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Groviglio di vipere

Una rivoluzione. La rivoluzione. Il caos, l’appiattimento del caos, la sua nebbia, il suo piacere, il suo rancore, il suo odio; perfino la sua fuga, la sua dimenticanza, la sua vendetta, il suo dominio, la sua malattia, il suo disgusto, la sua deformazione; e ancora, la discordia, la mediocrità, il tradimento, la viltà, l’egoismo, l’inimicizia, l’avidità, l’aberrazione, la volgarità, il vuoto, la vacuità, la nullità, lo sconforto, l’incertezza, la distruzione, la trivialità; per non parlare del disfacimento degli ideali, la cecità, la compiacenza, la compassione, il fastidio, la maldicenza, l’indelicatezza, la gelosia, il potere della ricchezza, il potere della classe sociale, la distruzione del carattere, l’insuccesso, la dissipazione, la mancanza di felicità, di libertà, di giovinezza, di sorriso, di abbandono… deserto, infelicità, odio, indelicatezza, sregolatezza, abbrutimento, fallimento, timidezza e orgoglio, commozione e razionalità, fortuna e repulsione, dubbio, superbia, disprezzo, follia.
Caos. Le mille facce del caos. Profumi e miasmi. La fine del mondo.
Caos. Rivoluzione. Guerra. Oscurantismo. Espulsione. Repulsione. Ironia. Spietatezza. Rivalità…

Ancora il rosario delle bellezze umane non finisce qui. Non potrebbe mai finire. Non potrebbe esserci nessun tentativo di soluzione, nessuna risposta, nessuna umiltà, nessuna vergogna. Ci sarebbero soltanto crudeltà, collera, passione incontrollata, repulsione, livore, avidità, corsa a ogni tipo di stregoneria, di abiezione, di bassezza morale, di interesse a tutto spiano Ci sarebbe la corsa al disfacimento totale della dignità del corpo e dello spirito.

La religione: il grande avversario dell’uomo, la grande soluzione dell’uomo; l’alibi e il mistero. E poi ancora, e sempre, il caos, la rivoluzione che circonda il corpo e affascina il cuore e tutto il mondo interiore dell’uomo. Ancora e sempre caos umano, fisico e spirituale; caos, che allontana l’uomo dalla via della razionalità e poi l’avvicina, risolve, chiarifica, riposa e dà una risposta.

Caos e rivoluzione – più rivoluzione che caos -, e il terremoto che ne viene fuori è la grande presenza di “qualcuno” diverso dal solito, ma poi è anche uguale, forte e amico.
E’ la grande presenza dentro il mondo invisibile dell’uomo; e questa presenza è la presenza, confortante e coraggiosa, dell’amore.

La religione e l’amore: tormenti, soluzioni e irresoluzioni della vita dell’uomo. Poi, l’uguaglianza tra gli uomini: assolutamente irrisolvibile. Le classi sociali mai in linea, le professioni sempre dispari, i ricchi e i poveri, di questi meglio non parlarne… tutto ciò è la grande, irrisolvibile, beffa umana.
Ma l’uomo è imprendibile e imprevedibile L’uomo è inqualificabile.
L’incubo di essere amati o di non essere amati; dell’aver danaro, potere, stima, fama, bellezza, poi di non avere nulla di tutte queste cose appena dette.
La boriosità, la vanità, la rivalsa; il tutto convoglia nel grande fiume che raccoglie gelosia, avidità, grettezza, spietatezza, scomparsa di carattere, di decenza, di amore. Vince l’inimicizia; vince l’indifferenza; vince la perdita totale della propria identità. Identità forse mai conosciuta o forse mai voluta. Perché avere una identità ben definita è conoscere fino in fondo il valore di ciò che si possiede dentro quel mondo sommerso e nascosto; dentro quel mondo che non si vuole mai svelare e sempre si vuole conservare esclusivamente per se stessi fino al completo annientamento. Annientamento, che può essere evitato rifugiandosi in “qualcuno” che non ha volto ed ha soltanto quella identità voluta dalla potenza indistruttibile del cuore.

