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Viaggio al termine della notte

Nota introduttiva
In questa recensione ci sono tanti riferimenti a pensieri e riflessioni dell’autore.
E’ stato necessario.
Per me, recensore, è stato ancora di più necessario, perché in ogni pensiero, in ogni riflessione dell’autore, ho trovato qualcosa che mi accomunava a lui.
Non come uomo di cultura ma come Uomo.

° ° °

Una missione difficile, si direbbe impossibile, visto che bisogna entrare nella notte per tentare di trovare il giorno. Missione inverosimile, missione non facile per l’oscurità che regna dappertutto. Ci si chiede: è possibile vedere l’uomo nell’oscurità più totale? Sì, è possibile quando… noi chiediamo aiuto. E noi lo chiediamo, questo aiuto, a Goya e alla Street Art.

E’ così!

Avere coraggio per entrare in quella terribile notte che è la vita di ogni essere umano. Avere il grande coraggio di un uomo che ha percorso tutto se stesso davanti a questo buio; a questo buio a volte invalicabile, a volte incredibile, a volte impossibile da penetrare e risolvere. Eppure quest’uomo ha avuto il coraggio di continuare a scavare il buio della notte della vita dell’uomo. Quest’uomo ha vissuto la sofferenza scaturita da questo coraggio, quest’uomo non si è mai tirato indietro e si è messo, da solo, a misurarsi con tutto ciò che il buio della notte procura a ogni uomo.

Ma per conoscere l’uomo nel buio, bisogna distaccarsi dal mondo; bisogna distaccarsi dalla vita stessa. Bisogna… essere dentro il mondo; partecipare al buio dell’uomo; vivere insieme a questo buio, catturarne l’impossibile tensione, sentirne l’inutile suono, vederne le smorfie che vengono da questo suono.

Vederne le smorfie. Come è possibile, se il buio incombe e la notte è di quelle di tempesta senza fulmini. Dove l’uomo non ha scampo per vedere e non può nascondere le proprie paure.

E tutto ha sapore di zolfo e di pane avariato; tutto si dissolve nel fumo e nella polvere; e la notte si fa furiosa e arcana, tenebrosa, misteriosa, lontana.

E l’uomo corre in questa notte e non ha meta. No, non ha meta! Perché non ha meta? Perché la sua meta è il dolce canto di un usignolo che non ha nido e resta impigliato nei rami oscuri delle tenebre. Senza l’armonia del cuore. L’uomo è un’ombra che vaga su una strada che non ha argini e non vede al di là dei propri occhi, sempre chiusi dalla pesante oscurità. Lui vorrebbe aprirli, gli occhi; vorrebbe distruggere quel buio che gli impedisce di capire cosa c’è dentro l’oscurità della vita e della parola. Vorrebbe… e già il suo viaggio nella notte termina sull’orlo di un abisso. Ancora un passo e lui precipita; ancora un passo e lui non vede ciò che c’è al di là del baratro. E tutto resta sospeso nel dubbio di quel passo fermo sul baratro. Tutto non ha più un senso; eppure quel passo bisogna farlo proprio perché lui vinca la paura del buio; proprio perché lui, saltando al di là dell’abisso, possa continuare il cammino nel buio per poter rispondere a tutti gli echi dei suoni inutili eppure necessari.

Per andare avanti verso l’eternità… “Lontano, il rimorchiatore ha fischiato; il suo richiamo ha passato il ponte, ancora un’arcata, un’altra, la chiusa, un altro ponte, lontano, più lontano…. Chiamava a sé tutte le chiatte del fiume, tutte, e la città intera, e il cielo e la campagna, e noi, tutto si portava via, anche la Senna, tutto che non se ne parli più”. Sono le parole finali del “Viaggio al termine della notte” di Céline.

Ma quel richiamo del rimorchiatore non ha trasformato il cuore dell’uomo della notte; di quell’uomo che vince l’inganno del buio e lotta per affermare la sua voglia di continuare il cammino nel buio, fino al prossimo abisso. Per poi saltare al di là e proseguire. Senza paura, senza dubbi, senza l’inutile sforzo di trovare una soluzione. La vita non presenta soluzioni. E’ ciò che contiene il cuore dell’uomo la vera e unica medicina della soluzione.

Ma il cuore finisce di battere e la medicina della soluzione reclama antidoti che non sono della Terra.

E così, la strada prosegue nella notte e l’uomo cammina su quell’asfalto nero pece alla ricerca della medicina della soluzione e del guizzo che trasforma il buio in luce.

Mille medicine, mille trighi (è un termine céliniano), mille tamponamenti, ma tutto è inutile. Céline rivela una medicina di soluzione alla fine del suo “Viaggio”. Troppo tardi, forse. Forse inutile, perché qualunque medicina va presa durante la malattia, non quando la morte è già in possesso dell’ammalato

Così va il Mondo, così vanno le tesi e le supertesi del Mondo. Del Mondo qui in Terra

Se poi diamo uno sguardo al giorno d’oggi, vediamo che una medicina particolare riveste i panni del cane. Il cane: sì! Tutti hanno un cane e tutti vivono per quel cane.

Il cane: la medicina della soluzione che trasforma la notte in giorno.

Non è una cattiva medicina. Mezzo secolo fa anch’io ho avuto un cane, e quando morì gli dedicai questa poesia: “- Morte di Argo – Una lacrima/una preghiera/il silenzio:/la vita ti sfuggiva./Ricordi infiniti affiorarono:/corse sfrenate/mattini dorati/boschi di rugiada./I tuoi occhi mi sorrisero./Una carezza/un sussurro/un addio./Ti adagiai sotto la rosa,/le campane suonavano/a distesa./Era dicembre.

Ancora piango, se penso al cane di mezzo secolo fa.

Ma l’uomo vive nel buio, e lo produce e approfitta della vanità del suo buio, dell’ebbrezza del suo buio, della caducità, della pericolosità, del danno, dell’inganno: sempre del suo buio. Sempre e progressivamente, instancabilmente, volutamente, inesorabilmente.

Entriamo, per un attimo, nel mondo dell’arte – ma basterebbe andare in un qualsiasi stadio, luogo pubblico aperto a tutti, ente pubblico, luogo di divertimento, d’intrattenimento, strada, autostrada, spiaggia e altri mille più mille più mille luoghi di raccolta gente -.

Ma l’arte sintetizza lo zelo dell’animo umano. Lo scopre, lo vezzeggia, lo esalta e lo rende di dominio all’intera umanità.

L’arte – la pittura – raccoglie il soffio delle emozioni e delle realtà, dei segreti e delle aberrazioni… degli echi musicali – stimati o no – di ogni animo umano. L’arte va alla ricerca della verità. Qualunque, questa verità, essa sia. Il “Viaggio” di Céline va alla ricerca della verità dell’uomo e questa verità la trova nel grande mondo della solitudine e del silenzio.

Solitudine e silenzio: traguardi decisivi dell’uomo. E’ possibile raggiungerli? Sì, è possibile, ma… già, c’è un ma, c’è sempre un ma! Ma il loro mondo lo si raggiunge per “merito” di una morte importante; di quella morte che prima non esisteva e tu hai sottovalutato ciò che la notte dell’uomo nascondeva, l’hai snobbato, tenuto in nessuna considerazione. Quell’uomo – una presenza umana che viveva vicino a te – era motivo di fastidio, era tenuto in nessun conto, era freno per i tuoi movimenti e freno per il raggiungimento dei tuoi traguardi.

