Religione, datemi quell’antica religione.

E’ quella che ci vuole per me.

Andava bene per gli Ebrei, andava bene per gli Ebrei, andava bene per gli Ebrei..

Ed è quella che ci vuole per me.

Servirà quando il mondo andrà a fuoco,servirà quando il

mondo andrà a fuoco, servirà quando il mondo andrà a

fuoco. Ed è quella che ci vuole per me.

Oh, datemi quell’antica religione, datemi quell’antica religione, datemi quell’antica religione,

Ed è quella che ci vuole per me”.

Canto di Fede che non si disperde, canto che entra nell’anima di chi non dispera, canto di speranza e di salvezza.

Canto di sopportazione di ogni bruttura, di ogni omicidio, genocidio, femminicidio, lordura, iniquità, stoltezza, incapacità di fare del bene e capacità di fare solo del male.

Nessun freno, ma una sola certezza: l’uomo vince. L’uomo alla fine vince. Vince, dopo aver sofferto ogni pena, ogni ingiustizia, ogni malvagità.

La Fede vince sul Male. Il Male non ha scampo. Il vuoto delle parole inonda le pareti del corpo, ma l’anima esulta, ed è la vittoria assoluta dell’uomo.

L’urlo di chi vive l’ultima ora. L’urlo delle caverne di occhi gettate nel putridume della spietatezza umana. Che non ha limiti, che ha soltanto il cuore di raccogliere tutte le debolezze umane e gettartele negli occhi perché tu non veda la sua crudeltà.

L’urlo di chi muore con la pace eterna della Resurrezione. Una certezza. La certezza. L’unica certezza, e questa certezza non arretra. Non arretra mai.

L’immane folla gettata nel fuoco e ghermita dai gas letali. Ma il grande urlo urla la pace eterna della Resurrezione.

Ho fatto quello che mi ordinasti di fare.

Così felice di aver fatto,

Così felice di aver fatto,

Così felice di aver fatto,

Di aver fatto quello che mi ordinasti di fare.

Così felice di aver fatto,

Così felice di aver fatto,

Così felice di aver fatto,

Di aver fatto quello che mi ordinasti di fare.

Mi ordinasti di pregare e io ho pregato, mi ordinasti di pre-

gare e io ho pregato.

Così felice di aver fatto,

Di aver fatto quello che mi ordinasti di fare.

Così felice di aver fatto,

Così felice di aver fatto,

Così felice di aver fatto,

Di aver fatto quello che mi ordinasti di fare.

Mi ordinasti di pregare e io ho pregato, mi ordinasti di pre-

gare e io ho pregato.

Così felice di aver fatto,

Di aver fatto quello che mi ordinasti di fare.

Grazie a Dio ho fatto,

Grazie a Dio ho fatto,

Grazie a Dio ho fatto,

Ho fatto quello che mi ordinasti di fare”.

La forza di chi crede in Qualcuno in cui ci si immerge totalmente, senza esitazioni, senza rimpianti.

Il Credo fatto carne umana.

L’urlo del nulla. L’urlo dell’anonimia. L’urlo che non è nulla, eppure invade tutto, invade tutti gli uomini e tutta l’aria che respirano. L’urlo dei piedi nudi, degli occhi fatti caverne di ghiaccio. L’urlo dell’impossibile vita, del tormento di anime fuggite dall’inferno senza dare scampo a un sorriso, a una carezza, a un fiato.

L’urlo impossibile del silenzio.

L’urlo di rami di alberi spogliati dell’azzurro del cielo. L’urlo di ombre gettate nel fango di binari che portano alla morte. L’urlo di un bambino macchiato da inchiostri turbolenti… l’urlo di cento bambini, di mille bambini… Tutto si fa biancore di fili spinati sporchi, e la vita perde l’ultimo respiro nel grido su muri neri senza ritorno. La terra è imbiancata da calce disfatta tra le mani, il nulla grida nel suono di respiri disperati. L’urlo resta impigliato nelle ombre crudeli del silenzio. Non c’è voce di pianto, non c’è voce di gioia, non c’è voce di sorriso.

