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Introduzione a
La maschera della Gioconda
di Antonella Zagaroli

la Scheda del libro

Walter Pedullà

La Gioconda essendo notoriamente un mistero inesauribile per i suoi interpreti, Antonella Zagaroli si propone forse di chiarirlo? Non si direbbe, se la mettte sul volto la maschera. È una maschera che non semplifica la questione, semmai la complica: già a osservare in superficie questi versi, che sono pieni di immagini impervie e di metafore oscure dietro le quali hai urgenza di andare a guardare per capire l'"anima" del personaggio. Le metafore per loro natura "mentono" pur di dire una verità che "letteralmente" è intoccabile. Essendo qui il tasso figurale tra i più elevati della poesia d'oggi c'è una quasi ermetica maschera di parola da strappare, da penetrare, da interpretare se si vuole trovare, insieme a quello che c'è dietro, quello che c'è sotto. I misteri sono già due, anzi tre, se si aggiunge a quelli della Gioconda e della sua maschera quello della Zagaroli, che naturalmente sta più sotto ancora, magari nella sua psiche e nel suo linguaggio, da tempo riconosciuti come gemelli. E non finisce qui quando si costretti a mettere la maschera sul volto di un personaggio già "mascherato" per antonomasia.

Cosa c'è, dunque, sotto la maschera e sotto la Gioconda? Intanto non dimenticate che c'è sempre un disegno e che c'è figuratività e persino geometria, anche dove le metafore sembrano "ebbre" o assolute, e risultano inafferrabili i collegamenti. Una maschera cambia la fisionomia ma non l'annulla, semmai tenta di dare un ordine al caos o al labirinto. Ecco un disegno geometrico possibile, figura ricca di corridoi che guidano dal minotauro ma che non riconducono mai fuori. Non se ne esce: il filo d'Arianna è nelle mani della poetessa, che si diverte, contrariamente al suo mito, a farne un gomitolo. È difficile seguire il filo del discorso, è troppo pieno di nodi, il cervello si impunta a ogni crocevia logico prima di risolversi al salto: che è la sigla del ragionamento e della fantasia quando sono così fanatici di analogia.

Questa Gioconda è quasi informale, è stata fatta a pezzi e poi rimontata. Perderebbe quindi la faccia chi provasse a togliere di colpo la maschera a queste poesie e a spiegarle. Di sicuro è questione di testa. Antonella Zagaroli invita a cercare in testa, se si vogliono mettere insieme i connotati di una figura che, per proverbio, non cede mai il senso. Cosa ha mai in testa l'autrice de La maschera delta Gioconda?

Chiediamo qualche lume al "Coiffeur distratto" del poemetto omonimo. Si tratta sempre di uno che fa parrucche con cui nascondere i capelli veri; eppoi, essendo distratto, ci sarà qualche lapsus sulle cui tracce penetrare oltre il cuoio capelluto. Partiamo dalla superficie, iniziamo dal capo, a caso, ma non tanto. "Morsi di pensiero" dà un'idea di quanto cervello ci mette Antonella Zagaroli per scrivere i suoi versi. "Parole fuggendo", nel verso si rileva l'intenzione della poetessa di non farsi bloccare dal significato esplicito dei termini usati? Comunque qui non ci sono versi che vanno veloci, non c'è corsa e c'è più di un ostacolo. C'è un "avversario crudele" che "mortifica nella derisione / messaggi di tenerezza". È un "cinico" che viola incuriosito fra i segreti" e che "scoraggia e vìola / della sostanza ogni desiderio / attanaglia e rigenera". "Nell'immaginazione / il vuoto": non è facile cavarci un racconto coerente, anche se l'interprete "si lascia tentare / dai tesori che il caso attraversa". "Le menzogne irrorano il dialogo", quindi non c'è da fidarsi di parole che hanno la consistenza dell'acqua, comunque di un liquido, incluso quello amniotico, troppo sfuggente per poterci acchiappare un senso. Che sia il caso di sondare questo "vuoto" di senso e di immaginazione? C'è più di un "vuoto" in questi versi e in mancanza d'altro anche la statistica può essere d'aiuto.

