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I cani non fanno colazione
Fedele alla massima di Schopenhauer (“Chi non ha mai posseduto un
cane non può sapere cosa significhi essere amato”) Gabriele Astolfi ha accolto
la sfida elevando a protagonista di una storia un quattro zampe e relegando gli
uomini al rango di comparse.
E’ Cleo, una bastardina accolta in un centro sportivo e prossima ad
essere trasferita in un canile, a raccontare la sua esperienza di ospite in una
“famiglia allargata” di bipedi, continuamente sballottata da una casa all’altra
eppure circondata dall’affetto di tutti. Con la sua esuberanza Cleo si farà
benvolere dai suoi genitori adottivi che, pur distratti dagli impegni di lavoro,
la tratteranno come una figlia, lasciando che dorma accanto a loro sul letto e
portandosela in vacanza.
Scrittore umoristico, Astolfi dipinge un universo in cui sono i
cani, al contrario degli uomini, inaffidabili e falsi, a costituire un modello
di lealtà e trasparenza: non a caso, essi sono paragonati a libri aperti,
scritti in un linguaggio che non richiede di essere decodificato.
Paradossalmente, il loro abbaiare infastidisce più dell’inquinamento acustico a
cui si è ormai assuefatti e persino in chiesa sono mal sopportati benché San
Francesco non esitasse a definirli dei “fratelli minori” a cui non sarebbe stato
negato l’aldilà. Viene incontro a questa esigenza il cimitero per cani e animali
di Grizzana Morandi, la “casa di riposo di Snoopy” dove è sepolta la cockerina
Camilla, con il cui ricordo Cleo si deve confrontare al suo arrivo in famiglia.
Non mancano i riferimenti autobiografici (il padre Guido, guarda caso, ha
pubblicato proprio un libro sugli animali) a questo vivace romanzo che, evitando
di scadere in un trattato di psicologia canina, diviene un invito a farsi
travolgere dall’esuberanza di queste bestiole “chiacchierone” desiderose solo di
essere amate.
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Recensione |
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