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Prefazione a
Bianca era la stanza
Attilio Carminati
La Fama, questa emblematica divinità, nella sua funzione
letteraria è ancora molto in debito con Laura Pierdicchi. Quando, alcuni anni
fa, nell'aula municipale di Mestre un noto critico parlò di lei, commentando una
sua raccolta di poesie, senza mezze misure la definì potessa di valore
nazionale. È dunque, con vero piacere, conoscendo da parecchi anni Laura e la
sua avvincente produzione, che, seppur con un certo ritardo voglio associarmi al
giudizio di quel critico, ora che mi accingo a parlare di questo suo ultimo, in
ordine di tempo, lavoro significativo e delicatissimo. Bianca era la stanza.
Devo innanzitutto esprimere il mio profondo rammarico per la
situazione "ambientale" che taluni validi scrittori di matrice lagunare sono
costretti a sopportare a causa di una inspiegabile, talora assurda dimenticanza
che i principali organi di informazione adottano nei loro confronti, nell'ambito
della cultura, dal momento che Venezia e il Veneto sono considerati territori
depressi per quanto riguarda nomi nuovi e opere nuove. Viene tuttavia da pensare
che lo scrivere versi è in tutta Italia una iniziativa perlomeno anacronistica,
soprattutto perché i libri di poesia pubblicati con fatica e controvoglia sia
dai grandi che dai piccoli editori, non si vendono e perciò sono ritenuti
indegni di attenzione. Per continuare l'esempio, l'uscita di un nuovo libro,
malgrado sia di per sé interessante, difficilmente trova un accoglimento
adeguato, se non si hanno ferrate conoscenze, nei giornali per le recensioni,
nelle istituzioni soprattutto culturali per le sedi di presentazione, nel
pubblico per la compartecipazione e per l'acquisto del volume.
Mi spiace doverlo dire, ma purtroppo anche Laura Pierdicchi
non è immune da questo handicap. Eppure lei come tanti altri, pur soffrendone,
non si abbatte, non si deprime, anzi, quasi per reazione, continua ad attingere
dalla sua sempre doviziosa intimità delle risorse meravigliose, anche perché, e
intendo confermarlo, ora più che mai la sua personalità artistica è consolidata.
Laura possiede un suo stile, una sua visualità, una sua particolare profondità
di idee e di concetti, ed è seguita, con assiduità e con ammirazione da un
pubblico di amici e di estimatori che, in ogni notevole occasione, aumenta di
numero e di qualità.
Quando Laura, qualche tempo fa, mi accennò ad una sua
progettazione poetica, un testo scritto allo scopo di onorare la memoria di suo
padre, allora da poco deceduto, a dire il vero rimasi alquanto perplesso, e
questo atteggiamento non seppi nasconderlo. Davanti al fatto di scegliere per
tema una persona cara, addirittura il proprio genitore, perfino l'autore più
esperto e più distaccato richierebbe, prima o poi, senza volerlo, di farsi
coinvolgere sentimentalmente da cause e da circostanze dolorose, da ricordi che
non si possono accantonare, data la loro estrema gravità. Ma come si fa, mi
chiedevo, a non rimanere coinvolti fino al punto di non compromettere, se non
del tutto, anche in minima parte il proprio lavoro? Sarà Laura capace di
procedere su questo terreno minato? Laura è una donna deliziosa e oltremodo
sensibile, mi ripetevo, per suo padre nutriva una sincera venerazione. Laura, mi
ripetevo ancora, mi ha sempre stimato molto, tra noi non ci sono mai stati né
screzi, né divergenze di alcun tipo. E concludevo tra me e me: la poesia impiega
parole, non oggetti materiali, parole, le più diverse, le più o meno pregnanti
che, se non sono dosate o calibrate al millesimo, finiscono col perdere sangue e
sofferenza, fino a macchiare il foglio di carta su cui si compone. A Laura dissi
soltanto: "La tua dev'essere un'impresa non facile." E in cuor mio temevo di
disilluderla, di perderne perfino l'amicizia. E procrastinavo: "Laura abbi
pazienza. Sto correggendo come un dannato le ultime bozze di stampa del libro
che devo presentare quanto prima." Passò parecchio tempo. Laura non si perdette
d'animo e ritelefonò: "Attilio, se dopo avermi letto, riterrai che non sono
stata all'altezza di ciò che volevo fare, me lo dirai apertamente. Sai benissimo
che di te mi fido. Ma non voglio imbarazzarti." Cominciai a vergognarmi. Le
dissi, con decisione: "Spediscimi pure il testo." Non aggiungo altro.
Sto scrivendo la prefazione a Bianca era la stanza di
Laura Pierdicchi, e sono veramente commosso. Non è né una hugia, né un luogo
comune. Per me la vera poesia è tutto e, grazie a Dio, non l'ho mai tradita,
come non ho mai tradito la poesia degli altri, dai geni sublimi all'ultimo dei
miei amici più cari.
Sto sfogliandop il testo, letto e riletto senza il minimo
impaccio: è ordinato, preciso, emotivo. Laura a modo suo lo considera un
poemetto, da parte mia lodefinirei meglio "oratorio", non secondo l'estetica
crociana, perché ampiamente risolto in movimenti di alta poesia. È suddiviso in
tre parti e si conclude con l'Epilogo. Le tre parti e l'Epilogo sono preceduti
da una premessa lirica che anticipa l'atmosfera cui si va incontro. La voce del
narratore si alterna sapientemente con dei cori configurati a mo' di
filastrocche, tali da riprendere certi suggestivi momenti dell'infanzia. Su
tutto è diffusa la scaralità della casa e della famiglia, nella quale, secondo
l'evento drammatico sofferto dall'autrice: "...Un anello della catena – uno – |
il più prezioso – che chiudeva il cerchia | dell'amore – si è staccato per
sempre.".
L'impresa di Laura Pierdicchi, senz'alcuna ombra di dubbio,
umanamente e letterariamente è riuscita. Oltre ad aver onorato suo padre e la
sua memoria, ha felicemente onorato la poesia.
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