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Elisabetta

– Io c’ho un nome e due soprannomi.
– Dimmeli.
– Roberto, Roberto Baggio e Roberto Scarafaggio.
Questo per cominciare con Robertino.

– Leggimi un po’ – gli fo e Cristiano prende e legge, – oggi 18 Febbraio la mia classe insieme alle altre della scuola sono andate in palestra perché era stato organizzato dalla maestra l’incontro con il Vescovo. Gli alunni della quinta hanno cantato una canzone di San Francesco. È arrivato il Vescovo e subito i bambini della quinta hanno detto una cosa principale poi la quinta ha cantato la canzone di San Francesco gli abbiamo fatto delle domande ed infine lui ha pregato e poi l’abbiamo salutato.”
– … Sì, dovresti cercare un po’ di più… tirar fuori le tue impressioni, rileggi un po’ il titolo.”
– Le tue impressioni e le tue riflessioni sul Vescovo.
– Eh, ora prova un po’ a fare un’altra brutta copia.
– Sì.

La mattina si attraversa i campi e si arriva a casa che non c’è nessuno, spesso trovo scritte le commissioni da fare, anche Angelo è già uscito, c’è la Roberta a pulire ma Robertino non le sta d’intorno perché gli dice, – non passare di lì, ho dato il cencio – oppure – che ci fai lì, aspetti che ci dia il cencio per passarci.
– È buffa la Roberta?
– Sì – sorride Robertino.

– Roberto, Roberto Baggio e Roberto Scarafaggio.
– Non lo dire il terzo che poi ti chiamano solo con quello e non con gli altri due, se ne approfittano, – gli fa l’Elisabetta.
– Roberto Scarafaggio, – fa Robertino.
– Sì, quello. – Fa l’Elisabetta.

Robertino si vede uscire da sotto i rami pieni di pomi maturi, gli alberi dietro il campetto da calcio, gli alberi tra il campetto e i binari della ferrovia, esce dal verde arancio con la borsa di suo fratello come un sacco di carbone, con su scritto “Fortis viaccia”.
– Come è andata?
– 1-1.
– Con chi?
– Col Poggio a Caiano.
– Hai segnato?
– No, un autogol.
– Del Poggio a Caiano.
– Sì.
– E di loro chi ha segnato?
– Non lo so.
– Ieri com’era andata?
– Vinta 1-0 – sorride.
– Con chi?
– Il Sant’Ippolito.
Le squadre sono quelle del campionato dove gioca suo fratello.

Il suo di campionato è quello inverso, si gioca tutti i giorni tranne la Domenica, tra il campetto e i binari, nel verde arancio degli alberi, coi pomi che cascano e i gol senza attaccanti.

(Ronaldo che gioca da solo, immerso dentro a due squadre e a uno stadio pieno che gli si appiccicano addosso come il sugo dei pomi maturi. Inciampando nei propri piedi se li scrolla di dosso. E segna. È stato bello. È stato gol).

Claudio parla a Robertino, cerca di invecchiarlo. Claudio non vuole starci qui. Per calmarlo lo porto con me a fare la spesa. Robertino lo porto con me perché è troppo piccolo e gli altri a giocare lo sballottano troppo. Claudio deve entrare alle elementari il prossim’anno, e finora non è stato che coi nonni, per questo i genitori lo mandano un po’ qui da noi coi ragazzi, non è il caso che vada alle elementari a parlare come un vecchio, a invecchiare la maestra, i compagni, la scuola.

Robertino porta Claudio tra i pomi, l’ha acquistato nel suo campionato, ci gioca come fuoriquota, non ci sa giocare. Robertino interrompe il campionato fino a quando Claudio non smette di venire qui.

– C’è pieno di virus a giro – fa Claudio, dando una pacca sulle spalle a Robertino.
– Anche i miei nonni sono malati, – continua a tenergli la mano sulla spalla, a far passare virus su virus.

Antonio fa venire in mente un budino gigante, che cammina e ondeggia tutto, un budino gigante con dentro un bambino come Robertino che ci sguazza dentro e dà morsi a caso, e dove morde trova buono.
Antonio è il babbo di Robertino.

Qui a casa ci sono sei ragazzi più due famiglie compresa quella di Robertino. La casa è una casa famiglia, “comunità familiare” mi corregge sempre l’Elisabetta, “la struttura” come dice Fabrizio, uno dei ragazzi, con in mano i fogli che lo riguardano, “guarda è scritto qui,” mi fa. “Non rompere,” gli fo.

La casa famiglia è mandata avanti da Angelo e dall’Elisabetta, “il prete e la pretessa,” come dice Fabrizio, “il prete e la moglie del prete,” come dice un manufattore che ogni tanto viene qui a fare qualche lavoro. “Angy e Eli,” come dice Simone, che è qui da quando aveva 50 giorni, “Angelo e Eli,” come dice Fabio, qui da quando aveva 5 anni, “Angelo e Eli,” come dice la Caterina… da quando aveva 3 anni, sorella di Fabio. “Angelo e quella,” come dice la Roberta, che ogni mattina viene qui a pulire. “Don Angelo e Eli,” come dice la Maira, che viene qui all’ora di pranzo, a farci da mangiare e a pulire di nuovo. “Angy e Eli,” come dice Simone, che ora ha 13 anni e gioca nel Viaccia con il n° 10, è l’idolo di Robertino.
– Angelo e Elisabetta, – come dice Cristiano.
– Angelo e Elisabetta, – come dico io.

– Ti piace Robertino?
– Sì, – mi fa Cristiano.
– Perché?
– È buffo, come i bambini piccoli, mi piace come gioca.
– I bambini piccoli.
– Gli mancano dei denti, e non parla, cioè parla, per dire Stefania fa Sssssss-tefania.
Stefania è la sorellina appena nata di Robertino.
“Mezzano, Mezzanopoli,” i soprannomi con cui Fabrizio ha ribattezzato Robertino dopo che è nata Stefania.

Fabrizio ogni tanto mi dice che non vuole più andare a scuola, perché vuole andare a lavorare, perché la scuola è troppo lontana, è scomoda, perché a scuola c’è uno che lo infastidisce, lo tormenta, che lo chiama il rimasto, uno che c’è rimasto dopo un incidente. Fabrizio ha gli occhi che non ci vede e i denti in fuori. Quando resta sovrappensiero sembra uno incantato davanti a un incendio, con gli occhi e i denti.

Ho in mano un bicchiere di carta pieno di cenere, presa dal caminetto, serve ad uno dei ragazzi, per un esperimento a scuola.
– Anche noi si diventa così da morti, – mi fa Cristiano.
– Sì, un po’ più grande il contenitore, non è detto.
– Come un barattolo Sammontana.
– Sì, poco più poco meno.
– Il barattolino Sammontana.

– Leggimi un po’, – e Cristiano prende e legge, – questa mattina nella nostra scuola c’era aria di festa, perché tutti aspettavano il Vescovo. Quando è arrivato io l’ho salutato e lui mi ha abbracciato con gioia (anche perché due settimane fa venne a cena nella nostra comunità e lui conoscendomi ha ricambiato questo mio saluto con un abbraccio affettuoso).
– Sì, prova a farne un’altra di brutta copia.
– Un’altra…
– Sì, per cavarne di più di impressioni tue. Rileggimi un po’ il titolo.
Le tue impressioni e le tue…

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