Qui sorge il mistero insolubile del come si è nati, del come si è voluto respirare e gettare dentro se stessi la sofferenza e la gioia dell’accettare la presenza di quel “qualcuno”, scomodo ma risolutore.

Non è con le avemarie, le prediche, i riti e le processioni che si conosce – e si accetta – la presenza, scomoda e risolutrice, di quel “qualcuno”. Sono i dubbi, le lacerazioni del sangue e della carne, che ci rendono chiara, alla fine, la nostra vera identità. Seguire dogmi, cerimonie, confessioni e obblighi di belle apparenze si ha la scorrevolezza dell’acqua sui vetri nel grande temporale dell’estate. Grandi rumori, grandi riflessi, grandi concerti di chiaroscuri nel vacuo scrosciare dell’apparenza: null’altro! Alla fine, sul vetro non resta che una patina oleosa, polverosa e di colore incerto ma sporco di smog.

Null’altro! Il “qualcuno” cammina su ben altre strade, dove non ci sono rumori, non ci sono riflessi accecanti, non ci sono concerti scroscianti di smog.
L’infelicità, la possessività, l’avarizia, l’inimicizia, l’invidia, l’odio, la vendetta, la volgarità, la stoltezza: paure dei disonori, delle futilità, delle apparenze, delle insicurezze per le perdite dei beni terreni.
Nessuna idea politica, né di sinistra, né di destra, né di centro. Soltanto, gli intramontabili valori dell’apocalittica facciata umana di tutto il mondo. Pace, quiete, riposo… virtù del vivere secondo i canoni dell’avventura della finzione. Gli affari innanzitutto. Indipendenza, inflessibilità, impegno: grandi traguardi sono in vista vicino e lontano. Qualcosa di noi resta impresso in chi ci circonda, ci ama, ci tormenta, ci odia, ci sopporta, ci teme, ci adora e ci disonora.

Tutto si fa per te, grande uomo del nulla. Del nulla se sei solo.

***

Si è già detto molto, forse tutto. Ma qualcosa sfugge sempre e fugge via. Qualcosa resta insoluto, indefinito, irrecuperabile Qualcosa non dà mai tregua. Eppure ne vale la pena.
Si sta parlando di “Groviglio di vipere” di François Mauriac. E parlando di questo romanzo si tenta l’impossibile, si affronta l’impossibile, si sviluppa l’impossibile, si vive l’impossibile, si risolve l’impossibile.
Così è quest’opera di François Mauriac.
Quest’opera è l’opera dei dubbi, delle incertezze, dei nascondimenti dei sentimenti; è l’opera di chi stenta a conoscere l’animo umano e va diritto per la sua strada fino ad arrivare al muro duro della conoscenza.
Ma non tutti vi arrivano e non tutti lo valicano; perché non tutti ne conoscono la composizione del materiale di cui è fatto. Oppure tanti credono di conoscere questo materiale, ed è qui che l’aldilà del muro resta oscuro e anonimo.
L’impossibile traguardo.
Questo traguardo è lì; ti alletta, ti illude, ti inganna. Ma tu sai? Ti conosci? Tu non hai pietà, né di te stesso né di chi vuole stare vicino a te. Tu guardi solo te stesso; ti dai sempre ragione e incolpi chi vive la sua grande illusione di vedere in te la sua salvezza.

L’hai mai pensata questa possibilità di salvezza? No! Tu hai cercato in quell’essere umano di soddisfare totalmente la tua illusione; e l’illusione era questa: quell’essere doveva completare le tue deficienze, i tuoi limiti, i tuoi segreti, le tue imperfezioni, di corpo e di anima. Sì, anche nell’imperfezione della tua anima; perché in te, nella tua vita improntata nell’esclusiva determinazione di eccellere nella carriera professionale e negli interessi del guadagno liquido, finanziario, immobiliare, la tua anima soffriva; la tua anima si sentiva impotente di risolvere per te qualcosa di buono, qualcosa che valesse la pena di gridare l’amore.

Ma la tua anima era soffocata dalle esigenze del tuo corpo, del tuo cervello, della tua brama di eccellere su tutto e su tutti.

