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Elegia provinciale, romanzo di Micheli dalla lingua strana e ardita
Giancarlo
Micheli ha pubblicato presso l'editore Baroni di Viareggio un interessante
romanzo interamente dedicato alla vita e al carattere di Giacomo Puccini,
Elegia provinciale. Prendendo spunto dalle vicende che in bene e in male
hanno catatterizzato l'esistenza del celebre musicista toscano, Micheli ha
spostato i dati biografici contingenti verso una seconda natura d'approccio e
ha costruito una narrazione che si muove per piccoli scarti e per successive
approssimazioni. Il romanzo si sviluppa e si esibisce lungo questo segmento
che Micheli ha arricchito con sostanziosi riferimenti alla storia sociale,
politica, economica e religiosa degli anni pucciniani in quella Toscana
rissosa e pietosa che trapassa dal quieto vivere ottocentesco agli anni più
inquieti del primo Novecento. Ma Elegia provinciale non è, come
si potrebbe pensare, soltanto un romanzo ricavato per fantasia dalle vicende
familiari di Puccini. L'intendimento di Micheli mira a qualcosa d'altro, cioè
ad una migliore e più complessa intelligenza del personaggio, dei suoi
sentimenti e dei suoi comportamenti. Al centro di questo nucleo narrativo si
pone infatti, quello che una certa ricerca psicologica definisce come
«l'impero dei sensi». Micheli ne è un accorto gestore e riesce così a cavarne
quella segreta trama che dall'elegia evocata nel titolo passa alla tragedia, e
dalla tragedia al grottesco in una lunga filamentazione di occasioni, dialoghi
e strutture narranti. Ciò che però più stupisce in queste pagine è la lingua
che Micheli usa: una strana lingua davvero che attraversa tutto lo spettro
delle sue possibilità, dalla retorica al dialetto, dall'anacoluto alla
metafora più ardita. Gli esempi sarebbero molti: «Giacomo ebbe sonno quieto,
oscurato da avvolgente oblio» ... «Convinto della propria ingenua beanza» ...
«Trascorsero algide giornate di novembre lacrimanti pioggia sui tetti dagli
embirici sconnessi» ... «Un antropologico angelo veniva sulle ali del vento» e
si potrebbe continuare a lungo. Si ha la sensazione, quindi, che lo scrittore
ostinatamente ricerchi un'emozione e un dettato descrittivo che, alla fine,
poi gli restano in mano come freddi elementi di un discorso non compiutamente
posseduto ed espresso.»
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Recensione |
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