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Presentazione dell'autore Pietro Nigro
nell'antologia Tendenze di linguaggi
Rodolfo Tommasi
OH,
RILKE!
Libro
immortale?
La
vera letteratura è un’araba fenice: muore continuamente in chi non la sa
leggere, e risorge, soggetta a metamorfosi, in chi se ne riappropria con tutto
l’essere, assimilandola e pure riscrivendola in sé, nella linfa dell’esperienza
sempre iniziatica della parola.
‘Immortale’ è un termine che prevede un’immanenza approssimativa, incline alla
retorica dell’improprio. Ma se ad alcuni libri dovessimo, in virtù del corrivo
‘per intenderci’, applicare tale aggettivo, allora, tra questi si troverebbe
anche un grande e particolarissimo capolavoro della letteratura europea: I
quaderni di Malte Laurids Brigge, di Rilke.
E’
importante, poiché inerente, inserirne una pagina tra le fibre di una ricerca
sulla poesia contemporanea
(cito dall’editore Adelphi, traduzione di Giorgio
Zampa):
Ma i
versi, ahimè, significano così poco, se scritti presto. Si dovrebbe aspettare a
farne, raccogliere saggezza e dolcezza per una vita intera, una vita lunga, se
possibile, per riuscire forse, alla fine, a scrivere dieci righe che sono buone.
Perché i versi non sono, come si crede, sentimenti (che si hanno abbastanza
presto) – sono esperienze.( … ) Bisogna poter ripensare a cammini in contrade
sconosciute, a incontri inattesi, e ad addii che si vedevano da tanto in arrivo,
a giorni dell’infanzia ancora inesplicati, ai genitori che dovevamo amareggiare
quando ci portavano alla gioia che non capivamo (era una gioia per un altro …),
a malattie infantili, che cominciavano in modo così singolare, con mutamenti
tanto gravi e profondi, a giorni in stanze quiete e raccolte, e a mattini sul
mare, al mare, ai mari, a notti di viaggio che frusciavano via alte e volavano
con tutte le stelle – e non è ancora abbastanza, bisogna avere ricordi di molte
notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di donne con le doglie e di
bianche, lievi puerpere addormentate che si chiudono. Ma occorre anche essere
stati vicino a moribondi, essere stati seduti accanto a dei morti nella stanza
con la finestra aperta e i rumori che entrano a folate. E non basta neppure
avere dei ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono molti, e attendere,
bisogna avere la grande pazienza di attendere che tornino. Perché neppure i
ricordi sono ancora esperienze.
Percorsi
Sembra imporsi limiti relativi soltanto all’esposizione comunicativa del
pensiero – limiti, quindi, di ordine soprattutto formale –, la maggior parte di
chi oggi in Italia scrive poesie.. La parola, il concetto, devono risultare
subito chiari, incontrare la comprensione per la via più diretta, evitare i
grandi laghi della metafora, ché potrebbero poi rivelarsi rischiose paludi,
sabbie mobili; il lessico abbia il nitore di un cristallo lucidato, poiché ogni
appannamento e macula invita a travisare il senso, può provocare equivoci.
( … )
Praticamente, si è venuta a creare una totale simbiosi tra scrittore e
scrittura, un fenomeno che ha pochi antecedenti e tende ad affermare la purezza
e e l’indiscussa supremazia dell’idea (figlia di una ben precisata prospettiva
etica) sulla sua elaborazione, annullando a priori ogni pericolo d’inquinamento
dialettico, e dunque ristabilendo primariamente la categoria e il peso del
valore assoluto. In altri termini, il poeta vuole essere riconosciuto nel
portatore unico della verità connessa a un enunciato (il magnete che abita il
‘farsi’ della poesia resta fuori dal gioco) …
(
… ) Mi si concede un intermezzo?
Da
ragazzo, fagocitatore di pagine, miscelatore d’impulsi e di cotte culturali,
avido di incompletezze interiori da sceverare, seguace – per indole – della
fascinazione del frammento, incantato dai palcoscenici di musica e prosa che
captavano come la sete il miraggio, ( … )
Molto è cambiato. Si è reso nitido il senso dell’oggettivazione, all’etica
professionale viene reso convinto omaggio, ma i desideri di percorrere strade
imprevedibili verso una precisata meta restano, talvolta sono persino
accentuati, desiderio di scoperte e desiderio di dichiararsi ad esse totalmente
disponibili, voglia di rinnovare di continuo la nudità della mente scorgendo il
faro all’orizzonte del pensiero: perché, dunque, non rivolgersi ancora all’ombra
di quel ragazzo ogni volta che brilla un frizzo di richiamo, un’eco
indecifrabile al primo segno, che poi avvolge e solletica?