Ma tutto era inutile in te: la tua anima non ha mai voluto abbandonarti. Mai! Anche nei momenti più bui e più tristi. Anche nei momenti dei tuoi maggiori successi. La tua anima ha sempre camminato con te in silenzio; e ha camminato con te per darti la forza e il coraggio di lottare contro la tua imperdonabile ipocondria.

Ma in fondo le tue allucinazioni avevano una fondata motivazione: gli esseri umani della tua famiglia ti temevano, tramavano contro di te, attaccavano con tutte le armi possibili la radice profonda della tua sensibilità. Della tua bontà, come ebbe a dire l’abate Arduino.

Ma la tua segreta mania di persecuzione ti ha accompagnato ovunque e con chiunque; essa è stata la tua compagna di giochi; di giochi arditi; di giochi impetuosi, rischiosi, coraggiosi, vincenti e fasulli. Tutto hai provato; perché uno come te, avvocato Luigi, nella vita non può che provare e percorrere le vie sognanti dell’irrequietezza, del rischio, del coraggio e della fasullità.

Come potevi trovare, alla fine della tua vita, quel “qualcuno” risolutore, se prima non avresti provato – e percorso – le vie sognanti che ti sono state appena dette?

Isa, tua moglie, è di tutt’altra pasta. Lei non entra, barcollante, nel tuo cuore. Lei guarda nello specchio la tua figura sbiadita, resta immobile e non pensa a nulla. In lei, tutto è inutile; tutto è serenamente scontato; tutto è logicamente accettato. Fino alla fine. Fino a quando entra nel suo cuore, prepotente, l’innominabile travestimento della dignità di se stessa. E qui non si sa – non si saprà mai, anche se si vuol credere a qualcosa di grande e di definitivo – se la sua anima ha accettato con vera passione il “qualcuno”; quel “qualcuno” che si adatta in modo perfetto a te, al suo “Luigi”: mai conosciuto, prima; mai conosciuto in via definitiva, poi, al termine della notte.

Tu, Isa, ti sei avvicinata subito, poi ti sei allontanata – il freddo che il tuo Luigi ti trasmetteva giustificava in pieno il tuo allontanamento - e poi ancora ti sei riavvicinata. Parti, aborti, gestazioni, disgrazie sono state esperienze di vita che hanno giustificato il tuo allontanamento – teniamo presente, però, il freddo già detto prima – per un ritorno, alla fine, consapevole e sofferto.

Nelle paure delle rondini, dei galli, dell’uomo con gli zoccoli, nel suono propiziatorio delle campane, nel battere insistente e grave della grandine, nei campi bruciati, nelle vigne corrose dal sole battente, nel chiaro opaco della luna, sui colli e nei dirupi, nel rumore cupo dei treni merci e nello stormire dei rami e delle foglie dei tigli, dei pioppi e delle ginestre.
Il silenzio grave che segue le interminabili conversazioni notturne, vuole la pace dei cuori di Isa e di Luigi.