Era soltanto una scheggia d’intralcio, era il buio di una notte di tempesta senza lampi, era la nota stonata che disarmonizzava tutta la tua sinfonia creata da te per il tuo personale egoismo e vanità. Per non parlare dei tuoi inganni, delle tue ipocrisie e malvagità e sfrenatezze di sesso, di pancia, di parola e di giudizio.

La critica corre i suoi cento metri piani in meno di nove secondi.

La morte che rivaluta – rivaluterebbe – l’urlo di protesta di quell’anima sempre alla ricerca di un equilibrio Terra-Cielo. Di quell’equilibrio da lei mai raggiunto.

Il mondo pratico, concreto, corporeo, rifiuta categoricamente il mondo della spiritualità.

Non è sempre del tutto sbagliato.

Ma chi è alla ricerca dell’equilibrio Terra-Cielo, esprime fino in fondo l’uragano del suo spirito attraverso i segni della sua sofferenza. Di quella sofferenza catturata dall’Arte che produce verità.

Arte di qualsiasi corrente: pittorica, musicale, danzante, teatrale, poetica e letteraria nella sua totalità.

Fermiamoci all’Arte pittorica.

Soffermiamoci su Goya, il pittore spagnolo di Camera per eccellenza. Ebbene, Goya rappresenta l’essenza massima della contraddizione tra Terra e Cielo. Goya è l’uomo vero della sofferenza dello spirito, è colui che grida al mondo la sua protesta di essere uomo di Corte. E’ colui che vince se stesso, e non ha paura.

Il Goya della sua Pittura Nera è il Céline del suo “Viaggio al termine della notte”. Loro hanno colto il nero della nostra vita e superato la contraddizione Terra-Cielo

Da loro noi abbiamo imparato a capire questa contraddizione.

Loro hanno raccontato. Raccontato - uno coi suoi Capricci, l’altro coi suoi Viaggi sofferti – ciò che l’uomo nasconde dentro di sé.

Un segreto. Un segreto per ogni uomo. Un segreto difficile da raccontare, perché troppo pericoloso da svelare vista l’interpretazione – mai azzeccata – della vera essenza di questo segreto.

La vera essenza del segreto.

Ogni nostra convinzione, azione, giudizio, parola, grido di anima e di corpo… Tutto ciò viene adattato ai soli scopi di convenienza. Tutto si fa per soddisfare la vacuità della nostra esclusiva convenienza e giustificare il nostro esclusivo modo di pensare e di vedere.

Goya ha espresso senza paura il suo mondo comico fantastico: comicità feroce e assoluta, atmosfera fantastica, spinta da una originalità individuale assoluta. L’artista esprime tutto l’amore dell’inafferrabile – l’amore dei contrasti e dei terrori della natura – con la forza interiore della sua genialità e della sua allegria, mettendoci dentro questi contrasti e questi terrori, gozzoviglie, astuzie, assassinii, ipocrisie, malvagità, spregevoli dissolutezze, ossessioni, allucinazioni: luci e tenebre, fantasie grottesche e sogni dell’orrore… diabolicità.

Perché, infatti, tutto ciò che si fa nella vita, nulla ha a che fare con l’intelligenza comunemente conosciuta.

Giovinezza progressiva di chi cerca l’equilibrio Terra-Cielo dentro di sé. Questa giovinezza progressiva si mette in moto con la ricerca dei mostri che ci tormentano dentro; ricerca che provoca l’armonia dell’assurdo, dando vita a contorcimenti, facce bestiali, ghigni diabolici…

Il trascendente e il naturale, il reale e il fantastico, la tristezza e la solitudine… lo humour! Lo humour che dà una risposta, e la risposta non può essere che quella della possibilità di dominare l’orrore attraverso il movimento di un salto di umore. Anche di un impulso di violenza, anche di stati psichici di contraddittorietà che creano la rinascita di un terrore represso dentro il moto impulsivo del furore. Del furore, della rabbia, della sofferenza dei dubbi religiosi, dell’idea fissa della morte, del dolore immaginario, dell’erotismo sempre incombente, sempre ossessionante, sempre pronto ad assalirti, a confonderti e a distruggerti.

La giovinezza progressiva e provocatoria di Goya.

Incubi e aberrazioni dei sentimenti che tormentano l’intera umanità. Da qui non si scappa; come non si scappa dalle forze del male, dell’arroganza, dell’ipocrisia, della vanità, del decadimento fisico, della paura del dolore e della morte.

Incubi, aberrazioni, insensibilità, terrori, violenze segrete, impulsi incoscienti, sogni, surrealismi senza psicologie, drammatici interrogativi che perseguitano, contraddizioni che inquietano e lasciano perplessi, dubbiosi, arrabbiati, deboli e confusi.

Saturno ingoia ogni cosa, compreso la vita umana, distruggendo così il grido del tempo. Così giungono, inesorabilmente, la vecchiaia, la solitudine, la disillusione, la malinconia, la morte di tutti gli ideali che sostengono scopi e significati della vita.

Le smorfie sono ovunque, la sofferenza dei vuoti sorrisi e delle vuote parole non dà più scampo, tutto cade nel vuoto della notte e i Colossi non sono che fucilazioni nei disastri di tutte le guerre. Gli occhi allargati diventano finestre di terrore nel furore delle pallottole. Ancora feti cucinati, smorfie truculenti di calpestati, sgozzature, gozzoviglie, incesti, diavolerie, iperboli delle allucinazioni e dei sogni. Le nude fanciulle tentano i demoni.

Goya!

Perché ci si riferisce a Goya per introdurre il “Viaggio al termine della notte” di Céline? Perché si vuole andare a scavare dentro l’anima di un artista che, attraverso le sue crisi di vita – dalla malattia all’amore e alla solitudine - , sa fare esplodere nella sua anima tutta la potenza della sua sofferenza. Sofferenza di sapere con certezza che la vita dell’uomo si svolge nel buio della notte e che la luce del giorno la si raggiunge soltanto vivendo fino in fondo questo tipo di sofferenza.

La strada della sofferenza che porta alla luce del nostro esistere è indicata da Goya già vecchio; ed è la stessa strada indicata da Céline nel suo “Viaggio”; da un Céline giovane che vive il furore dei suoi trent’anni.

° ° °

Street Art.

A Berlin-Kreuzberg c’è un grande graffito. Il titolo è Blue, JR and Reclaim Your City, è del 2007. Non so altro. So soltanto che quegli occhi – due sporgenti in avanti e due capovolti – sono sospesi sul grande caos della città e penetrano dentro ogni cuore che li guarda. Quegli occhi – due in avanti e due capovolti - confermano la vacuità delle due facce fantasma che offrono l’angoscia del nulla sull’accozzaglia del tutto. Occhi che offrono l’angoscia che è il grido del grande urlo dell’anima che non sa farsi ascoltare.

Mai nessuno ascolterà mai questo urlo!

Ebbene, è così! Il grande urlo dell’anima che non sa farsi ascoltare, non sarà mai ascoltato da nessuno quando avrà tra le mani il “Viaggio al termine della notte” di Céline. Perché a nessuno piace vivere nella notte; a nessuno piace sapere che la sua vita umana è la grande notte del nulla e del silenzio.

Il nulla e il silenzio sono segni inconfondibili di tristezza e di insicurezza.

