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Questa forza di pace
Mariateresa Giani, in questa raccolta
poetica, con un ampio respiro lirico suggerisce la sublimità del trascendente
che sottentra, quale linfa vitale, ai meandri della realtà. Meditazioni
profonde, così, si snodano attraverso un linguaggio raffinato e un notevole
spessore poetico: “Inverno è questa forza di pace / irriducibile nella sua
nudità, ora / che i cumuli di scomposte spoglie, / lo sfinimento di zolle con
tagli / secchi come bocche storte / e le foglie ai merli putrido strame, /
soccombono all’erta solitudine / dei rami.“ (Inverno). È proprio “questa
forza di pace”, questa rivalsa del bene sul male, attraverso il supremo perdono
della croce, che s’invoca come unica salvezza per l’umanità ferita dalla sua
estrema miseria: “Andare incontro ad un’offesa / con una rosa, innalzare /
l’umiliazione in un sorriso / è l’esito di un’alchimia / laboriosa di
redenzione, / la via di libertà dell’io.” (Alchimia II). Sembrano
contrapporsi due entità opposte, di cui l’una è il principio dell’esistenza,
l’Amore – cui viene elevato un meraviglioso inno –, mentre l’altra ne è
l’anti-materia, Il Nulla, generato come per partenogenesi da se
stesso, come ombra ricavata dalla luce (“Da dove sgorga il concetto, / che fonte
impura spurga / la figura dell’assoluto vuoto / di vita, del trascendente
niente, dell’inesistente supremo?”; “Al multiplo gioco di specchi / del sole,
l’ombra è il fiato / delle cose ch’entrando in affanno / s’aggrava e rade terra
spossato”): “l’Infinito, / l’eternamente vivo senza limiti, / l’imperscrutabile
indiviso è / l’Amore, che tutto quanto esiste / avvince e fonda, che io
rispecchio / e incarno nel mio universo umano / di lontananze e plasma.” (L’Amore).
Il Bene innalza lo stendardo della croce, nella sua logica paradossale
d’immolazione, contro il potere delle tenebre che confonde le menti e avvelena
la vita: “Ma, germogliato da sangue e acqua / di un divino Agnello, – croce
estesa / dalle radici agli apici del cielo / e da un confine all’altro della
terra, / indistruttibile, svetta e purifica, / fruttificando, l’albero del
Bene.” (L’albero del Bene).
Il creato appare circonfuso della
tenerezza divina, trasfigurato dello splendore primigenio: “Albore: i mari erano
gravati / da una nebbia ipnotica, straniati / fantasmi di selve alitava / in un
sonno larvale la terra, (…) Su tutto cadeva la neve. / Era Dio che aspergeva la
materia, / creandole memoria del Suo rigore / temperato di tenerezza, prima / di
trarla a libera esistenza.” (Neve ai primordi). L’atmosfera evanescente
del sogno sembra avvolgere il cosmo del suo sguardo iridato: “Attorno alle cose
un’aura / erode i tratti, e il sogno / vaghezza interna rianima / e viluppi di
larve da un tenero / tepore di confusa vita, / all’occhio che si stempera / in
un chiarore vacuo di realtà / sospesa al valico di flussi, / brume da
dormiveglia e cigli / d’abissi, corsi da folgori / intuitive e scossi da
repentini / squarci d’epifanie creative.” La neve ha un fascino arcano quanto
irresistibile, come il pudore di Dio: “Teneramente amorevole, la neve: / tra
coltri di cristallo io riposo, / ricavando dal suo fiato di gelo / lo zelo di
sopravvivenza. / Sollecita madre, mi costringe / e sostenta di zucchero e latte
/ di ghiaccio, il suo stigma d’astratti / fiori e stelle imprime alla mente. / E
l’algido fascino del suo grembo / mi orienta al polo interiore.” Nel silenzio
che permea l’universo, in “una pace come quella che il creare / precede”, in cui
“uno spirito assorto / ascolta i pensieri nascergli / in armonia col fiato”,
abita il Paradiso: “Paradiso è forse il fluire / in un calmo respiro cosciente /
nel silenzio che dello spirito è canto.” (Il silenzio).