Una lunga litania di corpi sbattuti nelle lande immense dell’iniquità. La luce, la vita, la morte. Non c’è certezza, non c’è neppure l’effimero passo della pazzia a tormentarti. Discorsi che non hanno eco, l’immensità del vuoto incombe, presto ci sarà l’immagine con le ali della morte a raccogliere corpi lontani.

Corpi senza senso, corpi senza vita, corpi senza un nome. In quel carnume resta un interrogativo senza risposta. Scale senza fondo, ringhiere di metallo che luccicano nel buio, una porta sbatte da qualche parte e non c’è vento intorno: l’urlo dell’abisso.

Una lunga strada bianca sprofonda nel fogliame nero dei rumori dei morti, freddo ovunque, nevischio impazzito, pali sbilenchi della luce nella tormenta, qualcuno resta accovacciato coi ginocchi rigidi nella neve sporca. Carreggiata piena di fanghiglia, là in fondo il bianco vuoto del nulla. Qualcuno resta aggrappato al muro, ci sarà putiferio di voci smorte, accozzaglie di ossa e di occhi imprigionati, morte di ogni vanità, morte di ogni superbia, morte di ogni vendetta, morte di ogni pensiero: tutto si fa quiete fino all’ultima ora della notte.

Urlo di occhi grigi senza speranza, il carro dei morti è pronto, nessuno ha scampo. Tutto è finito. E’ la fine di tutte le illusioni, di tutti i canti, di tutti i pensieri dell’intera umanità del tuo essere umano.

Tu sei librato sul nulla, e il nulla è il tuo solo compagno di viaggio.

Presto arriverai alla tua meta, che tu lo voglia o no. Presto, molto presto. Le tue braccia sono rivolte al cielo, i tuoi occhi vagano nell’infinito della nebbia. Ancora qualche ombra nel grande bianco della sabbia, la tua spiaggia ti spinge nelle urla dei flutti impazziti. Tu resti incatenato e non hai vie di uscita. Sali una scala che non ha fine, vaghi nel mondo del silenzio, respiri l’acre fumo della ciminiera che fugge, tu sei un relitto disseminato nelle sterpaglie, un treno fugge nella brughiera. Tu salti buche improvvise sulla sabbia, il mare del silenzio ti offre la barca della salvezza: così tu stai appoggiato all’argine, guardi i monti sul versante nord che si allontanano, resti appoggiato alla barca, urli la tua voglia di libertà: tu, essere legato alla tua sofferenza del vivere.

Tu vuoi vivere.

Tu vuoi vagare nelle strade del buio con la tua veste candida senza peccato.

Tu vuoi vivere.

E vuoi lottare contro il luridume dei sensi, contro il luridume dei pensieri, contro il luridume di tutto il tuo essere macchiato d’inganni… offerta, offerta, offerta di sensi e di piaceri, una croce resta inclinata tra il pietrume del deserto, pianto… grande pianto! Gli alberi gettano i loro rami rinsecchiti verso lo sfumato di un orizzonte pallido. Tu non hai scampo, tu sei imprigionato tra le sbarre del carcere.

Inutile il tuo pugno serrato verso l’ignoto.

Una sedia. Una sedia abbandonata nell’immensa spiaggia, un urlo che non ha senso. Urlo di ombre tra le ombre. Urlo di folle e di follie. I cadaveri urlano con le caverne di occhi sbarrati. Mura disfatte, alberi disfatti, visioni di palazzi avvolti nella nebbia e rivoltati dai pianti dell’arida periferia. Tutti i violini sono scordati, una luce lontana lotta contro il buio della solitudine. Fili di luci attorcigliati prevedono morte: le luci scintillanti delle beffe. Il grande mare sommerge la gioia, la lunga striscia bianca colpisce la luce accecante delle beffe, e la paura avanza, le urla graffiano i cuori.