***

In una storia umana raccontata, in una qualsiasi storia e vicenda umana rivelata, i protagonisti eccellono: nel bene e nel male.
Eccellono!
Eccellono perché rischiano e rischiano sempre; perché non stanno mai dietro nascosti; perché affrontano, lottano,gioiscono, piangono, trascinano gli altri, si offrono agli altri, vivono per gli altri. E muoiono anche per gli altri.
Sempre e comunque, nel bene e nel male.
I protagonisti vivono e muoiono per le persone riflesse, per i comprimari, per coloro che, volenti o nolenti, non saranno mai protagonisti, e il perché è logico: essi vivono di luce riflessa; essi vivono delle azioni, dei rischi, delle lotte, delle gioie e dei pianti di chi agisce, rischia, lotta, gioisce e piange.
Vivono appunto di luce riflessa; di luce che non ha origine dalla gioia e dalla sofferenza, dal rischio e dalla lotta, dal donarsi e dal pretendere. Loro, i comprimari, attendono. Loro colgono l’occasione buona per approfittare, loro non si espongono ai rischi e alle lotte, loro vivono la grande avventura della rabbia e dell’indolenza, del buio e del nascondimento.
Senza identità propria.
Senza pugni e senza carezze. Senza assumere una chiara posizione per come camminare con le proprie gambe, come arrivare e dove.
Critica, soltanto critica. Attesa. Attesa di qualcosa che deve accadere – e accade – nell’agire dei protagonisti.
Loro sono maestri di attesa: qualcosa accadrà e noi siamo qui pronti, con la bocca aperta; noi siamo qui pronti ad accettare, a morsicare, a ingoiare e a trangugiare.
Maestri di attesa e di pancia piena.
E’ il grande duello della vita e della morte e, purtroppo come dice bene Mauriac, l’avvenire è per coloro che hanno vedute ristrette.
Nella storia raccontata da Mauriac le persone riflesse sono i figli dei due protagonisti, e la storia – tutta umana - è una relazione dettagliata di odio e di amore, di avidità e di rivalità sociale, di superbia e di nullità, di errori e di pregiudizi, di falsità, mediocrità, inganni, tresche, finzioni, tradimenti e bassezze morali.
Una storia umana che scava fino in fondo la verità.
Mauriac dice ancora: “Non si può da soli aver fiducia in se stessi, occorre un testimone”.
Il testimone non può che essere quel “qualcuno”, silenzioso, non ingombrante, attento, presente, mai ingannevole, non traditore, mai in fuga. Questo “qualcuno” insegna l’arte del vivere che, come dice bene l’autore, consiste nel sacrificare una passione bassa ad una più nobile.

C’è, nell’avvocato Luigi, il protagonista uomo, il diritto di difendere lo spirito dei suoi figli. C’è in Isa, la moglie dell’avvocato, anch’essa protagonista, il dovere di proteggere la loro anima. Finché l’avvocato Luigi non ha fatto parlare quel “qualcuno” – che sempre ha avuto dentro, ma che sempre si è otturato gli orecchi (del cuore) per non ascoltarlo -, il suo diritto di padre è andato all’inverso dei suoi desideri. Ma i suoi desideri volevano che questo diritto andasse proprio così; e così è: - voi figli dovete essere del tutto simile a me -.

Peccato che i suoi figli non possiedono la sua inflessibilità, la sua caparbietà, il suo coraggio, la sua determinazione, la sua voglia di lottare per il guadagno, i soldi e la ricchezza.
Lui, Luigi, ha lottato per tutta la vita per un fine umano e nobile.
I suoi figli, no! I suoi figli hanno vissuto, sempre ed esclusivamente, in funzione di far trionfare la loro avidità e la loro vigliaccheria. L’avvocato Luigi, sotto questo punto di vista, appare come uomo di mondo sconfitto Avrebbe potuto riuscirci, a trasmettere il suo spirito in quello della figlia Maria. Ma il mistero dell’imprevedibilità della vita incombe perennemente e spietatamente sull’uomo. Maria muore. E con lei muore la speranza di continuare l’azione del suo spirito per un fine umano e nobile.

All’avvocato Luigi restano i figli Uberto e Genoveffa. E questi due figli rispecchiano il frutto dell’interpretazione del “dovere di Isa” che dice: ama i tuoi figli e proteggi la loro anima.
Ottimo dovere!
Se non che questo dovere è infarcito di riti, di dogmi, di prediche e di incensi. E i diavoli non si allontanano con il fumo dell’incenso; i riti sono cose fredde che non riscaldano i cuori; i dogmi sono regole imposte da un potere non adatto all’anima; le prediche sono le parole di questo potere, vuote di esperienza di vita giocata in prima linea. Maria resta la grande incognita del volere di quel “qualcuno”. Ma anche se la sua morte rappresenta un’incognita, nel cuore di Luigi resta la speranza. L’avvocato è lontano dai riti, dai dogmi, dalle prediche e dagli incensi e dice a Isa, imbevuta invece fino alla radice del sangue di tutte queste fredde pratiche religiose: “Le idee del tuo mondo e dell’epoca, avverse alle debolezze dell’uguaglianza tra gli uomini, il Vangelo le condanna.
Non è così?
Credevo che Cristo avesse detto… già, cosa ha detto Cristo nel Vangelo? Cristo ha detto così: La Santità consiste nel seguire alla lettera il Vangelo. E il Vangelo dice: Siate perfetti come perfetto è il Vostro Padre celeste. Adesso io ti dico, Isa: ai figli bisogna insegnare l’umiltà, perché essi capiscano”.

