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La pratica
Uno dei
bersagli prediletti della satira è il Potere, il cui apparato come una piovra si
estende in modo tentacolare: è il “Pallazzo” che Astolfi popola di figure
caricaturali quali raccomandati, segretarie in carriera, impiegati stakanovisti
e femministe frustrate. In questo universo in cui ogni cosa, persino la morte, è
pianificata, viene smarrita una pratica che un solerte Dir(ettore), manovrato da
un personaggio influente, si affanna a voler ritrovare a tutti i costi,
costringendo i suoi dipendenti a mille escamotages per recuperarla.
La ricerca
è resa ancora più ardua dal fatto che del documento non è lecito conoscere il
referente: la creazione di un falso da spacciare per l’originale perduto sembra
allora l’unico modo per preservare l’immagine del “Pallazzo” e salvare così la
faccia. Questa geniale trovata rispecchia la realtà attuale in cui l’informatica
è l’alleata di chi comanda nell’opera di manipolazione degli individui, definiti
nel libro da nomignoli che esprimono il loro status di sudditi privi di una
propria identità al punto da associarsi e originare delle bislacche coppie
(Punto e Tacco, Grigio e Nero). Inevitabile la storia d’amore tra lo scettico
Filo e la sensuale Amber, due emarginati che ingrossano le file del “Pallazzo”,
le cui fondamenta – a causa della ribellione di alcuni “inquilini forzati” –
sono meno solide di quanto sembri…
Il romanzo procede accumulando situazioni paradossali con l’intento di strappare
al lettore più di un sorriso: l’intento può dirsi riuscito benché talvolta
l’ironia si riveli un’arma a doppio taglio. Nel suo procedere senza soste, la
vicenda provoca, infatti, lo stesso effetto di uno spettacolo di fuochi di
artificio che abbaglia ma a lungo andare stanca.
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Recensione |
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