(
… ) Ci sono momenti in cui vorrei poter dire basta, alt all’applicazione di
severe metodologie critiche, e non per ripudiarne i dati e gli effetti, per
percorrere, appunto, altre strade, sia pure pericolose, verso la stessa meta: ho
di fronte una schiera d’autori che versa versi – come Campana “batte botte”
–,
li versa in me, nel mio intelletto davvero ingiustamente stimato – credo –,
aspettandosi commenti in cui si appiattiranno – è fatale – le loro interne e
vivide verità, le tante verità del vero, gli slanci che per un istante hanno
allargato il respiro del poeta, le ragioni tratte con quel respiro dal fondo
inimmaginabilmente fondo del buio entro il quale l’Io/guida del suo scrivere, da
quel buio medesimo fecondato, ha infuso voce alla parola …
Com’è saltato fuori questo
corsivo? ( … )
Quali poeti ho davanti,
quali versi, per avermi suscitato queste argomentazioni? Ne ho un gruppo
illustre (Claudio Comini, Mario Massa, Pietro Nigro …) ( … )
Se Comini porge alla
ragione una mappa spirituale in luce cattolica, Pietro Nigro conduce il tema
della spiritualità a concettualizzare l’assunto per cui in ogni manifestazione
della mente e dell’esistenza risiede l’accezione di un proteiforme divino, non
di rado sfiorando o decisamente penetrando sorgenti argomentative – o immagini –
di ordine antropologico.
Soffre
lo spirito nella sua purezza
genio
prigioniero che possente si esalta
nella
materia che fa vita.
( … )
Così si apre la raccolta
Alfa e Omega (Guido Miano editore, 1998) e non si può negare a questi
versi di Nigro un’alta temperatura mistica; la poesia (Soffre lo spirito)
si fa ancora più esplicita a chiusura, e suona come una dichiarazione di
poetica:
Anche
in te splende,
materia
fuggente,
natura
che si fa occhi
di una
mente che sogna.
E’ quel verbo finale,
però,” sogna”, a far scaturire da un tema altri temi, quasi venisse sottinteso
che il ‘divino’ (ma potrei meglio dire l’ ‘oltre’, il ‘mistero’, l’ ‘ignoto’,
oppure la ‘necessità umana dell’abbraccio universale’) è subordinato alla
capacità/disponibilità della mente a sognare, a trasferirsi ed estendersi nei
labirinti dell’incognito, dove la natura/materia può divenire metafora di sé
nell’uomo teso all’esperienza cognitiva, e il pensiero spirito. D’altra parte,
la ‘dichiarazione di poetica’ viene altrove nettamente ribadita (da Forme beate,
nella stessa raccolta, opera che sicuramente rappresenta uno degli apici
nell’ampia produzione di Nigro):
Forme,
forme
beate
che
sollecitano il mio riposo
euforica presenza di vita.
( … )
S’illumina l’anima
nel suo
rifugio estremo
creatura eterna
di una
mente che s’abbandona
a
verità ignare.
Vaga
spazi incompresi e ignoti
e
s’illude di conquiste
di un
pensiero bidimensionale
appiattito e immoto.
E, a proposito del “corpo
che diviene verso” e del “verso (o della parola) che invade il corpo” (ho
poc’anzi usato queste espressioni scrivendo di Ines Scarparolo), un’importante
pagina inedita di Nigro, una breve lirica intitolata Il confine, è
seguita da una più lunga prosa (ma si tratta di un unico organismo) che così si
conclude:
Il
pensiero sembrava sostituirsi al corpo. Era come se il pensiero e il corpo
subissero una metamorfosi: come se il corpo perdesse la sua prerogativa che lo
legava alla terra, divenisse più leggero e fluttuante in una nuova dimensione.
Tutto, allora, ha senso, si
fa evidenza e vicenda del linguaggio, in nome di un peculiare potere del codice
poetico, quello di essere una scienza esatta al di là della logica, di
dimostrare la presenza e la pregnanza del vero alogico, forse sfuggente o
misconosciuto, periodicamente messo out, o rinnegato a difesa (si pensi
un po’!) del ‘realismo’, e nondimeno, alla resa dei conti, innegabile e
imprescindibile. E Nigro si è sempre rivelato fedele e coerente alla radice
delle sue immanenze poetiche.
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