Goya e Céline hanno cantato la sofferenza della notte dell’uomo. L’hanno vista, questa sofferenza, in tutti i visi, in tutti i movimenti, in tutti gli urli e le spinte. L’hanno vista in tutti gli improperi, le minacce, le disgrazie, le illusioni, i desideri, le disillusioni, i morti e gli errori. In tutto ciò che un uomo può offrire a un altro uomo; in tutto ciò che una società umana, una civiltà nuova, un progresso annunciato, promesso, voluto e disconosciuto, possono offrire a un’altra vita. E tutt’e due – Goya e Céline - hanno capito che il nulla della vita dell’uomo ha mille facce che fuggono e sfuggono a ogni pur minima considerazione di ordine materiale e spirituale. Ognuno di questi due uomini – uomini di talento e di sofferenza – hanno errato dentro il loro mondo interiore, producendo immagini e parole che nulla hanno a che vedere con la vita comune della gente, a qualunque classe la gente appartenga e di qualunque mentalità essa sia.

Ognuno con la vita comune della gente della propria epoca: la lontananza delle smorfie succulenti e garbate dell’epoca di Goya; l’accettazione di quei quattro occhi- due in avanti e due capovolti – appartenenti a due inqualificabili fantasmi anonimi che scrutano le cianfrusaglie dell’epoca di Céline.

L’epoca di Céline è l’epoca che ha prodotto la spinta verso le cose inutili, ormai inarrestabili. Inarrestabili e senza possibilità di salvezza, senza una pur piccola via d’uscita e di sicurezza.

Céline ha visto tutto, ha previsto tutto, ha descritto tutto. Ma non gli era per niente difficile vedere, prevedere, descrivere. Perché lui ha costruito, di ogni suo passo di vita e di viaggio, un salvadanaio che raccoglie le luci e le ombre, i sorrisi e le lacrime, le urla e i silenzi; il tutto contenuto nell’esperienza umana della certezza del nulla, di quel nulla dove dentro c’è il tutto, e il tutto è il centro liberatorio delle proprie deficienze che producono debolezza, fortezza, coraggio, dubbio sul come toccare il traguardo, come arrivarci, come riconoscerlo e cosa farne dopo averlo raggiunto.

La forza di chi conosce se stesso fino in fondo e nulla vuole da nessuno.

La lotta di Céline è una lotta rivestita di coraggio, di grida e di silenzio. E’ una lotta sconosciuta e non voluta da nessuno; una lotta che dà fastidio perché non in linea con nessuna logica, nessun contro egoismo, nessun sogno, nessuna illusione, nessuna voglia di grandezza, ricchezza, onore e vanità.

Dove è possibile trovare un simile uomo? Come è possibile che possa esistere un simile uomo? Quale profitto può portare alla società umana un simile uomo? Interrogativi, soltanto interrogativi forse inutili, forse senza senso, senz’altro improduttivi per un progresso economico e sociale.

Già, senz’altro!

Eppure il “Viaggio” di Céline pur contenendo gli interrogativi detti sopra, risulta che quando questo “Viaggio” fu scritto, l’autore aveva si e no trent’anni e il manoscritto fu subito catturato per essere immediatamente pubblicato.

Esiste. Sì, esiste! Esiste il mondo sommerso di chi crede nel mistero della strada senza fine che porta a un traguardo di autentica salvezza dell’uomo.

Esiste!

E’ solo questione di crederci; credere che questo tipo di mondo esiste. Perché veramente, leggendo il “Viaggio”, questo mondo esiste.

Quando hai davanti il “Viaggio al termine della notte” di Céline, non sai ancora. Non sai ancora il grande valore che l’uomo si porta dentro. Se leggi quest’opera, allora sai! Sai cosa realmente contiene il cervello e il cuore dell’uomo. Di quell’uomo che vuole a tutti i costi uscire dalla notte in cui lui è.

Lo sa. Sa che soltanto andando al di sopra di tutti i luoghi comuni – la verità assoluta della vita -, lui uscirà finalmente da quel buio che dalla nascita lo segue, lo insegue e lo perseguita.

Se lui è un uomo. E lui vuole esserlo!

Bisogna dirlo che si è uomini? Come bisogna dirlo? E’ necessario dirlo? L’artista lo dice, e lo dice con la sua esclusiva espressività. Peccato che l’arte sia vista soltanto da chi vuol vedere in essa esclusivamente il bello e lo scenico. Il bello e lo scenico sono la notte dell’opera d’arte. La notte è sempre più diffusa, il buio incombe sempre di più negli animi; e così aumentano le paure, i dubbi, gli inganni, le malvagità, la non conoscenza del giorno. Così il sole è solo un mezzo che acceca e brucia, e l’uomo brancola sulle strade del mondo alla ricerca di quella penombra – mezza luce e mezza ombra – adatta al suo equilibrio Terra-Cielo.

L’uomo brancola: ma vuole tentennare, vuole brancolare?

L’equilibrio Terra-Cielo!

Ma la magica Terra, da sola, non ce la fa a soddisfare le cose dello Spirito, e il Cielo, da solo, resta lontano, invalicabile e inestricabile, arcano e pieno di silenzio.

Soltanto l’opera dell’artista – di qualunque corrente d’arte sia – dice e svela. Ma… - Céline lo afferma deciso – è il commercio che conta; e il commercio è esclusiva proprietà della Terra. Così dice Céline che riconosce, con logica inattaccabile, bisogna pur mangiare!

L’animo dell’artista sanguina e piange lacrime di gioia e di dolore. Una freccia vola sulla parete sbrecciata e si spinge in alto, va verso il vuoto, si disperde. Ma la scala sotto la freccia sta lì, affiancata alla calce del muro, e intorno alla scala – non abbrancati – si arrampicano sul muro i fantasmi: qualcuno cade, qualcuno guarda pensoso restando muto nella riflessione degli avvenimenti. Forse da qualche parte c’è un grande grido rosso, forse i grandi occhi spalancati sulla caverna della bocca sono atterriti da qualche cosa: ma da che cosa? E’ per via dell’incertezza della scalata? Oppure per l’insicurezza della caduta? Oppure da una rabbia eternamente repressa dentro? Più facile è che sia per via di quel grido rosso che incombe sul buio pesto della notte!

Altro graffito.

No, non ci sono segni rivelatori. C’è soltanto un corpo meravigliato tridimensionale. Jetzt! Now! Ora!... Ma già il sommovimento della rabbia incontenibile produce strappi, catastrofi, mostri, smorfie della morte e del dolore, smorfie della curiosità, del pensiero, della sorpresa… L’autoritratto produce le informi cellule dell’infinito, il segno dei tempi produce sorrisi di cadaveri e palazzi di città in caduta verticale… Ancora una fantastica carrellata di immagini problematiche, ancora musiche liberate da jazzisti scatenati che accompagnano la fantasia delle immagini.

E’ la liberazione dell’anima, la gioia di andare in alto, il guazzabuglio del Crack e del Wack, che colpisce – non finirà mai – l’ondeggiare frenetico delle folle e delle follie.

° ° °

Ancora Céline…

Céline con la sua guerra. “Io sono io, per l’ordine costituito e non mi piace la politica… Randellate… noi a sputare l’anima giù nelle stive… loro con le femmine… Banda di carogne, è la guerra. La guerra, insomma, è tutto quello che non si capiva… Sapete quel che grida ancora meglio che morire, trasportando sacchi per riempirci la notte? No?! L’odore della merda… Se poi penso a quel convoglio che portava via tutto, ci faccio su una risata. Perché? Perché portava di tutto, sì; tranne le fuga”.

