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Ciampi
Paolo, giornalista e scrittore, vive a Firenze. Ha
lavorato come redattore o corrispondente per diversi quotidiani, dal Giornale di
Montanelli al Manifesto, dal Secolo XIX al Tirreno, e oggi è redattore
nell’Agenzia di informazione del governo regionale della Toscana. Si divide tra
la passione per i viaggi e le esplorazioni di tutti i tempi e la curiosità per i
personaggi dimenticati nelle pieghe della Storia. Ha all’attivo
diversi libri, tra i quali biografie scritte con il taglio dell’inchiesta
giornalistica e il ritmo del romanzo:
Firenze e i suoi giornali storici (2002, saggistica),
Gli occhi di Salgari (2004,
biografia, premio Castiglioncello),
Il poeta e i pirati (2005, biografia, finalista al Premio
Firenze), Un nome (2006,
biografia, vincitore del premio nazionale Villa Morosini e finalista al
premio Alessandro Tassoni; dal libro, che sarà presentato
in Israele, è stato tratto anche lo spettacolo teatrale
Un nome nel vento, che ha debuttato nell'ultima Giornata della
Memoria e del quale sono previste diverse repliche),
Le parole e il silenzio. Sulle orme di Tiziano Terzani
(2008, saggistica, coautore Massimo Orlandi),
Beatrice. Il canto dell'Appennino che conquistò la
capitale (2008, biografia), Caduti dal muro
(2009, saggistica, coautore Tito Barbini) e
Miss Uragano. La romanzesca vicenda di Jessie White,
infermiera dei Mille (2009, biografia). Ha
conseguito diversi primi premi.
Sulla sua produzione letteraria hanno scritto, tra gli altri:
M. Brancale
[Beatrice in: Avvenire]
«Beatrice Bugelli di Pian degli Ontani, la cui esistenza si è
dipanata dal 1803 al 1885, dalla Toscana granducale all’Italia unitaria, sulla
montagna pistoiese e con qualche puntata a Firenze, non è una macchietta, non è
l’icona folcloristica e umile di ricchi mecenati inglesi di passaggio
nell’Italia dell’ Ottocento. La «poetessa montanara », interprete dell’ottava
rima stimata e raccolta da Tommaseo, Ruskin e Renato Fucini – lei, infatti, non
ha scritto nulla – è una figura con un suo spessore umano che riflette la
sapienza contadina germinata su un forte senso di pietas cristiana. È una
cultura che si colloca nel solco della riflessione dei pastori e del loro
canto, antico e celebrato, non di rado frutto del rapporto con Dio negli spazi,
talvolta sconfinati, dell’erranza. Alla poetessa lo scrittore C. ha
dedicato il suo Beatrice. Vi ha
trovato non solo la possibilità di scrivere una bella storia, ma anche uno
specchio del sentire possibile, da assumere dal contesto contadino-montanaro
ottocentesco e da inverare nell’uomo urbanizzato di oggi.»;
M. Cambi
[Beatrice in: Toscana Oggi]
«Un libro poetico e dolce quello di C.; e come è
stato detto “intenso come una preghiera dedicata alla bellezza”. E all’amore,
specialmente per la montagna, di cui questo libro è un inno. E dopo averlo letto
si scopre che è un inno alla vita tutta.»;
D. del Nero
[Il poeta e i pirati in:
Giornale della Toscana] «Da cantore dei giacobini a schiavo dei pirati di Algeri, è un
bel salto; e se poi la storia ha avuto qualche perplessità a dire chi fosse più
"turco" fra i due, per il povero Filippo Pananti non c’erano dubbi
... Filippo Pananti
(1766–1837) oggi pressoché sconosciuto, ma un tempo stimato e riverito al punto
di meritarsi un posticino tra le glorie italiche di Santa Croce.
... A riportare questo simpatico mugellano alla ribalta della storia da cui è stato
ingiustamente sfrattato ha ben pensato C. L’autore, giornalista fiorentino, rinuncia al saggio di taglio
scientifico e dà alla sua opera un simpatico e gradevole piglio da reportage del
passato: con assoluta fedeltà ai fatti e alle fonti, spesso inedite e
d’archivio, ricostruisce il ritratto a tutto tondo di un toscano doc che si
trovò a vivere in tempi decisamente agitati e movimentati, e volle provare a dir
la sua, ad essere, se non proprio protagonista, perlomeno comprimario nei grandi
drammi che la storia metteva in scena in quegli anni turbolenti. In modo
bonario, però, affidandosi alla forza delle parole e non alla violenza delle
armi…»; L. Ficicchia
[Beatrice in: Corriere della sera/Corriere
Fiorentino] «Non sapeva né leggere né scrivere, ma improvvisava ottave con
la stessa disinvoltura con cui spaccava legna da ardere e dava da mangiare a
Ghirlanda, la sua affezionata vacca. Della poetessa ignorante dell’Appennino, il
cui nome, Beatrice, risuona ancora argentino nella letteratura toscana
dell’Ottocento come il suo canto nella montagna pistoiese, poco o nulla sapremmo
se uno dei più grandi scrittori dell’epoca, Renato Fucini, non avesse raccolto i
suoi versi attirando la curiosità di altri intellettuali dalle pagine della
Nuova Antologia. Primo fra tutti, Niccolò Tommaseo che, rimanendo folgorato
davanti a quella giovane pastorella dai grandi occhi neri e riccioluta, che
cantava al suo amato: innanzi ch’io ti lassi e t’abbandoni perfino gli aranci
faranno i limoni!, di lei non smetteva di parlare nei
salotti fiorentini, allungandone la fama. Ed ecco un altro risarcimento. Arriva
in edicola dalla felice penna di C. Lo scrittore e giornalista racconta in 130 pagine una
storia straordinariamente generosa, autentica sul versante biografico e
romanzata nell’immaginario incontro di Beatrice, in punto di morte, con Fucini
che corre trafelato al suo capezzale incrociando il prete sulle scale. Ma qui
comincia il bello...»; R. Michelacci
[Un nome in: Diario]
«Ci sono storie troppo intense e significative per non provare
a strapparle all'oblio che le ha sepolte per decenni. Lo scrittore fiorentino
C. ha riannodato i fili della memoria e ha ricostruito la vicenda di
Enrica Calabresi, la professoressa ebrea che nel 1944 decise di togliersi la
vita nel carcere di Santa Veridiana, a Firenze, pur di sfuggire ai campi di
sterminio nazisti. Per opporre la concretezza di una singola persona
all'astrattezza dell'antisemitismo e per cercare di dare un'anima all'orrore,
C. ha scelto la vicenda di una donna né famosa, né eroica, soltanto "un
nome" finora introvabile negli archivi e mai citato nelle bibliografie dedicate
all'Olocausto. Sottraendosi alla deportazione con la morte, Enrica Calabresi è
rimasta esclusa da tutti gli elenchi delle vittime e da qualsiasi libro della
memoria… Questo libro, triste ma necessario, cerca di fornire una risposta a tale
interrogativo. La fiala di un potente veleno, che la donna porta con sé negli
ultimi mesi di vita, sarà l'ultima difesa nella sua silenziosa resistenza
all'orrore, la sua estrema rivendicazione di libertà.».
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