Servizi
Contatti

Eventi


Il poeta Ivan V. Lalic

da: Solitaire (2009)

R. Penso che la poesia rappresenti, in sostanza, comunione.

Così è per il linguaggio e la poesia è così, come da una semplice e lucida definizione di Ezra Pound: «Linguaggio carico di significato, espresso al massimo livello». (E il linguaggio è sacro, nel senso espresso nell’esclamazione di Valery’s Jeune Parque: «Honneur des Hommes, Saint Langage!»). Comunicare significa per un poeta stabilire alcune sottili relazioni con il mondo, scegliendo e presentando alcune esperienze («I poemi sono esperienze» dice Rilke) che potrebbero essere in accordo con lo spirito e la sensibilità del suo tempo.

In altre parole, essere attivi e fare in modo che la sua presenza sia sentita.

D. La sua poesia è stata definita “protogiovane”. Vuole spiegarlo?

R. È vero che nella mia poesia sto cercando di dire al mondo, nonostante sia ben conscio che è confuso e tragico, o se vuole (sto cercando di dire sì al mondo – Ndr) per celebrarlo, essendo in ogni caso la sua celebrazione paradossalmente necessaria.

Ma un poeta che oggigiorno sceglie di cantare la sua rivolta, la sua non accettazione, il suo autogiustificante nichilismo – avendo vissuto in un secolo che ha assistito ad Auschwitz, gulag o Hiroshima – questi ha scelto senza dubbio la via più semplice.

D. Ma chi è per il poeta, veramente, al di là della evidente metafora, Melissa?

R. Questa metafora è evidente? Sarei felice se fosse realmente così. Ma Melissa rappresenta una estesa metafora (possiamo guardare alla Divina Commedia come scena di tre grandi metafore) basata su un mito greco minore; ciò che cerco di comunicare è in sostanza una storia d’amore e morte, essendo l’amore vita e costante cosmica, e la morte qualcosa di più che solo morte.

Certamente questa è una grande semplificazione, ma è anche la verità. Ricordiamo che ogni verità è un cerchio rispetto al quale si possono disegnare quante tangenti si vogliono. Così la mia semplificazione non è altro che una delle tangenti (tangential truth).

D. Miti e religione nei suoi versi. Quali sono le origini e le ispirazioni?

R. Alcuni miti sono per me non un tema ma un mezzo di espressione. Nella poesia moderna – potrei dire quella che va da Baudelaire – un poema non si rivolge al mito stesso per cantarlo; conseguentemente il mito non è il fondamento, ma il punto di arrivo, ovvero un mezzo per rendere possibile l’espressione dell’irrazionale.

Aiuta a fare in modo che l’inspiegabile prenda forma nel linguaggio.

D. Dove va la poesia oggi?

R. Questa è una domanda che si dovrebbe fare a un critico, a un filosofo (del genere heideggeriano). In ogni caso, la poesia è, in questa era non poetica (o anti-poetica), qualcosa di molto vivo. È ciò che penso e la cosa mi rende felice o mi riconcilia con questo disastro generale.

D. Maestro, può parlarci della poesia contemporanea del suo popolo?

R. Sarebbe piuttosto difficile elaborare una risposta valida alla sua domanda, basata su dettagli concreti o esempi.

Così mi lasci puntualizzare il semplice fatto che questa poesia è molto più in tono con le sue coordinate spazio-temporali. Così essa ha – come ogni poesia – una qualità maggiore di valore documentario storico-culturale.

D. Tra i poeti italiani qual è quello al quale si sente di essere più vicino?

R. Rileggere Dante è un esercizio spirituale che faccio regolarmente, tiene in esercizio la mente. Leopardi è uno dei miei autori preferiti sin dalla gioventù. È la trasparente bellezza del suo pessimismo che lo rende più importante e universale del solo pessimismo, cambiandolo in qualcosa di più ricco e strano... Montale e Quasimodo comunque appartengono a quella famiglia di poeti alla quale mi sento spiritualmente più vicino.

D. Civiltà delle lettere o cultura di massa?

R. Penso che il vero dilemma sia artificiale se non falso. Io cerco di fare parte di quella civiltà delle lettere che lei cita, essendo allo stesso tempo consapevole dei modi talvolta veramente aggressivi con i quali la cultura moderna di massa impone se stessa.

Ma la cultura moderna di massa esiste; possiamo solamente sognare di vederla cambiare in meglio un giorno.

Mi dispiace dirlo; si deve parlare di due diversi modelli e due diversi fenomeni che non possono esistere come unità.

Ho paura che i tempi di Sofocle o Shakespeare siano felicemente passati; ma non si può fare altro che cercare di farcela (Then try to cope with it – Ndr).

Note

1. Collana “I poeti”, Jaka book, a cura di Aleksandar V. Stefanovic, 1991 Milano.
2. L’intervista è di poco tempo prima della sua morte, avvenuta nel 1995.

Materiale
Literary © 1997-2024 - Issn 1971-9175 - Libraria Padovana Editrice - P.I. IT02493400283 - Privacy - Cookie - Gerenza