Punto di vista cristiano, punto di vista dell’avvocato Luigi, che ha dedicato l’intera sua vita a far soldi e carriera, ma sempre tormentato dalla presenza di quel “qualcuno” dentro il suo cuore. In questo suo punto di vista, tutta la sua attenzione è rivolta all’uguaglianza tra gli uomini; ed è rivolto anche alla forza dello spirito degli uomini; e ancora è rivolto all’onestà e alla moralità degli uomini.

Lotta contro ogni disuguaglianza, ogni disparità, ogni razzismo, ogni ingiustizia. In questa lotta appaiono Marinetta e il figlio Luca; due comparse che potrebbero diventare protagonisti e invece muoiono presto – e il volere del “qualcuno” resta sempre un mistero -.
Marinetta e Luca sono rappresentanti di un mondo di pulizia e di ardimento, che non può essere accettato dal mondo, né da quello di Isa né da quello di Luigi.
Ma l’abate Arduino dice all’avvocato Luigi: “Lei è buono”.
Ed è tutto.
Ecco perché Luigi dice: “Vedi Isa…”, Poi si ferma. Isa lo sta rimproverando adirata: “Perché ridi? A cosa pensi?”.
Ma Luigi continua, calmandola: “Vedi Isa, io rido per nulla e penso a nulla. Io vivo il terrore dei vecchi soli… come sono stato infelice? Un dannato in terra… un uomo che ovunque vada sbaglia strada. .. uno che difetta di saper vivere… Ecco, Isa, io possiedo milioni, sì! Ma non ho uno che mi porga un bicchiere di acqua fresca.
Avevo Maria, avevo Luca, avevo Marinetta… , ma la strada della vita è piena di buche ed io vi ho inciampato dentro e vi sono caduto dentro. Da solo non ce la faccio.
I nostri figli erano bravi ragazzi. I principi da te ostentati, le tue allusioni, il disgusto, lo stringersi della tua bocca: ferite nei cuori dei nostri figli – ferite nei cuori di ogni uomo -. Maria e Luca hanno vissuto il loro mondo di limpidezza, di ignoranza del male, di purezza, di lealtà e di generosità. Aggiungo Marinetta, tua sorella e madre di Luca. Vogliamo tentare insieme, Isa, la via che Maria, Luca e Marinetta ci indicano?”.

Luigi dice così a Isa e, parlando, vede in lui tutta la bassezza del suo mondo morale. Ma il vento oscura le stelle, la burrasca incombe sul raccolto dei campi e delle vigne, la selvaggina fugge, le nuvole impazziscono gravide di rabbia.
Luigi insiste con Isa. “Pensando a loro tre” dice, “posso soltanto conoscere un po’ meglio me stesso… Ed è quando sono più lucido di mente che la tentazione cristiana mi tormenta”. Fa una pausa e riprende subito con foga: “Se arrivo a piacere a me stesso, potrei credere al tuo Dio!”. Ancora una pausa. Qualcosa in Luigi sta crescendo. Qualcosa sta prendendo forma. Poi lui riprende: “Se potessi disprezzarmi senza secondi fini, la questione sarebbe risolta. Ma… odio, miseria di cuore, deserto… Forse il tuo Dio è venuto per noi. Per tutti noi!”.
L’avvocato Luigi sta aprendosi a se stesso, sta aprendosi a Isa, sta aprendosi a quel “qualcuno”.
Ma il tempo del raccolto stenta a rivelarsi. Non è facile fare vendemmia o mietitura nel tempo imprevedibile della burrasca.
Comunque Luigi continua ancora a parlare con Isa, e le sue parole sono segni di promesse e di rivelazioni. Dice: “Il mio cuore – il groviglio di vipere -, il veleno dei nostri figli, dei nostri nipoti, dei nostri generi e delle nostre nuore… insomma, della nostra intera famiglia… Ebbene, Isa, tra noi non c’è pace ma guerra. Guerra di superbia, di avidità, di sospetto, di disamore, di grettezza di cuore, di odio e di vendetta. Di tutto ciò che va all’opposto del credere e del non credere”. Una piccola pausa, poi le parole scorrono via veloci. “Almeno chi crede ha un’identità ben precisa; e lo stesso dicasi per chi non crede. Da noi – nella nostra famiglia – è diverso. Qui c’è buio, terrore, invidia, inganno e… nessun amore!”.