Urla, urla, urla… il suono della grande tromba della paura raduna le ultime speranze: fuga nella burrasca del cielo. Gli abissi raccolgono le anime, pioggia di fame e di nebbia: tutto si dissolve nel grigiore delle smorfie fameliche.

Inumanità.

Non ci sono bare, non ci sono parole di conforto, non c’è pietà: la vita è il nulla; anzi, è meno del nulla!

Lampo su un tavolaccio smerigliato, chi parla – e vaneggia – guarda soltanto cadaveri nudi attorcigliati nelle fosse scavate nella terra gelata; chi guarda – e parla e vaneggia – sente l’odore acre delle carni bruciate.

Il grido informe del sorriso della bestia.

Poter assorbire l’inutilità di un sorriso. Non ci sono sorrisi nel mondo. Non ci sono urla di gioia. Non ci sono abbracci, né baci, né carezze, né… amore.

In cielo, sì!

L’occhio della dimenticanza scruta la tua anima, la grande solitudine artiglia il tuo cuore. Pianto! Come il graffio dell’onda sullo scoglio.

Oh, i monumenti! Oh, i proclami, le celebrazioni, le parole scordate dai cuori. Un uragano di battiti di mani non ti dà scampo, tu corri via con l’urlo disperato del silenzio.

Sempre… il silenzio!

E la testa recisa agganciata al palo respira nell’immenso.

Parole, rumori, catene, piedi nudi striscianti, pelle inaridita dalla siccità della vita, dell’avvenire, di ogni futuro, di ogni sorriso, di ogni carezza di umanità.

Urla dell’assurdo.

Urla di ossa attorcigliate, di braccia, di gambe, di teste uscite all’improvviso dalle fosse, per gridare la nudità dei fantasmi, per gridare gli inganni di ogni aspetto umano, per raccogliere le tristezze delle bocche screpolate dalla fame.

Urla per una speranza, per una indifferenza nel guardare cadaveri sparsi ovunque per terra, coperti con stracci e con gli stecchi delle gambe ricoperti da calze bucate.

Urla dai camion e dai carri affollati da gente che non ha speranza di vita: nessuna! Un piatto fumante già freddo nel gelo di feriti a morte. La paura viene dai rigagnoli delle tombe senza croce. Le maschere antigas restano assenti, il fuoco dei crematori non dà requie alle lacrime che trafiggono i cuori. Un piffero tra le ossa calcificate; cani nelle ombre dei cimiteri; visi truci; verdi colline ricoperte di stracci di putridume; baionette in punta di pancia; braccia a pugno tra sbarre di ferro arrugginito; ancora visi truci e fucili sul petto senza pietà: una bocca urla la sete…acqua… acqua… acqua, e il viso non dà tregua al dolore.

Tragedie e viltà.

Le mura sanno di pianto, il fumo attanaglia le gole, gli occhi scoppiano e non hanno vita. Fermare il tempo?

Leggi sulla mano del berretto puntato sulla fronte e troverai la risposta. La risposta è: odio sull’accanimento dell’infelicità. Non c’è dunque risposta sui campi affollati di cadaveri. Resta l’interrogativo del pensiero umano, il cuore resta fuori, il cuore proprio non c’è.

Vivi la vendetta e lo sterminio delle genti, tu puoi restare accovacciato contro il muro delle mani che segnano l’incognita, puoi guardare la sabbia del deserto e pregare a piedi nudi guardando al di là del fondo della sabbia, puoi restare curvo sul bastone che scricchiola sulla ghiaia della moschea: tutto è apparizione, tutto è pazzia, come nel bianco di neve sui binari morti della stazione di una grande città. No, non c’è risposta, non c’è spiegazione nei caffè del Luderon, ed è inutile contare i passi svelti dei giovani e i cristalli lavati di fresco dei palazzi di vetro illuminati a giorno.

