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Prefazione a
L'invasione degli storni
di Roberto Mosi
la
Scheda del libro

Giuseppe Panella
La rivolta degli uccelli migratori
«Nell’aria viola del tramonto egli guarda
affiorare da una parte del cielo un pulviscolo minutissimo, una nuvola d’ali che
volano. S’accorge che sono migliaia e migliaia: la cupola del cielo ne è invasa.
Quella che fin qui gli era sembrata un’immensità tranquilla e vuota si rivela
tutta percorsa da presenze rapidissime e leggere. Rassicurante visione, il
passaggio degli uccelli migratori, associato nella nostra memoria ancestrale
all’armonico succedersi delle stagioni; invece il signor Palomar sente come un
senso di apprensione. Sarà perché questo affollarsi del cielo ci ricorda che
l’equilibrio della natura è perduto? O perché il nostro senso d’insicurezza
proietta dovunque minacce di catastrofe?»
E’ da questo spunto narrativo di Italo Calvino
contenuto in Palomar del 1983[1]
che Mosi fa partire il suo nuovo libro di poesie che segue le raccolte Luoghi
del Mito (che è del 2010) e Nonluoghi (che è, invece, del 2009). Alla
ricostruzione di aspetti particolari del mondo animale si associa il ritorno
alla dimensione “modernizzata” del mondo mitico che contraddistingueva il
precedente scritto di Mosi e l’indagine sulla “de-localizzazione” della poesia
che, invece, era presente nei Nonluoghi ancora prima. In sostanza, con
L’invasione degli storni si va precisando una sorta di deliberata trilogia
poetica. In essa, alla descrizione di un mondo contemporaneo ormai degradato e
senza centro, spesso incapace o inadeguato a prendere in considerazione la
necessità di un cambiamento che lo conduca verso una dimensione più armonica
della condizione umana (i Nonluoghi), si giustappone il ricordo del
passato mitico dell’archetipo, l’uomo di sempre, quello che ha ancora in sé la
possibilità di ritrovarsi e di impedire la distruzione del suo equilibrio
interno in relazione alla natura (i Luoghi del mito). Nel nuovo libro,
infine, è la Natura in scena con tutte le sue voci e con tutte le sue
espressioni spesso mute ma non per questo meno espressive e capaci di mostrare
il loro vero volto. E’ quello che accade della parte iniziale dell’Invasione
degli storni dove allaValle dell’Inferno, luogo poetico e
soprattutto campaniano per eccellenza, si aggiungono la Via del
Purgatorio e il Nuovo Cinema Paradiso. Tre momenti in cui tra uomo e
natura si crea un conflitto, si approfondisce e poi, forse utopisticamente e un
po’ idillicamente, si risolve in una nuova alleanza. Nell’Inferno della radura
del Mugello gli animali dimostrano tutta la loro perplessità circa il destino
dell’uomo così come Gabriella, musa ispiratrice e novella Beatrice, indica la
via:
«La cornacchia sfoglia / le pagine,
scuote la testa / mi spinge fuori dalla valle. / La cascata sbarra il sentiero /
l’acqua scende fragorosa. / Salto tra le onde, sui massi / in cerca della via
d’uscita. / Scopro la grotta oltre il salto / dell’acqua, Gabriella mi porge /
la mano: “Dopo la valle / scoprirai il tempo dell’Attesa”»[2].
Nella Valle dell’Inferno il solo soccorso di
Dino Campana non basta: la Follia è già dentro l’uomo e lo rinserra nella sua
morsa. Nel luogo in cui la Natura dovrebbe trionfare e decomporre la Storia
ormai decotta dalle sue stesse contraddizioni di sempre, emergono i frammenti e
gli spezzoni dell’ uomo contemporaneo a contaminarla. Al posto dell’armonia del
passato e della ricomposizione delle contraddizioni del presente, predominano le
scaglie e i frantumi della civilizzazione presente che distrugge e inquina,
invece che purificare separando ciò che dura da ciò che deve essere distrutto,
ciò che è fatto per servire da quello che è puro prodotto del profitto.
L’Inferno è dunque questo, l’Indistinto, il luogo nel quale tutto è mescolato e
il puro è tratto nel gorgo dell’impuro:
«Congestione di rifiuti urbani / nelle
discariche a cielo aperto, / i topi si tengono per la coda / fanno festa
gabbiani in volo / gatti impigriti dal grasso. / Ogni rifiuto giunge alla meta /
differenziato per contenitore, / la Coscienza divide i rifiuti. / Umido
organico: scarti / di cucina, erbe del prato. / Carta e cartone: giornali, /
libri, fumetti, quaderni. / Plastica: bottiglie d’acqua, / involucri, piatti,
sacchetti / Vetro: vasetti, brocche, / specchi, lampade, bicchieri. / Mondo
virtuale: baci, amore, / passione, sentimento, emozione»[3].
