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Veniero Scarselli è certamente un personaggio singolare. La circostanza è stata rilevata anche nel convegno a lui dedicato e presieduto dal compianto Giancarlo Oli, lessicografo di vaglia, coautore di un dizionario esemplare. Isolato, come scrittore e come ricercatore, Scarselli ha optato per la quiete della campagna, nell'Appennino tosco-emiliano, vivendo (?) di agricoltura, ma non per celare il suo ribollimento interiore: anzi per esternarlo attraverso un genere poetico poco praticato in ragione della sua complessità. Mi riferisco alla poesia poematica che inonda il lettore con una piena di travaglio e di "orrido", anche per portarlo alla consapevolezza degli aspetti più torbidi della vita. Poesia – come dice l'Autore – "utile", almeno per smentire la categoria crociana della "non poesia", laddove, come diceva il filosofo di Pescasseroli, la scrittura sia subordinata a fini "altri", rispetto alla pura e disinteressata intuizione (che è un "penetrare" nelle viscere, nell'essenza dell'avventura esistenziale).

Scarselli ha pubblicato Isole e vele (1988) e i poemi Pavana per una madre defunta (1990), Torbidi amorosi labirinti (1991), Priaposodomomachia (1992), Eretiche grida (1993), Piangono ancora come bambini (1994), Straordinario accaduto a un ordinario collezionista di orologi (1995), Fuga da Itaca (1997), un'antologia, curata da Vittoriano Esposito, La riflessione poetica (1997). E poi ancora Il palazzo del grande tritacarne (1998), Pianto di Ulisse (1998), Ballata del vecchio capitano (2002), Diletta sposa, fuori commercio, del 2003.

Recentemente Scarselli ci ha fatto pervenire – insieme ad un affettuoso biglietto – l'opera omnia poetica, intitolata Il lazzaretto di Dio. Rospi aquile diavoli serpenti, edita da Bastogi, con un' autopresentazione e un lungo saggio critico di Federico Batini. In esso, lo studioso esplicita la visione scarselliana della poesia come scelta di vita e non si trattiene dal citare pubblicamente le risposte dei grossi editori e dei relativi comitati di lettura. Spesso nelle missive si auspica una robusta opera di ripulitura e non ci si astiene dal giudicare gli scritti come retorici e poco convincenti. Insomma: una condanna alla non-pubblicazione. Ma Scarselli, crediamo, ha provveduto a proprie spese e con salda fiducia nel suo lavoro.

L'opera è colossale e stupisce per la sua intima coerenza. Certo è che Scarselli propone una struttura ideativa e compositiva, oltre che stilistica, nella quale non è agevole addentrarsi, anche perché non si tratta di scrittura compiacente o da intrattenimento.

Scarselli, per esplicita dichiarazione, cerca nella poesia la compensazione a certe umane aridità, per condividere impalpabili suggestioni e incontenibili furori, senza curarsi di una certa sgradevolezza, che ha tutto il sapore di una sfida. La crisi della poesia è carenza di contenuti. Egli crede invece alla poesia "utile", nel senso che può aiutarci ad intercettare le coordinate interpretative di un'enigmatica e magmatica realtà, che è dentro e fuori di noi.

La conseguenza non è tanto un piacere estetico ma noetico, ossia pedagogico. Così l'accettazione dell'orrido rientra nel parametro della conoscenza e nel territorio della morale, più che in quello dell'estetica.

La sua poesia ridondante e narrativa, epica e mitopoietica, è configurata alla codificazione di un "supermessaggio" che non potrà mai essere rinserrato nell'angusto spazio di una singola composizione. Ecco spiegata l'esigenza di composizioni a vasto respiro che ricalcano la tipologia poematica del mondo greco, che si pensi a Omero o alla poesia eziologica alessandrina, infarcita di mito e di mistero.

Non essendo possibile riportare un passo esteso, mi limito a citare un'immagine da Eretiche grida: Eppure la vetta di quest'isola/ stremata dalle guerre con Dio/ un giorno fu per molti cercatori/ un giubilante grido di speranza.

Recensione
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