E’ tutto inutile: sui monumenti ai caduti non ci sono steli, non ci sono croci.

Nomi… nomi… nomi…, e tu stai lì rigido e vuoto, davanti a nomi di fantasmi e conti le stelle del nulla. Piangi sulle immagini dei nomi stampati in nero, ma l’urlo delle vicende magiche dell’orrore fanno dei tuoi occhi il caldo terrore della tua anima.

Ma l’anima non ha terrore, lei vive l’irrealtà del mondo magico dell’eternità

Il viso del clown t’insegna a vivere, e tu suoni l’organo disfatto della tua vita. Guarda una stella, là troverai la risposta ai tuoi tormenti. Qualcosa di grande si posa sul tuo cuore, dimentica le malvagità, guarda lassù e sorridi.

Nel cuore del carnefice non ci sarà mai sorriso.

* * *

Adesso è tempo di lasciare il passo alla verità delle urla assurde, delle urla impossibili, delle fantasie urlate dal cuore e dall’anima.

Adesso è maturato il tempo di affrontare Auschwitz, un nome assurdo, un quadrato di mura, di terra schiacciata, di filo spinato mai dimenticato.

Il Male non potrà mai essere dimenticato.

Auschwitz è il punto finale della lunga storia della malvagità umana. Senza un perché che soddisfi, senza una risposta a una qualsiasi domanda. Qui, la storia dell’uomo ha fine. Poi, da qui, può anche ricominciare. Ma questo piccolo quadrato non ha fine.

Non avrà mai fine.

E così non ha fine ciò che esso rappresenta. No, non ha fine, non può aver fine. Perché? Perché ciò che rappresenta va oltre la bestialità della giungla, una bestialità ragionata, una bestialità non istintiva, non scoppiata dal male che ogni essere vivente porta con sé. Una bestialità non provocata dal dolore, dall’istinto di sopportazione, di invidia, di odio. No! Una bestialità provocata dalla razionalità raffinata e oculata: inutile rispondere, inutile interrogare, inutile dire che si poteva evitare.

Non è vero nulla.

La bestialità di Auschwitz – prendiamo questo campo come campione – non ha nulla a che vedere con il delitto premeditato, con il carcere a vita, con la pazzia improvvisa. Razionalità pura. Ragionevolmente architettata per distruggere, annientare, eliminare, azzerare. Tutto deve essere portato al deserto assoluto, neppure un granello di ossa o di pelle o di cuore.

Tutto deve scomparire dall’identità di un popolo, di una razza umana.

“Auschwitz spiegato a mia figlia” di Annette Wieviorka spiega la fuga assoluta dell’anima da gente chiamata SS.

Cancellare gli ebrei dalla faccia della terra. Correre in ogni angolo d’Europa – e oltre – per scovare vecchi, bambini, donne, uomini ebrei e spendere energia di morte su di loro… da Amsterdam a Bordeaux, da Varsavia a Salonicco…

La bestialità razionale. La bestialità delle retate – una per tutte, la retata del Vel’ d’Hiv -. La bestialità dei treni merci: fossero stati almeno treni merci trasportanti bestiame! La bestialità dei camion per vecchi e bambini e per tutti coloro che non servono: questi camion trasportano tutta questa gente alle camere a gas. La bestialità delle denudazioni, delle rasature, delle vestizioni con vestiti appartenuti ai morti precedenti, delle stilografiche metalliche che con l’inchiostro azzurro marchiavano con un numero indelebile gli avambracci.

No, non c’erano uomini, non c’erano donne, non c’era una qualsiasi via d’uscita di sicurezza per qualsiasi uomo e per qualsiasi donna.

Uomini e donne privati di tutto, perfino del loro nome.

Ma dietro ogni nome ignoto c’era il cuore del nome.

Ed era tutto!