È. venuto il momento di passare alla "lettera" di questa poesia. Non il senso letterale, che risulta coperto interamente dalla maschera delle metafore. La lettera potrebbe essere la m, nella trasformazione e successione che, partendo da méta arriva a molecole (méta merde mariujana / mach monitor monsters / marsupi smerigliate mestruo / merende al sacco mokcole sonda"), attraverso un sacco di m che invitano alla sonda, a guardare sotto, nel marsupio psicologico, con tecnologia avanzata e con qualche propellente chimico della fantasia. Più feconda risulta però e più completa di vocali la lettera v di "Coiffeur distratto", che finisce con questi versi: "vispa / veste dal viso verbale / vorrei vincere il volo / varcare voragini / dal vallo alla vetta col verso / vistando veleno / vistoso vociare visioni / di vittime valori venduti / da venti di vetro / nel vuoto del ventre". Oltre la "lettera", ma, provando a combinare intere parole, si ricava un vibrante desiderio, aereo e concreto: "vorrei vincere il volo", "varcare voragini", "vociare visioni" in un delirio di luci e di suoni indefiniti e ossessivi. Non facciamo i visionari, non prendiamo il volo verso interpretazioni acrobatiche, non illudiamoci di superare i baratri che si aprono dinanzi al lettore. Restiamo più terra terra, restiamo stretti alla lettera, la v, e alla vocale che segue secondo l'ordine elementare e scolastico: dopo la a, la e, la i, la o e infine la u. Sillabiamo insieme: varcare, vallo, valori (forse il valore sta nell'aprirsi un varco in una trincea?); veste, verbale, vetta, verso, veleno, venduti, venti, vetro (l'apparenza del verso vestito di parole spinte alla vetta, al senso, da una furia che lo rende trasparente ma fragile come vetro? È così che si vende? Gli interrogativi ovviamente sono più di due. Non dimentichiamo il veleno che rimane inutilizzato. Ricordiamoci che c'è), - viso vincere vistando vistoso visioni vittime (c'è una donna vispa, con un viso che vince o avvince, che dà il visto o nulla osta, in cerca di visioni. Che c'è di vistoso? E l'attributo di veleno, che, com'è suo uso, fa delle vittime? La stessa poetessa o l'uomo che ottiene il visto? Quanti interrogativi in questa "combinatoria" che si potrebbe fare con più "arte"!). Vorrei, volo, voragini, vociare (il desiderio, l'estasi più elevata, il fondo della perdizione, alti e bassi che fanno perdere i sensi o quasi, se le parole si avvertono come un vociare). Siamo alla fine, siamo alla u, siamo alla vu. Ce n'è una sola, e la parola unica è vuoto.

Che vuoto a questo cui si arriva? Non serve a niente dunque l'amore, non pasta a riempire il "vuoto dell'esistenza"? L'amore finisce nel "vuoto del ventre", da dove è cominciato: il vuoto che ha reso vispa la poetessa all'inizio di questo gioco di parole. Ognuno può rifarlo, arrivando magari a risultati diversi sia nella lettera che nella metafora, ma che sia una poesia d'amore non c'è da dubitare. Se non è chiaro il significato, il "libretto", e allora ce lo dice in maniera ancora eloquente la musica, la sua percussione, la sua cadenza, le sue iterazioni ritmiche e timbriche. È elementare, così si manifesta l'amore nel modo più elementare, quasi soltanto con le vocali. Mettendo insieme consonanti e vocali potete raccontare storie semplici e complesse d'amore. Come avete visto fare da Antonella Zagaroli e anche diversamente. La poesia, l'amore, la poesia d'amore si può fare in mille modi, anzi senza limiti. Anche coi giochi di parole si arriva all'amore e al suo vuoto.

Fate il vostro gioco, anche se il croupier grida al sua "rien ne va plus". Potete continuare, puntate su un altro significato del poemetto. C'è l'amore, c'è molto eros nella lettera, nella metafora e nella musica di questi versi. E questo che cercano essi correndo verso il "vuoto del venire"? O quel vuoto è anche la morte? Forse non così chiaramente, semmai è la nascita o la rinascita. La nascita pure di una vispa poetessa che scrive per amore, compreso l'amore per la poesia, chiamata a riempire il vuoto della vita. È questo dunque il mistero della Maschera della Gioconda? Difficile rispondere. Ma voi continuate pure a strappare maschere. Questo ora è il nostro gioco preferito.

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