Piccoli spunti céliniani sulla guerra; spunti che ricordano maliziosamente una frase di Goethe rimasta famosa. Goethe disse: - Il soldato è gratis -. Ancora un piccolo spunto sulla guerra che riguarda la poesia eroica. “Frottole, invenzioni, torture delle anime. Tutto qui! E’ poi vero che la guerra saggia i sistemi nervosi come dice la poesia eroica?

Mia madre credeva… accettava l’incidente della mia morte, tutto è spiegato. Come dire: - La mia morte avviene su quella terra dove marciscono i morti e cresce il pane -.

Smanie, ovazioni, stupori, drammaticità… rime fiammeggianti, eloquenza! Così è la poesia eroica.

Stai lontano da me, intelligentone!”.

° ° °

Ancora e sempre Céline.

Questa volta è in Africa.

Welcome… Squatter’s Sign. E su quel pezzo di muro biancastro lo squatter se la ride tutto bianco con gli occhioni neri e la bocca tutta rossa. Se la ride con le braccia alzate e poi, in basso del corpo saettante, una lunga linea attorcigliata al posto delle gambe.

L’effimero.

L’effimero, i quattro occhi sotto il cappello e tutto si fa curve e controcurve: ciò che resta è l’impressione della vastità con il bambino che gioca coi cubetti messi insieme a dire: Kill People.

Sì, il popolo uccide.

Ma non uccide le voci aggressive degli europei nei boschetti abitati da pipistrelli e grilli; non spegne le martellate dei gong nelle notti; i giovani saranno sempre entusiasti dei loro padroni; gli scorpioni, i serpenti e i topi strisceranno sotto la grande luna, con le zaffate di acido fenico che usciranno sempre come turbini impazziti dall’ospedale accanto al Palazzo del Governatore.

Gonfiare e smagrire: due modi per pregare sotto il sole. I coccodrilli restano indifferenti ai negri, il fogliame è squillante, le lattughe sono deliranti e la valvola di respiro degli uomini resta l’ospedale che li mette al riparo da tutto ciò che è oggetto da dimenticare.

La miseria è vomito di rassegnazione.

Popolo bambino killer, ma bastano due autorità militari in un luogo sperduto dell’Africa per creare due civiltà diverse. La civiltà di chi non gradisce pensare e vuole tassare tutto amministrando giustizia e commercio; la civiltà di chi vive di rassegnazione senza però mai mollare, perché vive col cuore in mano, vive di tenerezza, vive con la certezza che soltanto vivendo così si rifà il mondo, o lo si migliora. O lo si cambia perfino totalmente.

Non c’è giustizia nel popolo povero dell’Africa; non c’è commercio sporco in chi s’ingozza di manioca avariata.

C’è invece la speranza di riuscire a fuggire e salvarsi, in chi dice: - Già, dopo tutto ciò che ho dovuto subire in questo inferno di tramonti tragici, rumori di gola di rospo, gente con la faccia velata di insetti; dopo aver sopportato negri bighelloni, gesticolatori, masticatori di cola, malarici; dopo aver trovato tutto rubato e aver capito che la legge è il grande luna park del dolore. Beh, è inutile continuare ad ascoltare gli usignoli che cantano come gli sciacalli e io sprofondo nelle cianfrusaglie, nei ricordi e negli odori di catrame in mezzo a civette, leopardi, rospi e pappagalli. Ecco, sì, fossi matto! Io ritornare a giustificarmi davanti a un tribunale di sciacalli bianchi? Eh già, fossi matto! Io dico: - Fidarsi degli uomini è già come farsi uccidere un po’… -.

Le farfalle pesanti e larghe hanno già preso il volo. Meglio seguirle. Via da queste grandi formiche rosse divoratrici di pomodori in scatola, meglio farsi vendere e rifarsi comprare”.

° ° °

Ancora e sempre Céline nel suo “Viaggio”.

Ormai siamo in America, negli Stati Uniti, a New York, la città in piedi. Qualcosa fugge dalla statua della Libertà, qualcuno sale fin dove non si sa, qualcuno lotta contro il sexismo, cerca la verità, cerca l’ultima notizia, ora e subito: la bocca dell’orco stritola pianti e pensieri. Perdere la faccia, cercare lo stile di vita personale, nascondere il proprio viso tra le mani ingiallite di tenerezza. Il diritto e il rovescio, la lingua che si attorciglia nelle fibre dei muscoli. Streetcar Stop: le astronavi si scontrano, gli astronauti perdono la bava del cielo; Cutout: meccanismi infernali hanno il viso d’angelo di bambino; Electronic Revolution: i giaguari incombono dall’alto; Subway Ghost, tutto resta impigliato tra macchine, palazzi di vetro, suoni, rumori, vetrine colorate, facce anonime e truci, facce lontane. Si sale sulle metropolitane, sugli autobus, sulle scalinate delle fontane e dei parchi pubblici. Tutto un movimento con ansia, tutto un correre via nell’alto Inferno Espresso (Hell Express): quanto ridono quei due diavoli, rossi e forzuti!

E’ questa l’America? Questa è New York? Nell’anima di Céline questa è l’America, questa è New York.

E ancora di più.

Lui, Céline, dice: “I galeotti europei non piacciono agli americani, non piacciono ai newyorkesi… Tutti galeotti anarchici!”. Céline insiste: “Dollaro, soltanto dollaro. O sei milionario o sei carogna”.

Siamo già nella nostra epoca di oggi!

“La pioggia, le muraglie vertigini alla rovescia, le finestre tutte uguali… Camminai verso una spaccatura stretta e buia, sporca di grasso… Tenebre… Persone piccole e grosse risalivano nella città: naso all’ingiù. Nella Subway, gabbiani, cielo grigio, muri cotone sporco da una porta all’altra. Tutto si muove verso una fine che non si vede mai; ed è la fine di tutte le strade del mondo. Luce glauca immobile fra le case”.

E’ una folla, un cielo, una città che non ci sono più. Céline ha visto questa folla, ha visto questo cielo, ha visto questa città. Céline ha sofferto con questa folla, con questo cielo, con questa città. Contegni e volgarità, angosce, precarietà, gioventù… silenzio.

Canto di un delirio d’anima, solitudine feroce, isolamento opprimente, vuoto, catastrofe spirituale.

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Ecco, l’America!

Céline ci si è trovato dentro assorbendone tutta la sofferenza, tutta la problematica, tutta la solitudine, tutto il vago terrore dell’indifferenza. Poi, ancora, cautela, crudeltà, malizia, nessun mistero, nessuna ingenuità, nessuna poesia.

Il parlare schietto di Céline; forse troppo schietto, troppo aperto, troppo rivelatore.

“E’ tutto un cazzo fritto la vita - qui e altrove… ovunque! -.Minacce dirette, occulte, imprevedibili… donne carnose con muscoli e gioielli.

Tutto triste. Un parlare e un mentire: indolenze, banalità, recite, vigliaccherie. Tristezza fisica e morale.

Ancora vanità, ancora orgogli, ancora menzogne; il “Viaggio” corre alla ricerca del niente assoluto. Poi la battuta céliniana che non ha confronti: “La miseria si serve della tua faccia – delle facce di tutta l’umanità – per asciugare l’immondizia del mondo… Essa, la miseria, non è soltanto fame e povertà; essa è la malattia segreta incubata in ogni essere umano”.

Certamente, Céline non si riferisce soltanto all’America.