Luigi si ferma ancora. Il suo cuore si sta riempiendo di una forza misteriosa; ma l’avversario è uno di quegli esseri che non hanno volto. Luigi grida a Isa: “Dov’è quel viso, quell’immagine, quel segno che tu adori? Perché non ricominciare? Se ti vedessi entrare in camera mia con il viso in lacrime… Se mi aprissi le braccia… Se ti chiedessi perdono… Se cadessimo in ginocchio l’uno dell’altro… Sono diventato estraneo a tutto. Vado alla deriva. Forse una forza cieca? Forse un amore?”.

Il tempo dell’abbandono – della verità – è scaduto. Ci si allontana da tutto e da tutti. Si volta pagina. Si cerca una nuova via: più accidentata di quella finora imboccata, più anonima, più oscura. Caos, mediocrità (del figlio naturale Roberto e della madre di Roberto, ex amante di Luigi), oscurità di animo, bruttezza e pretenziosità, vischiosità interiore, terrore, bassezza d’intenti e di sentimenti, falsità, temerarietà, lacrime, spietatezza, disperazione, angoscia, lontananza e riavvicinamento.

Caos prima e dopo la morte di Isa, improvvisa, angosciante, rivelatrice, risolutrice. Tutto rimane come prima di questa scomparsa, eppure questa scomparsa dà un avvio decisivo al meccanismo avariato della famiglia. Colpi si scena nel problema eredità, alla fine però risolto dalla chiarezza che avviene nell’anima di Luigi.
Prima era buio, adesso è chiarezza.
Adesso vince il sollievo fisico e spirituale di Luigi; adesso il sacrificio, le privazioni, l’accettazione del sacrificio e delle privazioni vincono le preoccupazioni, i rimorsi, i tradimenti e le impurità del passato. Adesso vincono il rispetto, la gratitudine, perfino l’amore.
Tutto ciò, soltanto nel personaggio Luigi.
Negli altri personaggi minori tutto resta come prima e come sempre. Perché è la forza dell’anima che vince sempre, e l’anima è coperta e difesa dal manto invisibile di “qualcuno” che sta al di sopra di ogni concetto razionale e terreno.
Luigi sta attendendo i figli a Calèse, ma i figli non verranno.
“Perché non siete venuti, figli miei? Avreste avuto una visione nuova dell’uomo che sono, che sono sempre stato!
Ecco, che sono sempre stato.
E non sono sempre stato così, perché non ascoltavo quel “qualcuno” che si sbracciava di farsi sentire dentro di me. E io non me ne accorgevo…