Il tema della discarica come non luogo della
postmodernità ricompare anche per attrazione nell’ultima parte del libro (nella
sezione Periferie che già apparteneva ai Nonluoghi precedenti[4])
ed è un tema ormai topico nella disincantata metamorfosi del contemporaneo che
allinea ironia e pathos nella scrittura matura di Mosi. Ma qui ha
funzione eminentemente simbolica: i rifiuti sono ciò che appesantisce l’uomo e
gli impedisce di essere ciò che vuole essere davvero, legato, com’è, alla
“virtualità” dell’esistenza affettiva ed emozionale. L’Inferno è dunque il non
luogo del consumo e della minaccia, della disarmonia tra la realtà sognata e il
progetto globale che la nega in nome di una smodata e forsennata corsa al
profitto: dunque, la negazione di una vita armoniosa. autentica.
Il Purgatorio è una Sala d’Attesa dove si
scontano i peccati sotto forma di malattia. Il luogo della sofferenza, della
ricerca di una guarigione che si fa aspettare infliggendo sofferenza e disagio a
chi ne è la vittima spesso incolpevole, spesso inconsapevole, sempre timorosa e
schiacciata dal male:
«Nella Sala d’Attesa l’odore
/ dell’alcol, il battito del tamburo / la pelle secca della lingua. / Folla
nella Sala d’Attesa / la porta aperta sul Reparto, / il gioco degli scacchi, /
per pedine la vita e la morte. / Passi sulla sabbia tra miraggi / evanescenti,
il Tumore / tesse il tempo dell’Attesa. / Il maglio colpisce la facciata /
abbatte la parete di rosso / un boato invade l’ospedale. / Tra le gru e le
escavatrici / sopravvive solo il Reparto»[5].
Ed è nel Reparto che si consuma l’Attesa fatta
di squallore, sofferenza, assenza; tra le sue mura fatte di gesso e di lacrime
si cerca se stessi e ci si accinge a rinnovare la propria dimensione più
profonda per essere di nuovo capaci di vivere e di giungere a quel Paradiso
fatto di illusioni e di felicità che è la Fabbrica dei Sogni. Nel Reparto
incombe il Ragno che tesse la tela del destino, che scandisce il passare del
tempo, che annota e trattiene i passi di chi vorrebbe fuggirne ma non può. Chi
ci riesce, infine, si slancia alla ricerca di qualcosa che prima, nel Reparto,
gli era stato negato e che solo ora prende consistenza – ed è “la materia di cui
sono fatti i sogni”:
”Suona la mia
canzone, / Sam. Come a quel tempo”. /
Implora dallo schermo, / lo sguardo di Ingrid, vago il suo sorriso. / “Canta:
As Time Goes By”. / Ripeto le sue parole, / seguo Gabriella nel film.
/ Sono alle spalle di Bogart / sulla pista dell’aeroporto, / sento le
parole dell’addio. // La mia mano non stringe / Gabriella, la poltrona è
vuota»[6].
La vita è fatta di illusioni e di sogni
proiettati su un telone che si illumina della gioia immensa dell’immedesimazione
con l’altra faccia della Luna. Il Paradiso è perdersi in essa e ritrovarsi
dall’altra parte. Mosi prova a raccontarci come è andato il suo viaggio
dall’Inferno al Paradiso, dal mare dell’immondizia allo schermo translucido
della coscienza: la sua poesia è tutta qui, resa immobile e, pur tuttavia,
agitata dalla forza del desiderio di volare. Quando ci riesce, allora, si
“illumina d’immenso”.
Note
[1]
I. CALVINO, Palomar, con una presentazione dell’autore, Milano,
Mondadori, 19942, p. 64.
[2]
R. MOSI, L’invasione degli storni, p. 1.
[3]
R. MOSI, L’invasione degli storni, p. 9.
[4]
“Discariche di squallore / sotto i ponti dell’autostrada /
vicini alla città, fulgore d’immagini, / di colori spruzzati sui piloni.
// Attraversoo correndo la sera, / verso la campagna. / Graffiti mi
accolgono in galleria, / parlano ogni volta / del fantastico creatore.
// Ieri da una collina in rosa / mi ha salutato la pecora Dolly, / di
fronte il gregge assorto / delle pecore normali, / al centro
l’albero della vita / per frutti televisori / missili e computer“ (R.
MOSI, L’invasione degli storni, pp. 55-56).
[5]
R. MOSI, L’invasione degli storni, p. 13.
[6]
R. MOSI, L’invasione degli storni, p. 20.
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