Poi, però, l’America insegna a Céline qualcos’altro.

Ora è alla General Motor di Detroit. Lui dice: “Qui si diventa vecchi in un colpo solo. Abolita la vita fuori dalla fabbrica. Nessuna relazione con nessuno. .. Delirio. Voglia di vedere gente di fuori.

Caos!

Conobbi Molly, lavorava in una “casa”. Con lei, intimità di anima e di corpo. Un essere umano s’interessava a me, al mio dentro… Inquietudine. Ma era troppo tardi! Il mio vizio di scappare da ogni posto. Alla ricerca di non so cosa… Orgoglio? Impulsività?”.

Céline dice orgoglio e impulsività. Noi aggiungiamo: oculatezza!

Tu, Céline, capisci che dove sei e con chi sei così non va. Il perché non lo sai. Eppure tu sai che il luogo e la persona non sono per te. Non sai perché ma è così. Tu, qui, ti senti assolutamente incompleto.

Sta salendo, Ferdinand, il buio della notte. Ed è il buio nero dell’incertezza, della lontananza da te stesso, dal tuo animo e dal tuo cervello. Ed è anche il buio nero dell’incompletezza: qui, come sei messo, cosa sei e per quale scopo vivi, non ti basta. Non è così che devi essere; non è così che devi finire la tua vita. Così come sei non riuscirai mai a conoscerti.

Entrata in scena della parte in ombra di Ferdinand.

La parte in ombra di Ferdinand lo pungola. E’ quella sua parte di cui parleremo in seguito. Diffusamente. Coscienziosamente. Spiritualmente. Ebbene, questa sua parte – la sua parte in ombra - lo interroga. Gli dice: “Ferdinand, cosa desideri?”.

“Finire gli studi” risponde Ferdinand. “E’ una promessa a me stesso, una promessa per conoscere di più me stesso, una promessa per togliermi un po’ di notte di dosso e andare più lontano degli altri nella notte.

Insomma, una promessa per cercare di arrivare il più vicino al giorno”.

° ° °

Ferdinand ritorna dai suoi viaggi; viaggi di conoscenza e di sofferenza. In Francia, a Parigi, finisce gli studi, diventa medico e apre uno studio a Rancy, vicino a Parigi.

Il grande passo, la soluzione…

Ma non c’è soluzione in chi vuole essere utile agli altri senza farsi pagare. Alla fine sei anche disprezzato da chi vuoi aiutare. Il farsi pagare è un diritto; chi non si fa pagare vale poco, la sua opera è scadente, non è affidabile, è da lasciar perdere.

Disprezzare!

Lo dice Céline.

Il medico Ferdinand lotta contro tutto il suo quartiere, ed è una lotta persa già in partenza, perché il mondo non è di chi guarda avanti per valorizzare la sua interiorità. Che equivale a dire: - Cercare di realizzare il dono della bontà, dell’aiuto, dell’altruismo -.

Non c’è speranza in quest’uomo? La speranza c’è ed è sempre presente in chi crede in se stesso e in qualcosa che va oltre se stesso. Ci saranno sempre dubbi e incertezze, difficoltà di ogni tipo da affrontare e superare. Ma la speranza di credere in se stesso si trasforma, piano piano, in certezza. In soluzione certa. In risultato vero. Anche attraverso la morte di una parte di sé. Proprio attraverso la morte di una parte di sé.

Perché Robinson, l’altro protagonista errante e vagabondo del “Viaggio”, è l’altra parte di Ferdinand, la parte in ombra, la parte che non può realizzarsi se non offrendo la propria morte per dare vita a chi gli sta vicino e gli è dentro.

Per arrivare a ciò, Ferdinand-Robinson ha da superare dentro se stesso il turbine delle riflessioni, il che non è poco. Ma è proprio attraverso questo turbine che una certezza arriva – naturalmente, resta una certezza che non appartiene esclusivamente a questo mondo -. La certezza resta coinvolta in una incognita e soltanto dopo aver accettato l’incognita della certezza, il “Viaggio” di Ferdinand può dirsi risolto.

Non con orgoglio, non con impulsività.

E adesso si va alla ricerca del turbine delle riflessioni che ha portato Ferdinand alla soluzione dell’incognita della certezza.

Ferdinand è Céline, Céline è Ferdinand.

Parole di Céline: “Si cerca questo nella vita: la gran pena possibile per diventare se stessi prima di morire”.

Il medico Ferdinand è a Garenne Rancy, periferia di Parigi, dove sul metrò la folla si accalca e si struscia, ma… bisogna pur mangiare! E i vestiti sono avviliti, fradici, sporchi. E l’angoscia della sopravvivenza striscia, e l’operaio infortunato con la garza bianca legata alla spalla non sa cosa fare né cosa pensare, e i ragazzi prendono la tifoide mortifera respirando polvere di tappeti sbattuti e smog di ciminiere vecchie e senza protezione. A Garenne Rancy gli aborti abbondano e le famiglie in difficoltà cercano la soluzione del bilancio familiare sfruttando opere di misericordia, senza guardare tanto per il sottile il dolore che si mette nel cuore di chi usufruisce di queste opere.

Un aborto… il medico dice: “Fare qualcosa era mia dovere. La tangente a chi mi aveva dato la notizia andava versata”.

Il buio della notte sommerge tutto, anche la sanità.

La sanità.

“Lei crede, collega, ai sieri… ai vaccini… crede nella scienza? Ci sono specialisti ormai dappertutto… c’è da morirci per una tifoide maligna… Meglio pensare al riscaldamento centrale sulle emorroidi. Ci sono tanti vegliardi e, magari, ci scappa anche un premio di qualche accademia”. Parole di uno scienziato, già professore di Ferdinand all’università, che dice adesso al suo antico discepolo per una consulenza richiestagli a proposito di una tifoide maligna.

Follia di andare avanti; cos’è la giovinezza? E’ lo zelo di invecchiare. E la scrittura? Una rivelazione scaturita da riflessioni. Ecco perché queste che seguono sono riflessioni di Céline adatte alla giovinezza.

“Non farsi illusioni, la gente non ha niente da dire, ognuno pensa soltanto alle proprie pene”. “Si fa finta di dimenticarsene, ma il fallimento, le discriminazioni, provocano una smorfia che impiega 20/30/50 anni per salire dal ventre alla faccia. Ecco, è così! La smorfia sale, sale, sale, finché arriva a far vedere sulla faccia l’odio, la sofferenza, il disprezzo. l’insofferenza, la noia e il fastidio che hai tenuto dentro di te per tutta una vita”.

La smorfia: lo specchio segreto dell’interiorità umana.

Robinson tossiva… i suoi acidi nei polmoni con il lavoro che faceva, lo demolivano. “Nella tomba starò un po’ meglio” diceva.

Da qui, Céline continua la sua classica fraseologia.

“Gli uomini si accaniscono sull’avvenire a palle di merda”. “Gli americani cercano di mollare le loro abitudini con la musica. Già! Ma nella musica c’è l’aria della morte”.

Realtà, conoscenza della sofferenza umana, forse fastidio; ma dalla crudezza della ragione non si scappa.

E la parte in ombra dell’uomo contiene sempre dentro di sé il frutto marcio che intacca le parti vitali del corpo e fa morire. Robinson, la parte in ombra di Ferdinand, cancella ogni luce nella notte fonda. Lui vuole la grana a tutti i costi, cerca di dare la morte a chi non la merita per avere la grana, si acceca per dare questa morte, s’intestardisce a portare a termine questa morte e ci riesce senza provare rimorso: qui è il buio totale che ha invaso la sua interiorità.

