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L’occasione, che mi auguravo prossima, di poter riprendere il discorso sulla lirica di Raffaella Bettiol[1] si presenta ora con la pubblicazione della sua terza raccolta di poesie, Una sprovveduta quotidianità. Anche questa, come la precedente, è suddivisa in sezioni, quattro per la precisione (Un amore, Un luogo, un tempo, La Commedia dell’Arte, Ancora parole), precedute da un componimento introduttivo, Gli amori, ove leggiadramente si fa distinzione tra amori “tenaci”, indimenticabili, che “senza vuoti di memorie, | sfilano divertiti dinanzi a noi | incuranti degli anni” (vv.11-13, p. 13) e altri che “si disperdono nell’aria”, fatti di “molecole infinite | di un finito amore” (vv.3-5, ivi) e di “Parole appena pronunciate”, che “fuggono via veloci” (vv. 8-9, ivi). Lì ove si allude agli amori che “si disperdono nell’aria” e ci si chiede “Chissà dove vanno” (v.6, ivi) si può forse cogliere l’eco di una celebre rima del poeta spagnolo postromantico Gustavo Adolfo Bécquer (1836-70), sicuramente noto a Raffaella: “Los suspiros son aire y van al aire! | Las lágrimas son agua y van al mar! | Dime, mujer, cuando el amor se olvida | sabes tú adónde va? ”[2]. Ora mettendo da parte la questione, forse un po’oziosa, se si tratti o no di reminiscenza becqueriana, comunque frutto di rielaborazione personale della poetessa, chiediamoci: si poteva dibattere sull’amore, anzi sugli amori, in una breve poesia introduttiva, con tocco più leggero ed appropriato e insieme più aderente alla complessa realtà delle vicende amorose?

Si è già notato giustamente che “le scene di vita nella famiglia d’origine” sono diventate “meno dominanti”[3] rispetto alla raccolta precedente[4], ove erano evocate in modo più drammatico, ma non sono scomparse dall’orizzonte della poetessa, segno che in lei alcune sono indelebili. Si veda il componimento Sicura la mano (pp.34-36), dedicato alla sorella Liana, impegnata in varie attività, tra cui la pittura, cui si fa cenno in alcuni versi, con enjambement tra penultimo ed ultimo : “Sempre dipingi | campi colmi di spighe | papaveri in un bagliore rosso | colti, maree disperse” (VI strofa, versi iniziali, p. 36). Nella prima parte ci si imbatte in un’osservazione amara, di sapore autobiografico. Rivolta alla sorella, la poetessa afferma: “l’infanzia sai |non è sempre un dono” (vv. 11-12, p. 34). Nella poesia Scuri i capelli, di Ipotesi d’amore, dedicata alla madre (p. 26), Raffaella dopo aver manifestato il disagio che le cagionava il rapporto con la genitrice (“…tu eri lontana| come assente| in un altrove che non so|. Inutilmente ti chiamavo”, vv.10-13, ivi) , chiosa così: “Fragile cristallo la mia infanzia” (v. 14, ivi) espressione che, nel concetto, richiama alla mente quella appena citata. Un altro richiamo all’infanzia difficile si trova nell’ultima poesia della raccolta che stiamo recensendo, Silenziosi i giorni, ove Raffaella allude a “paure infantili, | il gioco di un’età | a me rubata” (vv. 15-17, p. 86; si noti l’amarezza profonda dell’espressione “un’età a me rubata”). Nei primi versi della stessa poesia, è presente un affettuoso ricordo del padre della poetessa (già fugacemente menzionato ne Il gelsomino selvaggio: “Dov’è la tua Africa, padre?”, ultima strofa, p. 49): “Non affretta il passo, | è molto stanco mio padre, | in un altro tempo ha sorriso | giovane ad Urbino. |Io l’attendo, | il vecchio plaid sulla poltrona | di finta pelle” (vv. 3-9, p.86). La rievocazione è dolce e commossa nell’illusoria, ma anche consolatoria attesa della figlia di incontrare nuovamente il padre, per il quale è pronto “il vecchio plaid sulla poltrona | di finta pelle”. Poco più sotto è richiamata anche la madre, in termini inizialmente negativi, che si stemperano però nei versi successivi, sino a giungere ad un recupero della figura materna (si veda il significativo, ultimo verso della seconda strofa: “la rivedo adesso”, p. 87), come era già avvenuto nella raccolta precedente[5]: “Mia madre spesso adirata | le liti con mio padre |…i suoi abbandoni | i suoi slanci, | folle e generosa, | impervia ed innamorata, | la rivedo adesso” (ultimi versi della II strofa). Sempre in Sicura la mano affiora un altro ricordo della madre, più tenero però di altri in cui ci si imbatte nella seconda raccolta. Dopo aver trascritto un verso della madre stessa Avevi l’aurora sulle guance…, rivolto alla figlia Liana, così continua la poetessa : “nel pieno del suo giorno | versi semplici ha scritto | la madre, per te bambina” (vv. 2-4, p.36).