Il dolore scava come “un fiume
carsico”, come declamava Ungaretti: “Scava il dolore, come un archeologo / che
penetra gli strati transitori / e circoscrive con cura ossa e ruderi. / (…) E,
roditore finissimo, al bandolo / irriducibile la trama rode, / alla fibra nobile
dello spirito.”
Si contempla, adorando, il mistero
imperscrutabile dell’Incarnazione: “Come fu che nel travaglio immane / il seme
del sacro e del bello / poté assumere fattezze umane?”
Vi sono versi improntati ad un estatico
lirismo: “L’amaca di seta azzurra / del cielo, ora che ho reciso le radici, / è
la mia stabile, vera dimora. / Con le intermittenze luminose / e le magnetiche
attrazioni, ai vincoli / di affinità e reciproche influenze, / alla fraternità
dell’universo, ammiccano / le costellazioni. E archetipo è il tutto / d’un’unica
feconda appartenenza, / di un solidale radicamento nel sovramondo.”; “Stupisce
l’occhio a quei fiori / che, aspirati dal vento ed impressi / nell’altissimo
cielo d’estate / in sfarzo d’argenti sul cobalto / di viali d’aria profondi, /
costellano un giardino notturno / d’astri per passi leggeri.”; “Vorrei negli
animi disporre / per sfregamento lieve le parole, / come nei sanguigni alveoli
del corallo / o negli anemoni di mare allineano, / strusciandosi con zelo
parentale, / i pesci d’alto oceano le uova, / fecondate tra gli echi dei flussi
/ del profondo e i riflessi lunari.”
Nell’ultima sezione, Teopatia,
il sentimento religioso viene celebrato in tutta la sacralità della sua
celestiale fragranza (“verso l’umana sacra fraternità / senza riserve alla prima
aurora”): “Se si uniforma il volere di creatura / umana alla creatrice volontà
di Dio, / sacrificio d’amore, ch’Egli eleva / a fondamento e gemma del regno /
dello spirito, a fibra di pregio / e filamento d’oro del tessuto eterno / della
vita, e tendine elastico / e nervo al passo dell’universo, / inconcepibile è
l’onore a corona / del prediletto figlio ed umile / cooperatore del divino
progetto” (La volontà di Dio); “La preghiera è un invisibile arco / che,
pur segnando una distanza, / interpreta il divino desiderio / dell’unione e
approssima l’incontro.” (La preghiera). La passione di Cristo appare in
tutta la maestosa potenza redentrice della sua terribile sofferenza: “Un infuso
di amarezza / e dolore, partecipe delle croci / e del buio che infittiscono / il
mondo, in questo santo / giorno di Passione / m’offro al sorso di Cristo” (Passione
e Risurrezione); “Il Venerdì Santo, un velo / scuro a lamento, a coprire /
l’enormità del misfatto / agli occhi di Dio, / stende la Madre impotente / ai
piedi del Figlio divino / innalzato, innocente”; “Dai fori delle mani e dei
piedi, / dallo slabbro del costato, / dallo squarcio del suolo / sotto il palo
piantato / e del velo del cielo: / di tutto quell’esser torturato / e spento
nella tomba / del mondo prende forma / splendente la Misericordia.”
Maria Teresa Giani in questi testi
esprime una spiccata spiritualità che si effonde in un abbraccio cosmico, in una
contemplazione vertiginosa sospesa sopra l’aurora della creazione, come si può
ammirare in questa stupenda poesia, Lo sguardo creatore: “In principio,
Dio ha guardato il mondo / con potenza d’amore, trasfondendo / lo splendore
dello sguardo in bellezza / sfolgorante d’oceani e astri, / di vette smerigliate
col fuoco; / incline a minute finezze / ha smussato la punta di diamante, / la
Sua tenerezza incarnando nel pudore / e nelle fragili grazie dei fiori, /
sfioccando la piumosa lanugine / dei passeri dalle nuvole in volo… / Si è
curvato nel grappolo da pigiare / e nel grano, sostanziandoSi succo / e pane:
S’è lasciato dall’uomo consumare.”
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Recensione |
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