Ci sarà una luce a rischiarare questo suo buio?

Progetti tristi della vita e della morte, della luce e della notte e… delle economie. Di terribile in noi c’è solo quello che si ha paura di rivelare. “Ma” dice Céline, “quando ci sarà il silenzio non avremo più paura di stare zitti”.

Parole di chi ha scritto il “Viaggio” dentro la notte per uscirne fuori e finalmente vivere, da solo, nella luce.

Ancora Céline.

“C’è un momento in cui sei solo quando sei arrivato in fondo a tutto. Allora devi tornare indietro tra gli uomini”. “Mia madre ricordava solo tristezze e morti. Sì, è vero, tristezze e morti esistono, ma esiste anche dentro la nostra interiorità una forza che distrugge tristezze e morti. E’ il grido – l’urlo – della nostra coscienza; meglio ancora, della nostra anima. Ecco perché io dico a mia madre: - Sì, è vero tutto ciò che dici, ma io mi sento lo stesso colpevole. Tu mi ricordi quanto sia triste la vita e quanto sia spietata con tutti gli uomini. Eppure dentro di me c’è un’altra pena che mi fa star male. Ed è questa: io mi sento colpevole di desiderare che tutto vada avanti. Non c’è dentro di me nessuna controindicazione… nessuna controindicazione ad andare a gironzolare sempre più lontano nella notte”.

La nostra coscienza, la nostra anima, la nostra umanità.

La vita è una scheggia di luce che finisce nella notte. E questa notte è la notte delle collaborazioni ambigue. Qui, nel “Viaggio” c’è la collaborazione ambigua tra il medico Ferdinand e il prete don Protiste per indurre Robinson e la vecchia Henrouille a trasferirsi insieme nel Midi della Francia. Destinazione Tolosa, gestione “morti in cripta per turisti”.

Cautela e audacia (la vecchia è stata la vittima mancata di Robinson). Una notte di paura per non dire né sì, né no.

Céline mette Ferdinand in una situazione interiore che è caustica, audace, perplessa e nello stesso tempo piena di speranza. La collaborazione ambigua tra Ferdinand e don Protiste, Céline l’aggiusta con una sua tipica affermazione. Audace ma azzeccata. Lui dice: “I preti sanno sempre soffocare i peggiori scandali”.

Cosa s’intende per “i peggiori scandali”? Cos’è uno scandalo? Quando un’azione umana si tramuta in scandalo? Quanta “intenzione malvagia” scorre in questa azione?

Céline è caustico e aggiusta tutto mettendo davanti allo scandalo la figura del prete; la sua “spiritualità”.

Ancora una verità céliniana.

Il medico Ferdinand decide di cambiare quartiere. “Non se ne può più” dice Ferdinand a se stesso. “Troppe ipocrisie, troppe miserie umane, morali e spirituali, troppi piccoli intrighi, di salute e pensionistici. Troppi leccaculo, troppe insinuazioni, pettegolezzi, malattie immaginarie e rifiuti di ricoveri in ospedale.

Troppe cose che vanno in controsenso con l’effettiva voglia di curare, aiutare, assistere e salvare per il medico che vuole fare il medico a tutti gli effetti. Tutto è inutile. Allora, lasciare libero il campo. La gente arriva a conoscerti e poi ti frega. Già, è così. Almeno, per chi vuole dirsi allo specchio: voglio essere un uomo vero!”.

Ferdinand ci pensa su un momento, è fra la gente, se la ride con se stesso, poi riflette ad alta voce: “Vorrei parlare con questi passanti… al diavolo! Andate a cagare! Non potete più farmi niente…

Siamo tutti come palle da biliardo. Tutte partono violente e tonanti e non vanno da nessuna parte. Ci si ritrova nel silenzio quando è troppo tardi… come la morte.

Sì, vado altrove. Questi che incontro non mi possono aiutare a capire”.

° ° °

E’ tutto a posto? Ferdinand ha risolto tutto? Domande impertinenti.

Il medico Ferdinand ha lasciato il suo studio, il dispensario che gli arrotondava l’entrata dei magri guadagni, e tutta la sua professione a cui lui è legato. Sì, una professione svolta con rabbia per la caduta a picco delle coscienze dei suoi pazienti, ma anche con il cuore e la passione di far bene e del bene.

Ma li vedete, voi, tutti quei suoi clienti ammalati che pendono dalle sue labbra e tengono la testa dentro le fauci del mostro dell’imbecillità, mostrando il sedere (Céline direbbe culo) nudo senza tanto ritegno? Il sedere sia pur nudo, ma faccia moda e crei fantasia. Se poi la fantasia è erotica tanto meglio.

Grandi occhi cerchiati bianchi, puntino nero al centro, un solo sopracciglio nero sopra il cerchio bianco destro allargato fino alla punta del naso. Faccia totalmente blu, naso rosso, bocca velata di verde, capigliatura nerissima tutta intorno alla grande testa. Lo sfondo è invaso da circolini neri e color mattone.

Un viso stonato.

Sono i suoi occhi allargati che mettono paura, sono quei sederi nudi dentro le fauci del mostro che ormai li ha tutti divorati la fine di tutti i sogni.

Il medico guarda soddisfatto i sederi e le sue labbra sono pallide e tristi. Questo medico è davanti al Tarapout – il cinema, il parco dell’attrazione di una volta -. In questo “inferno” si muove gente appiccicata l’una all’altra e le luci schizzano le loro lame sulle ghirlande e sui sederi nudi. Lampade sono distribuite dappertutto.

Qui, tutto è il contrario della notte.

Il medico sta con le colleghe inglesi giovani, ancheggianti, vocaleggianti, vezzeggianti… bandere melodiose e lui è il Pascià infagottato d’oro e d’argento… Poi farà il policeman.

Canzoni allegre, canzoni che dicono la miseria del povero mondo. Vocine esili e false che cantano l’amore… ed è qui la grande miseria del povero mondo. Ma il Pascià e il policeman – il tutt’uno con il medico – raccoglie le lamentele dei cuori con il decoro improbabile della falsità.

Delirio di menzogne, spettri e fantasmi.

Il medico vuole ritornare a visitare Rancy.

“Andai a Rancy, rividi la moglie di Henrouille, rividi il marito che stava morendo coi suoi polmoni marci”.

E qui, ancora una miseria della moglie. Lei disse al marito: “Dove hai messo la dentiera d’oro?”

“Nel cesso!”. Il marito ha avuto ancora questa soddisfazione prima di morire.

La moglie è la donna per eccellenza della notte e la notte resta dentro di lei per tutto il tempo della storia del “Viaggio”. Fino a quando Ferdinand, il medico, dice di questa donna: “Io ero arrivato più lontano di lei nella notte… Non era abbastanza istruita… Lei non poteva più capirmi… non capire quel che capitava intorno a noi. Ci vuole cuore e cognizione per andare più lontano degli altri. Non si sale mica nella vita, si scende. C’era troppa notte per lei intorno a me”.

E’ la fine di una triste storia di miseria umana e spirituale di una donna che nella vita non ha saputo uscire – neppure per un solo giorno – dal guscio imbrattato di egoismo familiare.

La signora Henrouille rappresenta il buio assoluto della notte dell’uomo.

E finalmente esce dalla scena.