L’amore, nell’ultima raccolta, si manifesta in più modi e direzioni: nel componimento appena citato si lascia intendere quello per Raffaella stessa, implicito nell’atto che rievoca Liana intenta a leggere favole alla sorella minore: “Più grande, | di Andersen le fiabe | mi leggevi della Sirenetta | l’amore che la perse” (vv. 13-16, p. 34). In questo passo si osservi, per inciso, un altro enjambement, tra secondo e terzo verso, ma soprattutto l’allusione all’amore, sentimento complesso, ambiguo e per ciò stesso instabile, che ha perso la Sirenetta e di cui la poetessa ha, si direbbe, piena e dolorosa consapevolezza. Non è un caso che la prima sezione di poesie, denominata Un amore, s’apra con un titolo estremamente significativo, Azzardo d’amore. I protagonisti, Adolfo e Lucia, sono teneri amanti, che la morte interverrà ben presto a separare. Adolfo allude a “un subdolo male” che “si è insinuato” tra loro (III strofa, p.19), al quale ha dovuto arrendersi, “anche se il tuo corpo”, confessa mestamente all’amata, “mi rapisce ancora | e d’amarti l’azzardo | infinitamente” (III strofa, vv. finali, p. 20). L’amore, dunque, è spesso rischio, il che riafferma la sua natura instabile, come del resto quella di tutte le cose umane. I quattro versi che seguono, privi di titolo (“E l’amore disse: | lasciatemi sopravvivere | ad un’inesorabile | quotidianità”, p. 21) hanno la concisione e l’incisività dell’epigrafe e come tali si potrebbero configurare, se collocati all’inizio della raccolta o di questa prima sezione, delle quattro la più improntata ai temi della passione amorosa. L’“inesorabile quotidianità” è intesa naturalmente come elemento distruttivo d’un amore di coppia, da vivere e da inventare faticosamente giorno per giorno. Il sostantivo ritorna, con altro attributo, nel titolo della poesia successiva, Una sprovveduta quotidianità (p. 22), espressione che costituisce anche l’ultimo verso della stessa poesia (p. 24), nonché il titolo dell’intera raccolta. L’iterazione dell’espressione rivela l’importanza che essa riveste nell’opera; tra l’altro la poesia è dedicata a Bruno, marito di Raffaella e dà avvio ad un gruppo di cinque poesie – costituenti il cuore della raccolta - tutte ispirate dall’amore coniugale. Se ne parla con assoluta sincerità, trattando vari aspetti della vita di coppia, senza tacerne i momenti difficili, di crisi e le liti, quasi inevitabili nelle convivenze, che poi però finiscono spesso con il rafforzare i legami tra i coniugi. Nella poesia che si sta commentando vi sono altri versi da tener presenti: quello ad esempio in cui Raffaella invita il marito a “Non cercare risposte” (v. 5, p. 22), forse perché difficili da trovare o perché andrebbero cercate insieme e quello d’avvio della seconda strofa, in cui la poetessa, riconoscendo le sue manchevolezze, afferma: “Forse non ti ho dato risposte” (ivi). Più avanti, dopo aver fatto riferimento al “silenzio” che è sceso sulla coppia, nonché alla “solitudine” e all’ “ansia che sale alla gola” (II strofa, p. 23), cioè ad un momento di difficoltà, chiude la seconda strofa con versi di speranza: “eppure d’improvviso | ritorna il sorriso sulle labbra, | no, non c’è più freddo | tra di noi” (ivi). Nell’ultima strofa si accenna nuovamente a difficoltà della coppia, ma senza mai disperare: “Molto abbiamo perso.. .| scarse le carezze,| ma la vita chiama ancora…” (ivi). Nella successiva poesia, La notte, ritornano i toni della speranza, che talvolta si fa quasi certezza (“Cammineremo insieme”, v.7 p. 25), specie quando lei, nella chiusa, rivolge al marito sincere parole d’amore, frammiste al timore d’un suo allontanamento : “Sai non ho il coraggio | di pensarti un solo istante | lontano e ti guardo | gelosa dell’impenetrabilità | che ti avvolge, ti allontana” (ivi). Nel componimento intitolato Le stagioni, l’amore di sempre, quest’ultimo tema, autentico leitmotiv dell’intera raccolta, si intreccia con quello delle stagioni, che mutano nel corso dell’anno, mentre l’amore della coppia non muta: è, nonostante tutto, sostanzialmente stabile, quello “di sempre” appunto. Tra le quattro parti di cui consta il componimento, attira particolarmente l’attenzione quella riservata all’inverno, ove si allude alla pioggia violenta, che “scuote serrande | raggela, | misteriosa ed inquieta | in un freddo gennaio | si fa la notte” (vv. 2-6, p. 28). Mentre “figure strane smuovono tende | giostrano minacciose | alle pareti” (vv.11-13, ivi) tra la coppia si insinua “una paura antica” (v. 9, ivi). Poi all’improvviso un flash-back, ispirato all’infanzia, uno dei temi più presenti nella raccolta: “Era l’infanzia | il piccolo lume acceso | le preghiere all’angelo | appena sussurrate” (vv. 14-17, ivi). Subito dopo il ritorno al presente, con un richiamo al passato (“Come allora”) e la felice chiusa: “Come allora | inavvertitamente il sonno | viene a sorprenderci |tepore d’intimità” (ivi). In Orgoglio muliebre, forse per esorcizzare un’evenienza che paventa (si veda l’ultima strofa de La notte), ma anche per dar sfogo al suo orgoglio di donna, la poetessa elenca una serie di cose che vorrebbe di ritorno nel caso di un ipotetico abbandono da parte dell’uomo che ama: “Se tu mi lasciassi, | chiederei indietro | baci, tenerezze | le inutili lacrime | gli abbandoni improvvisi | le liti furibonde…” (vv. 1-6, p. 31). Con quanto pretenderebbe indietro, riempirebbe “la valigia dei ricordi |per sotterrarla nel giardino | …discarica di sogni” (vv. 9-10,12 ivi), nel difficile, forse vano, tentativo di liberarsene per sempre.

