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Undici liriche intense queste di
Ferdinando Banchini, ricche
della traduzone in francese di Jean-Manie Le Ray. L'autore lascia che il suo
animo ricerchi fedelmente e intimamente un proprio percorso, in cui non v'è
alcuna barriera prestabilita o materiale. E' profondo lo sforzo di Banchini
nell'andare al di là del dato, della conoscenza empirica della cose. Il verso
penetra nel vagabondare dell'animo, comprendendo l'intinio sentire delle
persone e delle cose e gradualmente si eleva a Dio, in un'osservazione metafisica.
Questo tendere verso li sovrumano
caratterizza i versi e sintetizza l'andatura dell'indagine poetica dell'autore,
che è anche sofferenza, ma mai rassegnazione: "Nel solco della notte | già
sprofondo, Signore | ferita atroce il giorno | rovente lama inflitta | nell'urlo
della carne | Se taciuto è il tuo nome | se ignorato il tuo volto | solo strazio
m'è dentro" (p. 10). E' una poesia di desiderio, ricca del ricordo, che può
essere anche tensione, interiore, ricerca del non vissuto per scoprire un nuovo
senso o un nuovo ardore, soprattutto quando "altrove i mattini | s'adornano d'incanti
| di folli girotondi | dolci di sogni. Altrove | Qui
gocciolano i giorni | livide sbarature | di deliri e d'inganni | d'implacabile
assenza" (p. 18). Banchini si "separa" dall'azione terrena, direi
quotidiana, colora con calde parole paesaggi incontaminati e intraprende un
dialogo continuo con tutto ciò che sfiora il suo cuore, fino ad isolarsi e
parlare con la vita, in una preghiera esortativa. "Non desistere, vita,
trafiggi il buio | e silenzio, oltrepassa i giardini sfatti | dell'inverno, le
tristi favole annulla | [...] Ora arranca mia vita, con pena sgretola | le
fragili muricce che ti si parano | innanzi. Sii tenace in te, paziente" (p. 30).
La musica delle parole, tra "fluttuati arvenze"", "misteri d'abissi" e
"silenzi", cattura e lascia libertà all'mmaginazione di andare lontano,
verso spazi remoti o verso interminabili paesaggi sopra di noi, dove il
respiro scandisce un tetripo che si svela e si vela, trasformandosi sempre.
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Recensione |
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