Anche l’altra Henrouille la vecchia madre di Henrouille, è la rappresentazione in assoluto dell’avidità umana. Con qualche schizzo di negativa follia: eredità di un fallimento di educazione giovanile.

“La notte incombe, il diavolo possiede tutti i trucchi per tentarvi” dice Céline. Che rincara: “Sono troppe le cose da capire, la vita è troppo corta. Non si vorrebbe fare ingiustizia a nessuno… esisti… sprofondi… all’inizio ti spaventi nella notte, ma vuoi capire lo stesso. Allora non lo lasci più l’abisso. Non bisogna perdersela la propria notte… Stupidaggini rabbiose e affannose, cascami di argomenti all’assalto del nulla. Uno ascolta, aspetta, spera che la cattiveria si organizzi. Ma è solo un agitarsi e non accade mai nulla”.

Già, non accade mai nulla in chi cerca di coprirsi gli occhi per non vedere il buio della notte. Le sue orbite sono quelle di un morto… come di q1uei morti nella cripta di Tolosa gestiti dalla vecchia Henrouille… In fondo alle orbite nessuna notte. Eppure quei morti hanno qualcosa di umano che il vivente che rifiuta la notte non ha. Céline dice a proposito dei morti della cripta: “Hanno lo sguardo dolce come quello di chi sa. Ognuno ha l’aria triste, ma… quei morti sono morti contenti”.

Voltiamo pagina. Baryton.

Baryton, il proprietario dell’Asilo degli alienati che non porta rancore a nessuno, purché nessuno metta il naso nei suoi profitti.

“Mancanza di Etica” dice il suo scienziato Paradine. Ma Paradine, secondo Baryton, ha un’intelligenza arbitraria. Non si adatta a nulla. Lui si vendica ed ha l’intelligenza per trovare il sistema per vendicarsi. Ha una mente matematica.

Stravaganze? Baryton dice che le stravaganze dello scienziato non sono mai inoffensive né comuni. E questa sua voglia di giustizia? Baryton dice:”Quelli che parlano di giustizia sono i più arrabbiati del mondo. Comunque” prosegue “non c’è avvenire in nulla. L’inadattabilità, l’alcol, l’erotismo, i nuovi metodi di cura degli alienati…”. Qui, Baryton si ferma per riflettere, poi allarga le sue visioni alienistiche di cura e di gestione della cura, dicendo: ”Tutta elettronicità; più nessun rispetto, più nessun scrupolo, analisi supercoscienti, ambizioni apocalittiche. Lotta contro la logica, lotta perversa, sboccata, frenetica, originale, schifosa, creativa.

La logica? Siamo in presenza di dotti psicologi veri progressisti. I malati sono guidati ormai dalle famiglie. Adesso per guarire un malato matto bisogna farsi matto come lui. Così lo si guarisce meglio”.

Tutto, per Baryton, va nell’abisso; lui non ce la fa più. Cosa fare, dunque? Mollare tutto. Disperazione spirituale. Nulla da fare. Vertigine. Abiurare tutto, disconoscere tutta la propria carriera.

La natura puerile e tragica di Baryton corre in parallelo con la natura puerile e tragica di Mammouth che si sbottona davanti all’Eternità.

Baryton a Ferdinand: “Lo so. Ma lascio la casa. A lei la direzione, a Parapine i macchinari, il laboratorio.”.

Da lontano, fuori dal finestrino del treno che portava Baryton al Nord Europa, la sua mano si agitava laggiù nel fumo, proiettata sulla notte, attraverso i binari, sempre più lontana… bianca.

° ° °

Il “Viaggio” di Céline non ha pace. Non può averla. E’ la storia della notte dell’uomo. E la storia dell’uomo, di ogni uomo. E la notte è buia; e il mistero della storia dell’uomo non dà scampo a chi crede nell’uomo. Cercare la luce. Cercare una luce che dia la soluzione.

Ma il “Viaggio” è ancora difficile. Anzi, adesso si fa ancora più difficile, e non ci sono vie d’uscita, non ci sono vie di sicurezza, non c’è respiro.

Tutto è difficile!

Come d’altronde deve esserlo un “Viaggio” che sprofonda in ogni situazione umana, che tocca ogni vita umana, che affronta ogni problematica umana.

E’ inutile girarci intorno. Bisogna affrontarlo fino in fondo, questo “Viaggio”. Non c’è niente da fare. Ed è proprio per questo che questo “Viaggio” è grande.

Il “Viaggio” termina con la vecchia Henrouille, Robinson-Ferdinand, Madelon e Sophie. Alla fine uno spiraglio di soluzione c’è. Ma la soluzione non può avvenire solo appellandosi alla Terra

La soluzione. Riconoscersi impotenti, usando le nostre sole possibilità umane, a dare serenità e risposte a chi ne ha bisogno, improrogabilmente, al momento del trapasso dalla vita alla morte, è una soluzione. Riconoscersi inadatti a illuminare la notte di chi sta per lasciare la vita, rinforza la soluzione. Dimostrare coerenza con noi stessi, quando il nostro carattere si trova di fronte alle mille incoerenze che insorgono durante il cammino della vita, completa la soluzione. Riconoscersi impotenti, inadatti, non all’altezza,, forse anche un po’ indegni per tutte le scappatoie trovate e commesse per sfuggire da noi stessi; ebbene, questa è la forza della nostra coerenza di vita nei confronti degli altri e verso noi stessi

E’ così che si raggiunge qualcosa che va oltre la notte.

Céline e la vecchia Henrouille.

L’avventura sulla scala che porta alla cripta, la sua morte. Prima, lei gestiva i vecchi morti, niente ossa, solo pelle di cartongesso, vestiti unti e bisunti, pezzi di faccia, buchi, brandelli di epidermide, ventre sventrato, prossimi alla polvere. Morti grandi e piccoli… due con berretto, un gobbo, un gigante, un bebè col tovagliolo e un pezzo di codino. Ventisei in tutto.

Adesso la vecchia aveva finito di cercare la sua morte. Lei non la riconosceva, non avrebbe mai voluto essere una di quei morti che accudiva.

Ma Robinson…

Céline e Robinson.

Robinson aveva già cercato di dare la morte alla vecchia con lo scoppio dei petardi. I petardi avevano soltanto accecato lui. Insieme, lui e la vecchia, erano stati dirottati nel Midì, a Tolosa. Adesso gli occhi di Robinson andavano bene, ma lui si lamentava lo stesso. In più, lì a Tolosa aveva trovato una ragazza, Madelon, che lo voleva a tutti i costi sposare.

Una ragazza inadatta. Lei diceva: “Tutti gli uomini sono schifosi”. Ma lei fornicava con Ferdinand.

La finzione come regola di gioco. Così si distruggono le anime, ma l’uomo guarda la Terra ignorando il Cielo.

Conscio e inconscio: questo è il problema!

Céline dice: “La vita non è che un sogno; l’amore, una menzogna”. Alle parole di Céline si può aggiungere: “La vita è una realtà mascherata di amore”. Quando la persona che ami, muore, la menzogna che spudoratamente le hai sputato addosso ti copre di sofferenza.

Una sofferenza non quantificabile.

Tu hai voluto coesistere con la menzogna sporcando l’amore? Okay! Sai dove hai sbagliato? Tu non hai saputo capire l’amore che nutrivi per chi non c’è più.

Adesso hai capito, ma è troppo tardi.

