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Di novembre (alveo)

Questi testi sono un diario poetico che scandisce gli ultimi giorni trascorsi dal poeta con la madre, prima della fine. Da novembre a maggio, così, il tempo sosta in sacrale riverenza di un mistero –  quello della morte -, sulla cui soglia ci si affaccia inquieti e perplessi. È un lutto da rielaborare mese per mese, ora per ora, cominciando a considerare il momento dell’addio che sarà ineluttabile.

Nella lapidarietà dei versi, che sono sommessi rintocchi di dolore, ogni giorno l’autore registra emozioni, impressioni, il lento struggimento di una perdita che sarà imminente: “Quale memoria resterà Signore / quando non saremo ciechi, / quando tutto sarà finito?” (2 dicembre). Dalla scoperta della malattia che non lascia speranze, sino al suo compimento definitivo, c’è tutto un lavorìo interiore, di angoscia nell’assistere impotenti alla sofferenza di un proprio caro, di cura in virtù dell’amore che è più forte di qualsiasi male: “Piuttosto io come, quale lettera / la terra potrà mai inviarmi / senza di te, senza la tua mano.”; “Come dire la morte nella sua entrata / laddove già ha preso possesso / se anche il medico, l’uomo, / ne teme l’effetto, la sua esposizione. / Con queste parole mi sono svegliato, / in queste mi sono sospeso; l’anima / ha il suo dominio nella sua saggezza.” (16 dicembre).

Il legame viscerale supera tutte le distanze, finanche l’estrema frontiera dell’esistere: “Le lettere d’amore / per chi come te è nella prova. / Sì “l’amore – dici nel tuo Cantico infinito - / può più del male.” (22 febbraio); “Il male apre un varco / nel fianco e nel cuore. / Ci vuole, fermi e stanchi. / Ma non cede la vita riproducendosi / inconfessabile e piena.” (1 marzo). È un conforto che permane oltre la pena dell’umano disfacimento: “Guardare al valore, / non cedere al peso. / Questo il dono della fortezza, / la richiesta dello spirito.” (1 gennaio 2022); “Mi è venuto in mente Montale / scendendo insieme le scale, il braccio / teso a perdersi: “Secondo te / quanto tempo ho ancora di vita?” / Intanto siamo qui, non irriflessi, / non soli nell’abbraccio grande del mattino.” (5 gennaio).

Il ricordo è dolce nido, rifugio dalla tribolazione del prossimo distacco, che si manifesta con guizzi di trepidante entusiasmo: “E mi risuona nella voce / la gioia a chiamarmi, a dirmi: / “La pianta di Ginevra ha anticipato la fioritura! / Le orchidee sono già spuntate…” / Senza il tuo profumo, senza te / chi ne avrà poi cura?” (29 gennaio); “Ed eccoti a casa nostra, / al nostro pranzo, / nella domenica di un bacio / che mai sarà l’ultimo.” (20 marzo); “La Messa insieme / come hai chiesto, / inginocchiata sulla panca, / al battito delle mani nell’Osanna / mi sono ritrovato bambino.” (3 aprile). Nonostante tutto, infatti, pur a tentoni come nella nebbia, si va avanti, una forza misteriosa sospinge: “La mente cerca uno spazio, / un respiro a diradare la nebbia. / Possiamo solo avanzare / dove non si tocca.” (26 dicembre).

Tuttavia, si alternano momenti di notevole prostrazione: “(Oggi non vorrei, anche il verso si frena, / anche la parola mi nasconde)” (17 dicembre). È un restituire a Dio ciò che gli appartiene, mentre il rapporto filiale va scemando in considerazione di una Presenza altra che attende il genitore stavolta come persona singola, che riguarda solo essa stessa: “Ora è Tua, solo Tua, / intoccabile, imperfetta, mortale / nella misura che solo Tu conosci. / A noi spetta la soglia, l’alveo / che forse ci separerà da figli. / La porta nel cui grembo compi e muti.” (27 novembre 2021).

Citando Quasimodo, infatti, e, volendo, parafrasando De André (“quando si muore si muore soli”, “Ognuno sta solo sul cuore della terra”: “La mia solitudine non ha spazi / oggi nella stanchezza che devo portare. / Ognuno così “sul cuor della terra” / nella sera che non può, non arriva.” (18 febbraio). Il grido di dolore si fa intensa invocazione a Dio: “Signore fammi stucco, fammi remissione / con Te, nel tuo legno, nell’umidità del Male.” (18 dicembre). Se la madre è stata sempre la forte che ha avuto premura dei figli, adesso la situazione s’inverte, è lei ad avere bisogno, a svelarsi piccola e fragile: “Sera bassa, anche per te mamma, / spezzato corpo e dolore / nella pausa di tutte le madri.” (7 dicembre); “Mi aiuti? – l’ultima richiesta / come a ristabilire un contatto. / “Mi aiuti? – come a sentirti, / dolce e flebile ancora.” (3 maggio 2022).

Lo stare accanto, senza perdersi neanche uno di questi ultimi istanti preziosi, è la consolazione che salva dall’inevitabile scoramento: “Prossimo il Natale, / l’avvento adesso, nella distanza / tra il credere e la nascita. / Ancora una volta / saremo seduti insieme; / con più forza, rivelati / a una luce che sa la carne.” (3 dicembre). Intanto incalza il male progressivamente, fino all’inesorabile devastazione : “Il vuoto – nostro – scevro / di appoggi, nel solo dato / di una morte che senti prossima: / “Dovrò lasciare questa casa…”” (26 aprile); “Come in un bacio / non disperderti nel fiato, / trattieniti all’ossigeno. / Ti depura / la vita che manca / da ogni scoria.” (1 maggio).

Infine, arriva il momento fatale della morte, che vede tutti i familiari stretti attorno: “Ti spegni raccolta nel feto / di mani e di un braccio / che adesso si sgonfia. / Ti spegni nel primo ed ultimo figlio, / in Anna ed Andrea, / nell’ora serale che qui ti rigenera. Non so dove sono.” (5 maggio). Incidere in versi tali attimi, con l’efficacia icastica delle immagini potenziate dalle foto dello stesso Gian Piero Stefanoni, osservando il pudore dei silenzi, è il migliore tributo alla figura amata, erigere un monumento alla memoria che resterà per sempre, a suggello della sacralità degli affetti più intimi ed elevati.

Recensione
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