In Una distesa d’anni, ricordando Sottomarina e Chioggia, seconda poesia della sezione Un luogo, un tempo, ritorna il motivo che più tormenta, quello dell’ “amore” che “segna” (v. 10, p. 42); gli ultimi versi tuttavia ci inviano l’immagine rasserenante degli sposi-amanti “storditi dal sapore del mare, | ma sorridenti…” (ivi). Ne Il porto fluviale di Aquileia ritroviamo la poetessa disposta a stupirsi, a guardare con meraviglia ciò che la circonda: “ed ecco, non è il mare ad aprirsi | né un fiume, ma un porto | d’acque dissecate e perse” (vv. 5-7, p. 44). In quel luogo magico, incantato, ove “Tutto sa di salso e resina | come il silenzio che cerchia l’aria, | immenso il cielo” (vv. 8-10, ivi), si rivolge al marito, che cammina con lei, con tre efficaci anafore: “tu (parli)”, “Tu (sai)”, “tu (sorridi)” (vv. 11, 19 e 28, ivi). Nell’ultimo verso il tono inclina alla malinconia (“Un’altra estate s’allontana”, ivi), motivo e tono ripresi al quinto verso della poesia successiva, Cividale del Friuli (“l’estate va morendo”, p. 45), nonché in Azzardo d’amore (“l’estate inizia a morire”, v. 2, p. 17). Si direbbe che le stagioni morenti, oltre a suscitare malinconia nella poetessa, destino in lei un senso di inquietudine.

In Venezia per tempi diversi, il più lungo componimento dell’opera, ritorna, sotto nuove vesti, il tema d’amore, il più frequente della raccolta. Nella parte iniziale della seconda strofa, che ha luogo alle Zattere (“Assediate ed assolate…| in un mattino di febbraio”, p. 50), leggiamo questi versi, in forma narrativa, che introducono l’argomento: “Una ragazza corre felice, | una rosa lui le ha donato | una rosa carminia | carnosa e viva” (p. 50). E’in preda a una forte passione: “Senza limiti l’amore | l’annienta, | replica il corpo al desiderio | che la sorprende,..” (ivi). E’ un amore violento, che la travolge e la induce a cercare lui “con disperata tenerezza” (p. 51). In un quadro così appassionato è naturale che entri in gioco anche l’elemento sensuale, messo in moto dal vento che le solleva “…la gonna,” e le “denuda le gambe” (ivi). “Lui è altrove, | ma che importa? | ha il dono d’esistere” per cui lei, paga della sua esistenza, “Fino a morirne lo ama” (ivi). E’certamente tra le poesie più sentite e più dense di eros di Raffaella. Nell’ultima parte di questo articolato componimento ci imbattiamo in “Un arlecchino in un campiello” (p. 54), quasi un anticipo del tema che sarà trattato nella sezione successiva, intitolata La Commedia dell’Arte. Arlecchino “Gioca l’azzardo d’una vita” e naturalmente “intesse trame d’amore” (ivi). “e poi c’è Colombina | infedele e bella” (ivi), secondo il comune cliché che la ritrae. “Riconosce qualcuno, forse nessuno | lì nell’isola remota, | tra i cespugli c’è uno spiazzo | d’erba verde, distende il corpo, | s’addormenta” (54-55). E’una perfetta uscita di scena in armonia con il personaggio.