Bisogna avere in sé un amore arcano che il mondo non conosce… Bisogna saper raggiungere il cuore di questo amore.
Il cuore dei cuori.
Purtroppo, nella vita terrena la verità è che bisogna essere capaci di simulare, e io non sono stato capace. La verità è che nessuno agisce a viso aperto ed io non sarei stato disprezzato dalla mia famiglia se non fossi stato così sincero… aperto… complice”.
Il vento rimescolava le foglie morte dei tigli. Caos.
Caos della vita, caos dell’abbandono. Disperazione e nullità. La disperazione viene dal cuore, dalla perdita di una persona amata, dal vuoto che questa perdita lascia per sempre nel cuore di chi ama. La nullità è tutto il resto. E tutto il resto sono i tentativi – sempre sbagliati – di eliminare questa perdita; sono i tentativi per camuffare le apparenze; sono i tentativi, sì mirati per il bene di chi si dispera, ma, comunque, mai usati per portare gioia in chi soffre.
Tutto il resto è anche l’indifferenza per il meschino abbandono
Qui è il caso di Giannina, figlia di Genoveffa, e Fili, suo marito. Fili fugge per stoltezza, e la volgarità regna sovrana.
La volgarità vince su ogni fatto umano, anche sul delitto.
Resta fuori Luigi. Luigi vince anche la malattia inguaribile nel cuore di Giannina. “Portami via” gli dice la nipote, “portami con te a Calèse”.
“Sarai sempre la benvenuta a Calèse” dice nonno Luigi
Ebbene sì. Luigi fa dire a Giannina “portami via”, perché non si scaglia contro Fili (e avrebbe tanti motivi per scagliarsi contro!). Luigi non lo assolve ma non lo denuncia, e neppure lo disprezza.
Questo è ciò che vuole Giannina.
Luigi dice a se stesso, nella grande solitudine di Calèse,: “No, non sono triste. Qualcuno mi ha capito e mi dà pace. E’ una vittoria!
Sono riuscito a convincere Giannina che Fili è una farfalla bianca come le altre… proclive all’alcol e a tutto il resto. L’ho convinta a credere che l’amore – secondo Fili – è un’occupazione, un dovere, una fatica. Nient’altro! L’ho convinta che Fili non è all’altezza della sua considerazione”.
Isa, Maria, Luca, Giannina, e Luigi dice, pensando a loro,: “Ho sempre cercato di perdere la chiave della bontà e dell’amore; la chiave che una mano misteriosa mi ha sempre teso. In fondo io, tenendo nascosta questa chiave, ho avvelenato l’adolescenza dei miei figli e l’affetto di mia moglie. Il mio cuore è rimasto per tutta la vita posseduto e dominato da un uomo implacabile e orgoglioso fino alla follia”.

Di Uberto, suo figlio, bastano queste sue parole scritte alla sorella Genoveffa: “Nostro padre ha avuto la furberia di trasformare la sua disfatta in vittoria morale. Non dobbiamo provare ammirazione né sentir gratitudine.

Cara Genoveffa, quel tuo miserabile genero (Fili) ha raccontato in giro particolari dannosissimi per la nostra famiglia. Tutto ciò avvalora la nevrastenia di Giannina e l’eccentricità di nostro padre che accoglie Giannina a Calèse. Di nostro padre non possiamo dubitare della sua parziale demenza. Giannina dice: - Il nonno è l’unico uomo religioso che abbia conosciuto -.
Indecenza!
Lei si è lasciata sedurre dalle preghiere e dalle fantasticherie di quell’ipocondriaco. In quest’uomo tutto è falso misticismo e tutto ciò mi dà un disgusto indicibile. Il suo è un misticismo fuligginoso; misticismo e fantasticheria che colpiscono la religione ragionevole e moderata”.
Uberto, un graffio nell’anima.
Ma qualcuno nella famiglia di Luigi vive, ed è Giannina. Giannina offre la via della speranza e della sicurezza.
La nipote scrive allo zio Uberto: “La mamma mi ha parlato della lettera che le hai scritto. No, caro zio, la tua denunzia è errata. Tu denunzi l’incerta e malferma religione del nonno, io ti affermo che lui ha avuto tre colloqui col curato di Calèse e a Natale si sarebbe comunicato.
Ma la morte lo ha sorpreso… ossessionato della sua integrità.
Il nonno sarebbe stato un altro se anche voi sareste stati diversi.
Adesso io frequento persone con difetti, debolezze ma con tanta fede. Loro sono in grazia di Dio….
Il nonno era là, dove c’era il tesoro… Ma là, dove era il suo tesoro, non v’era il suo cuore… Il suo cuore era altrove perché altrove viveva il suo vero tesoro”.

***

“Groviglio di vipere” di François Mauriac. Il romanzo delle verità; della Verità. Vent’anni dopo la pubblicazione di questo romanzo, (1952), l’autore cattolico francese riceveva il premio Nobel per la letteratura.

Recensione
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