Per quel nome, per quell’uomo o per quella donna il cuore era tutto ciò che era rimasto, di vivo, di umano, di necessario. Un cuore insostituibile – e invisibile – dietro un numero azzurro indelebile scritto su un avambraccio. Quel cuore era tutto. Nulla era più importante. Nulla valeva di più.

Ed era impossibile appropriarsi di quel cuore anche per quella bestialità razionale: per attenti che fossero i suoi rappresentanti con gli uncini stampati sui colletti rigidi e inamidati. La bestialità razionale poteva soltanto demandare, togliere i nomi, ma non i cuori che stavano dietro i nomi.

La vittoria dell’uomo. Sempre la vittoria dell’uomo vero.

Hitler, l’uomo che non conosce l’uomo. Lui conosce soltanto l’impossibilità di essere uomo. Così com’è, quest’uomo non potrà mai conoscere le porte della socialità, della comunità, del cameratismo, dell’aiuto reciproco, della fratellanza. Queste porte tremano e restano senza cardini.

Hitler, uno che vuole annettere al suo impero tutti i paesi di lingua tedesca – Austria, popoli slavi, russi, ucraini, polacchi -, escludendo con ogni mezzo e con ogni crudeltà e malvagità tutti gli ebrei.

La Germain Judenfrei o la Judenrein.

La distruzione dell’identità di un uomo, di un popolo, di una intera razza umana. L’azzeramento di un cervello, l’escavazione di un cuore, l’offerta al mondo intero della propria radicata malvagità. La bestialità razionale di un uomo e di chi lo segue con ferocia estrema. Distruggere a ogni costo ogni ebreo, unendoci insieme ogni essere umano vivente che non sia degno di essere chiamato tedesco.

La bestialità razionale, la pazzia che non ha ritorno.

Raggruppare tutti questi esseri umani nei commissariati e nelle questure con le retate, avviarli poi ai campi di concentramento per lo sterminio totale. Alla cancellatura fisica totale.

Nulla deve rimanere.

La vita deve appartenere esclusivamente a un popolo, a un impero, a una razza. Il cervello di un uomo – pazzo, naturalmente –si è completamente screpolato e il succo di tutte le deviazioni imbratta le pareti del cuore di quest’uomo, allontanando per sempre la presenza dello spirito.

Morte dell’anima di un uomo che non ha futuro.

Censimento, schedari, convocazioni, arresti, concentramenti, deportazioni: nessuna dignità, nessuna protezione, nessuna legge.

La legge della distruzione è legge ed è l’unica legge. Questa legge deve essere rispettata da tutti. La forza dell’inganno vince e urla la sua bestialità. L’inganno urla il suo gas mortale chiamato Zyklon B, l’inganno urla il fuoco eterno dei crematori. Il resto è storia straziante di separazioni, di estirpazioni di cuori, di avvilimenti della personalità e della dignità dell’uomo. Selezione di chi deve essere portato ai gas e chi ai forni crematori: questo compito altamente umano e nobile e raffinato spetta ai medici nazisti. Un compito per tenere segreto ogni urlo, ogni vento di dignità.

Auschwitz, Birkenau, Lodz, Ravensbruck, Belezec, Sobibor, Treblinka, Buchenwald, Mauthausen, Majdaneck…sterminio! Lager di Germania e di Polonia. Nessuna spiegazione. Ai sopravvissuti la parola della verità.

Quali altre parole?

Non ci sono parole nel vocabolario della Shoah. Non ci sono parole di conforto e di speranza tra le righe delle divise dei sopravvissuti e dei testimoni dei Lager. Credere nell’uccidere tutta una razza, e sono le sole parole che rimbalzano fuori e sempre, nonostante le migliaia di tesi storiche e morali.

Il simbolo del Male ha vinto, ed è tutto.

