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“Ti manca la parola”, dicevi “e hai due zampe di troppo, e poi saresti perfetta come amica. Non è vero” ridevi, “sei già la mia migliore amica. Siamo noi umani che manchiamo di due zampe. Quanto ci migliorerebbero due zampe in più; saremmo costretti a volare più bassi, a stare più a contatto con la terra, ad accontentarci di quello che abbiamo”.

Perle di saggezza canina, quelle di Gabriele Astolfi. Certo la letteratura di genere è “quella”, gli argomenti “quelli” (l’abbandono estivo delle creature pelose, l’incuria omicida delle dimenticanze in auto sotto il solleone, le attività dei cani-poliziotto o dei cani-dottore nella pet therapy, i problemi di condominio, ecc.), lo stile impersonificante e l’umanizzazione dei pensieri canini è anch’esso parte della miglior ortodossia in materia, ma le infinite variazioni ed i sensibili colori portati in dote da una maniera narrativa sapiente e accattivante, ma anche sensibile, spiritosa e pungente al contempo, rendono questa raccolta di racconti di un interesse pari a quello di una musica piacevole e sorprendente, costruita, sì pure lei a partire dalle sette note, che sono anch’esse, “quelle”, tuttavia disperse a frotte lungo molteplici scale cromatiche, declinate lungo tortuose spirali d’invenzione.

Ma è soffermandosi sui particolari che si giunge alla degustazione più appagante ma che anche più espone l’anima al calore ustionante della fornace della coscienza: “Chi perde di colpo padre, madre, fratello senza sapere come e perché, non ha diritto a una sana pazzia ?”, “Sì, aveva diritto a tutta la follia del creato”, “Mi stai dicendo ?...” “Che hanno voluto perderti. Che si sono liberati di te”, “l’uomo sembrava aver voglia di giocare, e aveva tirato lontano un rametto incitandolo a riportarglielo, e quando lui era tornato col trofeo in bocca il padrone non c’era più”, ci parlano del tema dell’abbandono dal punto di vista dell’abbandonato, e da questa trasposizione antropomorfica, ne restiamo salutariamente scossi.

Conoscere Pachi, “un bracco senza una gamba a cui il padrone aveva fatto di tutto per liberarsene, pugni calci, bastonate, e lui continuava ad andargli dietro come se niente fosse”, ci fa comprendere appieno l’originale e condivisibile prospettiva della frase riportata nell’aletta di copertina: “Ma l’amore del cane per l’uomo è totale, incondizionato; più simile a quello di un dio per le sue creature che a quello di una creatura per il suo dio”.

Non è solo il sentimento a bussare alla percezione del lettore lungo il suo cammino di scoperta, ma anche la simpatia e l’ironia, comunicata attraverso lo spirito di Ivo, Dix e Eddy, tre pastori tedeschi baby-pensionati dal servizio svolto presso la polizia di Stato, i quali così si rimbeccano in un dialogo: “Che vuol dire che non è un vero cane poliziotto?” Ivo continuava a tacere. “Che non è un Pastore Tedesco.” Rispose sempre Eddy. “Ebbene no, non lo è!” esplose il vecchio “è un border collie! Disse enfaticamente, pronunciando le “o” chiuse e le “erre” americane.

“Ma non mi dire?!, sei razzista!” replico Dix. “Razzista io?! … Io dico solo che ognuno deve fare il suo mestiere. A noi i furfanti, e a loro le pecore”.

Essi s’imbarcheranno poi in un’avventura che li porterà a smantellare un laboratorio che svolgeva clandestinamente atroci esperimenti sui cani di razza Beagle e qui il registro si commuta in agghiacciante cronaca, quasi fosse uno di quei servizi che raramente la tv trasmette a sera tarda e per riempire i palinsesti scombinati da qualche defezione dell’ultimo minuto: “Un allevamento di beagle subito fuori Castelfranco, che nascondeva un laboratorio per la sperimentazione. Ci ho visto cani costretti alla diarrea, usati come cavie per gli antidiarroici. Una diarrea di settimane, di mesi, che asciuga gli intestini, e finisce per sbriciolarli.”, oppure “Con la testa scoperchiata” riattaccò Ivo, soffocato un singhiozzo con la saliva “Iniettano nel cervello del beagle delle sostanze sconosciute, per studiarne le conseguenze. Poi tagliano la calotta cranica, la sollevano e tolgono il cervello. Fino al momento del distacco del cervello il cane è vivo. Solo così, dicono, possono studiare l’effetto della sostanza. Ho visto in quel laboratorio animali traballanti e moribondi, qualcuno con la testa aperta, come un’oscena teiera fumante; di altri ho raccolto l’ultimo rantolo, altri erano già morti, chi sventrato, chi senza le zampe o la coda. Come tanti giocattoli sfasciati” e poi seguirà un’istruttiva enunciazione delle motivazioni caratteriali e fisiologiche sul perché tanto accanimento e crudeltà su una razza tanto docile (appunto una delle motivazioni).