Avrai giorni di sofferenza; giorni di pianto; allucinazioni, tristezze, incubi. Eppure è semplice! Basta che tu non vivi più nella realtà mascherata dalla menzogna, offrendo la tua sofferenza a chi, fisicamente, non c’è più.

La tua sofferenza, il tuo dolore, la tua tristezza vanno trasformate in opere di bene. Non è vero che non hai più scopo di vita; ora ti attende lo scopo del Bene.

A te la scelta: o la finzione o il riscatto della finzione con opere di Bene. A te la coerenza, a te la vita o la notte.

Sdolcinature tra innamorati. Così riflette Céline: “Tra due innamorati, ogni motivo è valido per far trionfare l’ipocrisia. La falsa ipocrisia, il falso amore. Perché? Perché solo uno dei due è sempre innamorato. L’altro ha le sue buone ragioni per far finta di amare. L’alibi della colpa… finché uno dei due muore. A chi resta la scelta di dimostrare se quel che si dice sulla falsa ipocrisia vale o non vale per lui”.

Il cuore di chi ama vive nella notte e la notte o è buia o è illuminata dalla luna piena.

Altro argomento.

Céline dice dei matti: “Non si sarebbe mai potuto farli uscire dalle loro teste; il mondo non ci passa attraverso la testa”.

Ma il mondo non passa attraverso nessuna testa: né attraverso una testa sana, né attraverso una testa malata. Il mondo viene accettato dall’uomo; viene adottato, modificato, sopportato, giustificato. Il mondo entra nella testa dell’uomo in punta di piedi e vi lavora dentro fino a produrre una vera identità. Qui troviamo la vera identità di Robinson, la vera identità di Madelon, la vera identità di Ferdinand. Alla fine si scoprirà che la vera identità di Robinson non è altro che quella di Ferdinand. Ma, come avviene sempre nella vita di ogni uomo, la completa identità terrena non sarà mai conosciuta. Quando il riconoscimento avviene, è troppo tardi per ricomporre insieme le infinite identità che compongono la vera identità di una parte dell’uomo e le infinite identità che compongono la vera identità dell’altra parte dell’uomo.

Robinson è la parte di Ferdinand che fugge da ogni responsabilità; Ferdinand disconosce la sua parte robinsoniana, perché vuole conoscere fino in fondo se stesso, costi quel che costi.

Anche tentando di allontanare Robinson.

Sì, perché Ferdinand ha messo nella sua interiorità ogni esperienza che ha formato la sua notte e vuole , con coscienza e responsabilità, venire fuori dal buio della notte per dare uno scopo concreto al suo vivere nella notte.

Così vuole disconoscere Robinson, che non vuole riconoscere questo scopo di vita.

Ferdinand non vuole soccombere; Robinson, invece, soccomberà.

Ma resta un interrogativo: avrà trovato se stesso Ferdinand?

Robinson guarda solo se stesso, e il suo se stesso sono i soldi: con i soldi lui risolverebbe tutto; lui troverebbe se stesso, lui coronerebbe la sua notte.

Ma la notte, per chi pensa che per poter realizzarsi siano sufficienti i soldi… la notte non resta che notte, e non gli resta che realizzare l’idea di farsi stendere. E’ così che si realizza il grande ideale più forte della morte stessa? E’ così che si arriva a trasformare la propria notte, a cancellare la schiavitù della propria ombra?

° ° °

“Voi non siete degni di capirmi” grida Madelon a Ferdinand e Sophie. Poi si rivolge a Robinson: “Mi senti: vieni?” dice.

“Sei gentile, ma non voglio che qualcuno mi ami”. E’ Robinson che sa di non essere all’altezza né di amare né di essere amato. “L’amore mi fa schifo” dice ancora.

“Maiale!” grida la donna. “Sto schifoso! E’ il nuovo che vuole! L’ammucchiata!”.

Robinson finalmente si spiega. Dice: “Sei tu che mi ripugni. Non solo te, tutto! L’amore specialmente! Menti, perché vuoi che resti incollato a te. Insulti! Sei tu che sei una sozzona, perché non ti rendi conto… Ti hanno raccontato che non c’era altro di meglio che l’amore. Io ho schifezza d’amore. Io credo che tu te ne sbatti. Sei una bestia che non ce n’è un’altra. Tra te e me c’è la vita. Tutta la vita!”.

“Allora, vieni?” insiste la donna.

“No!”. Dice categorico Robinson.

Finalmente Robinson ha il coraggio di andare al di sopra della sua notte e questo coraggio non può che portarlo alla morte.

Uno sparo… altri due spari.

Céline fa una sua riflessione che è sempre azzeccata. Dice: “Robinson ha spinto la pietà fin nella merda”.

Poi continua dando la parola a Ferdinand - ormai Robinson (Leon) è sul letto di morte -.

Ferdinand dice: “Leon non mi trovava. Doveva cercare un altro Ferdinand molto più grande di me… di sicuro per morire; certamente per aiutarlo a morire più dolcemente. Lui faceva degli sforzi per l’inventario della sua coscienza… se delle volte non era stato ingiusto nei confronti degli altri senza volerlo

Ma c’ero soltanto io” dice sconfortato Ferdinand. “Avrebbe dovuto esserci un Ferdinand autentico, un uomo più grande della sua povera vita, un uomo che aveva dentro di sé l’amore per la vita degli altri”

Céline fa ancora dire a Ferdinand una riflessione e questa riflessione non lascia scampo nel riconoscere il valore autentico della vita, il valore autentico di aver vissuto. Ferdinand dice: “E’ esigente uno che agonizza. Agonizzare non basta. Bisogna godere sempre, quando te ne vai. Con gli ultimi rantoli devi godere ancora, giù in fondo alla vita, con le arterie piene d’urea”.

Continua: “Lui piangeva, soffocava, rideva subito dopo. Era come se cercasse di ricordarci a vivere adesso noialtri”.

Così, alla fine, Robinson – la parte in ombra di Ferdinand – lascia la notte con grande dignità.

E la soluzione è lì, nel corpo delle riflessioni di Ferdinand su Robinson.

Ferdinand ha dunque trovato la luce?

Céline si riferisce ancora a Ferdinand, lo fa parlare, lo fa riflettere, gli fa dire la verità. Ferdinand dice: “Il mare – nulla più che immaginavo -. Ritrovavo la mia vita dappertutto. Ritornavo su me stesso. Bisognerebbe sempre andare a cercare dispiaceri. In fondo, non ero andato tanto lontano come Robinson nella vita, non avevo acquistato una sola bella idea; bella idea come quella che lui aveva avuto per farsi stendere”.

Cosa cerca Ferdinand?

° ° °

Accettarci come siamo. Già, e poi? Intanto, cerchiamo di non buttare la nostra notte in faccia agli altri per non farli cadere in un buio più nero del nostro.

E’ questo l’uomo? E’ questa la storia dell’uomo che ritorna, rivive, si ripete e non dà scampo?

Accettarci, sì, ed è tutto!

Finire comunque con Céline. Finire con Céline per non cadere nella noia e nel puntare il dito contro la nostra storia. Continuare così, all’infinito. La notte resta sempre buia, ma poi, come dice Céline: “Il paesaggio si rianima e si rimette a lavorare. Il lavoro emerge dall’ombra. Gli argini qui, le palizzate laggiù, gli uomini coi visi pallidi, a gruppetti, intirizziti… si riempiono di luce… salgono verso il ponte, spariscono. Ne vengono altri…”.

Recensione
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