All’inizio della già annunziata penultima sezione, sicuramente congeniale alla veneziana Raffaella, incontriamo il burattinaio, che ci intrattiene con versi scanzonati: “Invoco la luna | chiamo a raccolta i poeti svaniti | incalzo mascalzoni | rincuoro perdenti | ai vecchi interrompo brutti ricordi. | Accendo, spengo le stelle |alzo polvere, polveroni | confondo i sessi |in mille contraddizioni | non nego gli eccessi | ai puri sognatori” (II strofa, pp. 59-60). Sulla scena si alternano le maschere: Colombina, “bugiarda, capricciosa, graziosa”, che “di notte silenziosa |… ruoti la gonna lentamente |in un moto di danza, |chiedi che avanzi |chi è degno d’amore” (II strofa, p. 61), Arlecchino “policromia di sogni | la sua veste” (I strofa, p. 63), il ricco e avaro Pantalone, “Il manto nero, la veste rossa | la borsa colma di zecchini |… Lentamente avanza, |un palcoscenico la nebbia | a nuovi sogni induce” (I strofa, p. 66), Pierrot, l’eterno malinconico, “Ora piange |in una stanza d’albergo | l’amore disilluso” (ultima strofa, p. 68), mentre Pulcinella è così ritratto: “Tu scherzi, ridi | spesso t’ubriachi | sei servo e padrone” (vv. 7-9, p.69). Raffaella riesce, in pochi versi, a tratteggiare le principali caratteristiche d’ogni maschera che ci presenta. In questa galleria non poteva mancare Casanova, il grande seduttore veneziano, descritto anche lui in pochi versi caratterizzanti: è “nell’antro di un portone” alla ricerca della sua bella, “non ha ragione di vivere | dormire senza amore …| O notte dissoluta | di labbra e cosce accese... | Di certo lei lo attende, |..Le lunghe mani astute | inseguono sentieri nuovi, | approdano dove il desiderio svena…” (p. 73).

Dopo aver presentato vari temi e motivi che Raffaella offre al lettore in questa sua raccolta, essendo poetessa di numerose corde, specie quelle d’amore, ed aver illustrato alcune figure retoriche che utilizza - ma il lavoro, sotto questo aspetto, andrebbe completato – il modo migliore di chiudere questa recensione ci è parso quello di far conoscere un’ultima sua poesia, Febbraio (p. 79), tra le più belle della raccolta, appartenente all’ultima sezione, Ancora parole, cui si è già accennato. L’inizio, assai felice, crea immediatamente un’atmosfera d’attesa della nuova stagione, anche di vita, che è alle porte:

Non l’avverti una luce
un brivido diverso?
l’aria lieve di boretta
soffia allegra,
il sole alle finestre
impaziente
cerca un varco tra i balconi.

Dopo un cenno al “morso d’un primo amore” (v. 13) – è il tema principale che ancora una volta ritorna - una rapida conclusione, con il ricordo incancellabile della natia Venezia e l’invocazione alla madre:

E Venezia sempre, madre,
dal giorno in cui
per la prima volta
scalciai.

In un breve componimento, la sintesi estrema di alcuni motivi e temi (l’amore, Venezia, la madre, l’infanzia), tra i più ricorrenti e significativi del volumetto.

Note

[1]. Si veda la chiusa della mia recensione a “Ipotesi d’amore: l’ultimo libro di poesie di Raffaella Bettiol è un suggestivo dialogo con la propria anima”, nel Notiziario della “Dante” a Padova, Ottobre 2007, Anno XXII, n° 3, p. 7. Ora anche in “Intorno a Ipotesi d’amore di Raffaella Bettiol”, Dediche, note e recensioni, Cleup, Padova, II edizione, giugno 2009, pp.19.

[2]. Si tratta della rima XXXVIII (si veda G A. Bécquer, Rimas, Madrid, Espasa-Calpe, 1968, II Edición, p. 69) di cui si dà la traduzione italiana a cura del redattore di queste righe : “I sospiri sono aria e si disperdono nell’aria! |Le lacrime sono acqua e vanno al mare! |Dimmi, donna, quando l’amore si dimentica | sai tu dove va? “.

[3]. Si veda la bella Prefazione di Umberto Piersanti, p.9.

[4]. R. Bettiol, Ipotesi d’amore, Marsilio, Venezia, 2006.

[5]. Si veda la mia cit. recensione ad Ipotesi d’amore, Edizione Cleup, p. 17.

Recensione
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