Sarebbe troppo semplicistico ignorare lo spessore delle questioni filosofiche sollevate da una prosa garbata e precisa, efficace e puntuale, quanto strumentale all’emozione da trasmettere istante per istante, magari tra i veli di una sottile e sagace ironia: “Brick si scatenò in una specie di danza del ventre intorno alle sedie e sotto il tavolo; non poteva crederci, era al settimo cielo. Solo non sapeva chi fosse questo Babbo Natale. Forse quel Dio, o quel Gesù che andavano a pregare ogni domenica i vecchi padroni, quelli di quand’era Biagio? Ma se questo Dio, o questo Gesù, era buono, perché uno che lo pregava, e che quindi doveva essere buono pure lui, l’aveva abbandonato? E questo Babbo Natale, in un’ipotetica scala gerarchica, era più o meno importante di Dio o di Gesù? Era decisamente tutto molto poco chiaro”.

E parlando dei pitbull, è il pitbull stesso a farsi coscienza per l’uomo scriteriato e malvagio, argomentando circa la sua genesi: “Ho imparato, qui a Trebbo, che la mia razza è stata creata dall’uomo in laboratorio, incrociando bulldog, staffordshire e blue paul terrier. Selezionata per combattere, per uccidere. Il mio morso. chi lo sapeva? – è pari a quello di una tenaglia, che per ogni centimetro quadrato esprime la forza di un quintale. Perciò la prego, così come ci avete dato la vita, questa specie di vita, di togliercela. Di sterilizzare la mia razza, affinché si estingua dolcemente” … “o di incrociarci con dei barboncini, dei cocker, dei meticci, in barba alla purezza della razza, che è il razzismo umano trasposto sui cani. Di farci tornare animali, e non più belve, sottraendoci alla belva peggiore che esiste, l’uomo”.

A proposito del sopracitato brano, per amor di verità giova dire che ci si potrebbe trovare in disaccordo con l’implicita e forse imprevista ammissione della cattiveria biologica dei pitbull, date le molte tesi etologiche di orientamento contrario, tuttavia volendo soprassedere considerando il tutto come un effetto collaterale imprevisto, ci si trova però di certo nel dispiacere quando in un altro racconto, quello di Hans e Greta, Hansel e Gretel nel prosieguo della storia: “L’uomo dei treni capì. Capì che Hans aveva bisogno di Vittoria più di quanto Vittoria avesse bisogno di Hans, che il suo aiuto era diventato indispensabile più a lui che a lei. Per questo l’ebbe caro più di prima. L’accarezzò un’ultima volta e lo lasciò al canile, prendendosi in cambio un nuovo amico a quattro zampe, che col tempo, forse, avrebbe amato come il vecchio”, decisamente un epilogo che pare stonato o quantomeno poco congruente a livello logico (per quanto sia un evento possibile), come lo sono, del resto, molte delle azioni umane e dunque per questo, probabilmente nelle intenzioni dell’autore (?).

E poi la cagnetta che non abbaiava e gli assurdi regolamenti di condominio, o ancora la storia di doctor Detroit, riferita al potere terapeutico dei cani, a beneficio di malati e degenti, proveniente dal contatto con uno di questi meravigliosi animali, rispetto ai quali si dice: “Siamo dei farmaci ambulanti; i soli – almeno per ora – non a pagamento. Un giorno non lontano il vostro medico verrà a visitarvi a domicilio accompagnato da un assistente a quattro zampe, indispensabile come lo stetoscopio e l’apparecchio per misurare la pressione, e le ricette del futuro prescriveranno di accarezzare un cane più volte al dì a secondo del bisogno”…

E per chiosare su una filosofia che dovrebbe essere di monito ed esempio evolutivo per tutti, citiamo Walter, il cane del teologo: “uomini e animali sono espressione entrambi del soffio vitale di Dio. Che tutto ciò che vive, tutto, non solo l’uomo, è dotato di un’anima divina, perché se così non fosse, non vivrebbe”… “E dunque il Paradiso ci tocca, in quanto creature immuni da colpa”.

Una lettura consigliata, per allenare la mente e il cuore, ad essere attivi e vigili nei confronti della parte oscura dell’essere umano, così come per apprezzare lo splendido e unico rapporto che può svilupparsi tra uomo e cane, più che tra esseri della stessa specie.
Recensione
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