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Elisabetta – Io c’ho un nome e due soprannomi. – Leggimi un po’ – gli fo e Cristiano prende e legge, – oggi 18 Febbraio la
mia classe insieme alle altre della scuola sono andate in palestra perché era
stato organizzato dalla maestra l’incontro con il Vescovo. Gli alunni della
quinta hanno cantato una canzone di San Francesco. È arrivato il Vescovo e
subito i bambini della quinta hanno detto una cosa principale poi la quinta ha
cantato la canzone di San Francesco gli abbiamo fatto delle domande ed infine
lui ha pregato e poi l’abbiamo salutato.” La mattina si attraversa i campi e si arriva a casa che non c’è nessuno,
spesso trovo scritte le commissioni da fare, anche Angelo è già uscito, c’è la
Roberta a pulire ma Robertino non le sta d’intorno perché gli dice, – non
passare di lì, ho dato il cencio – oppure – che ci fai lì, aspetti che ci dia il
cencio per passarci. – Roberto, Roberto Baggio e Roberto Scarafaggio. Robertino si vede uscire da sotto i rami pieni di pomi maturi, gli alberi
dietro il campetto da calcio, gli alberi tra il campetto e i binari della
ferrovia, esce dal verde arancio con la borsa di suo fratello come un sacco di
carbone, con su scritto “Fortis viaccia”. Il suo di campionato è quello inverso, si gioca tutti i giorni tranne la Domenica, tra il campetto e i binari, nel verde arancio degli alberi, coi pomi che cascano e i gol senza attaccanti. (Ronaldo che gioca da solo, immerso dentro a due squadre e a uno stadio pieno che gli si appiccicano addosso come il sugo dei pomi maturi. Inciampando nei propri piedi se li scrolla di dosso. E segna. È stato bello. È stato gol). Claudio parla a Robertino, cerca di invecchiarlo. Claudio non vuole starci qui. Per calmarlo lo porto con me a fare la spesa. Robertino lo porto con me perché è troppo piccolo e gli altri a giocare lo sballottano troppo. Claudio deve entrare alle elementari il prossim’anno, e finora non è stato che coi nonni, per questo i genitori lo mandano un po’ qui da noi coi ragazzi, non è il caso che vada alle elementari a parlare come un vecchio, a invecchiare la maestra, i compagni, la scuola. Robertino porta Claudio tra i pomi, l’ha acquistato nel suo campionato, ci gioca come fuoriquota, non ci sa giocare. Robertino interrompe il campionato fino a quando Claudio non smette di venire qui. – C’è pieno di virus a giro – fa Claudio, dando una pacca sulle spalle a
Robertino. Antonio fa venire in mente un budino gigante, che cammina e ondeggia tutto,
un budino gigante con dentro un bambino come Robertino che ci sguazza dentro e
dà morsi a caso, e dove morde trova buono. Qui a casa ci sono sei ragazzi più due famiglie compresa quella di Robertino. La casa è una casa famiglia, “comunità familiare” mi corregge sempre l’Elisabetta, “la struttura” come dice Fabrizio, uno dei ragazzi, con in mano i fogli che lo riguardano, “guarda è scritto qui,” mi fa. “Non rompere,” gli fo. La casa famiglia è mandata avanti da Angelo e dall’Elisabetta, “il prete e la
pretessa,” come dice Fabrizio, “il prete e la moglie del prete,” come dice un
manufattore che ogni tanto viene qui a fare qualche lavoro. “Angy e Eli,” come
dice Simone, che è qui da quando aveva 50 giorni, “Angelo e Eli,” come dice
Fabio, qui da quando aveva 5 anni, “Angelo e Eli,” come dice la Caterina… da
quando aveva 3 anni, sorella di Fabio. “Angelo e quella,” come dice la Roberta,
che ogni mattina viene qui a pulire. “Don Angelo e Eli,” come dice la Maira, che
viene qui all’ora di pranzo, a farci da mangiare e a pulire di nuovo. “Angy e
Eli,” come dice Simone, che ora ha 13 anni e gioca nel Viaccia con il n° 10, è
l’idolo di Robertino. – Ti piace Robertino? Fabrizio ogni tanto mi dice che non vuole più andare a scuola, perché vuole andare a lavorare, perché la scuola è troppo lontana, è scomoda, perché a scuola c’è uno che lo infastidisce, lo tormenta, che lo chiama il rimasto, uno che c’è rimasto dopo un incidente. Fabrizio ha gli occhi che non ci vede e i denti in fuori. Quando resta sovrappensiero sembra uno incantato davanti a un incendio, con gli occhi e i denti. Ho in mano un bicchiere di carta pieno di cenere, presa dal caminetto, serve
ad uno dei ragazzi, per un esperimento a scuola. – Leggimi un po’, – e Cristiano prende e legge, – questa mattina nella nostra
scuola c’era aria di festa, perché tutti aspettavano il Vescovo. Quando è
arrivato io l’ho salutato e lui mi ha abbracciato con gioia (anche perché due
settimane fa venne a cena nella nostra comunità e lui conoscendomi ha ricambiato
questo mio saluto con un abbraccio affettuoso). |
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