Chi sono gli ebrei? Chi sono gli omosessuali, i testimoni di Jehova? Chi sono i morti e i sopravvissuti? Parole! Ciò che conta è il Male per mezzo degli uncini agganciati ai colletti rigidi delle divise naziste. Ed è la grande determinazione di farla finita con il resto del mondo.

Pazzia bestiale pura.

Perché disperdersi nelle definizioni giuridiche della Giustizia Internazionale? Cosa significa: crimine contro l’umanità! Le voci disperate delle mamme restano mute. Chi parla è soltanto la voce degli storici, e la Storia è soltanto una registrazione, una conferma, un dato di fatto, non il dramma nascosto nel cuore dei mille popoli e dei milioni di genti trucidate. Compresi gli zingari, gli armeni, i ruandesi e gli shangaiesi. Ciò che conta è sapere, ricordare e lottare sempre contro i gas mortali e i forni crematori.

Un po’ di retorica, ma ci vuole.

Contro il grande Reich, che non vuole diritti culturali di altre razze,che non vuole la lingua yiddish, che non vuole i rappresentanti politici elle minoranze. Vuole soltanto lo Judenrat, perché sprovvisto di tutto.

I ghetti delle grandi città: quali alloggi, cibo, sicurezza, igiene?

Quale vita?

La grande truffa dopo il grande disastro. Nulla da fare. E’ così. Illusioni dello Judenrat per tenere buoni i tedeschi; pulci, fame, associazioni legate a partiti politici, dispensari, orfanotrofi, centri per rifugiati, mense popolari: cosa c’è di vero? Cosa c’è di umano?

La memoria non deve essere cancellata.

Le retate, le raffiche degli spari, gli stermini di bambini, donne, intere famiglie. Nulla deve essere cancellato.

Può essere cancellata la vera storia, la propaganda antisemita, gli ebrei insetti nocivi, la violenza, l’obbedienza alle autorità, le fucilazioni, i rischi, le sterilizzazioni? No, nulla deve essere cancellato. L’intero uragano di verità colpisce. Colpisce sempre.. Nessuno deve sopravvivere: i ghetti non hanno pietà, i treni che portano i deportati ai campi di concentramento non hanno pietà, l’esito finale non ha pietà. Ogni informazione cade nel grande baratro dell’inesorabilità; ogni fuga, ogni sopravvivenza, ogni legge umana, ogni resistenza, ogni lotta… La forza della vita; sì, la forza della vita per un nulla che eviti la morte, per organizzare la speranza, per vivere dentro la Fede della cristianità.

Non ci sono sovietici, non ci sono polacchi, non ci sono francesi, non ci sono tedeschi. Inutile impugnare armi, inutile deragliare treni, inutile odiare, invidiare, occupare, imprigionare, insorgere, fucilare, asfissiare, incenerire.

Ricordare, non dimenticare mai, fare propria la tragedia di chi ha sofferto la disfatta del suo cuore.

Churchill, Roosevelt, Regner… congressi mondiali, motivazioni, sbagli, realtà dissepolte, uffici centrali: ogni essere – ogni potere – ha la sua parte di torto e di ragione. Ma la verità è una ed è soltanto una: per Hitler, vincere la guerra, sì! Ma soprattutto annientare la stirpe degli ebrei: tutta!

La verità di Hitler, la pazzia devastante di un uomo che non conosce l’uomo.

Inutile ogni processo, ogni revisione, ogni tentativo di scoprire la verità. Un esempio per tutti: Il processo contro Adolf Eichmann a Gerusalemme (1961).

Conoscenza, informazione, colpevolezza, genocidio, sterminio, responsabilità, religione, epidemie: la macchina delle verità non s’arresta. E resta purtroppo, latente e infida, la colpevolezza dell’indifferenza. Il mondo genera l’assurdo, l’uomo vive l’assurdo. Crimini di morte, crimini burocratici, inganni, sorrisi, ipocrisie… Indifferenza! L’assurdo dell’uomo, L’assurdo di ogni potere umano.

Recensione
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