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'900 Out

Un Novecento di letteratura in dismisura

Nel libro recentemente dato alle stampe per i tipi di Fermenti, ‘900 Out, in cui Stefano Lanuzza raccoglie e sistema antologicamente suoi interventi mirati di critica militante, la scena è tutta di scrittori senza tocco né toga: scrittori che si discostano di netto dalle tendenze egemoni, decise dal mercato delle lettere, e che quelle tendenze, anzi, contraddicono palesemente; scrittori che non hanno fatto carriera o ne hanno fatto poca, trattenuti al di qua delle mediane (infondate, di risulta) sulle quali comparano e valutano le commissioni giudicanti della letteratura patria, spesso pigramente conformiste, più spesso solite attaccare l’asino dove vuole il padrone.

È un Novecento di irregolari, out appunto, alternativo, quello che Lanuzza considera degno d’attenzione, memorabile e quello che, in talune sue occorrenze esemplari, egli intende restituire. Lo fa, lungo i suoi scritti di varia misura e pensati per occasioni e destinazioni diverse, valendosi di criteri e di metodi rigorosamente tarati.

La necessità per la produzione del testo di una ricerca linguistica che scansi standardizzazioni e ricusi medietà risapute e insipide, capaci soltanto di routine, sorde alla conoscenza, consente di distinguere, fuori dal coro, le primissime scelte che meritano cointeressenze e giunte di interpretazione; e comporta nel lavoro critico l’uso di strumenti di storia della lingua e di analisi del linguaggio. Le pagine dedicate a D’Arrigo – un autore su cui Lanuzza è tornato più volte – hanno questa motivazione di fondo e queste impostazioni metodiche e si caratterizzano per il loro valore testimoniale. Il plurilinguismo, generato anche dalla forza espansiva del dialetto – un costituente nucleare schiuso a perfondere capillarmente i corpi narrativi – e disseminato per rictus nell’intero suo discorso, a premere dentro una struttura di racconto che si vuole organicamente composta, è un buon metro di misura del rilievo culturale e della forza propositiva della scrittura di D’Arrigo e della sua poetica, e dunque della loro potenziale centralità (tutt’affatto contraria alla marginalità, senza eccezioni registrata per esse nei repertori correnti) in un Novecento italiano sottratto ai vagli critici che sanno di stantio, in un Novecento giustamente rivalorizzato. Di contro si trova qui la spiegazione dell’immediato appannarsi della fortuna di Horcynus Orca dopo il lancio editoriale pure sostenuto e le recensioni e i primi studi – quando le regole del mercato presero a farsi, più che stringenti, asfissianti nonché irresistibili.

Giusto la sicilianità di D’Arrigo funziona ulteriormente da segnale di un sistema di selezione adoperato da Lanuzza: è sull’area meridionale della nostra penisola che torna di frequente il drone delle sue inquadrature e delle sue riprese critiche (Strati ne reca una prova). Vale, a tale riguardo, il principio di una osservazione partecipe e vale la considerazione che nella dialettica e nel conflitto delle interpretazioni la geografia della letteratura e della cultura pesa non poco e fa sovente zavorra che affonda pure i malcapitati, i sommersi, che invece avrebbero tutte le carte in regola per essere salvati.

Come la pratica di forte consapevolezza e di grande impegno del linguaggio, così la ricchezza e la vivacità delle culture in opera sono tratti rilevantissimi di un Novecento a contraggenio, fuori misura. Pertanto, se Marinetti e il futurismo non ottengono particolare benevolenza per la programmazione di metodi ed obiettivi e per la poetica e la testualità ispirate ai principi statutari maggioritari, il loro occupare punti di snodo o crocevia, nei quali agiscono da ricettori e da trasmettitori di idee letterarie, è osservato da vicino, è accreditato di non trascurabile significato. La scrittura letteraria prende corpo e sostanza da una rete fitta di mediazioni intertestuali; e Lanuzza non manca di scoprirne alcune peculiari applicazioni, ricapitolando funzioni pontiere, citando casi e luoghi, attori e interpreti talora per via di elencazioni motivate che sono altrettante professioni di gusto e di ragione critica. È per questo che Landolfi e Savinio vengono chiamati alla ribalta, scrittori colti come pochi, e come pochi lettori bulimici che fanno letteratura sapendo che letteratura cresce bene su letteratura; non è diverso il dispositivo per cui è pienamente riabilitata la figura del dandy; ma è per il respiro culturale che hanno le intersezioni dei generi e i profili intersemiotici, è anche per questo che a scrittori-filosofi e a scritture critico-teoriche, la cui intentio per taluni aspetti ha inclinazioni letterarie, Lanuzza volge appello, rimarcandone la ricchezza di proposte e le capacità testimoniali. E voglio ricordare, a tale proposito, Ferruccio Masini con il suo Lo scriba del caos, un intellettuale prestigioso, germanista e filosofo, drammaturgo e scrittore, troppo presto coperto d’oblio, a cui Lanuzza tributa un omaggio riconoscente; mentre è orientata nella medesima direzione ideologico-letteraria la riflessione, svolta in alcuni paragrafi di ‘900 Out, sopra la poesia visiva e le esperienze performative e sinestetiche in campo d’avanguardia. È lo stesso campo nel quale – è il caso di Lunetta, le recensioni delle cui opere sono riunite in un capitolo di organica ricostruzione critica – una acuta avvedutezza culturale si sposa ad una espressività carica di tensione e ad una indignazione polemica che non abbassa mai il tiro.

D’altro canto un vigoroso investimento che l’autore realizza di sé sull’opera da fare è condizione imprescindibile; la scrittura richiede rigore, crudeltà, lavoro, sacrificio fino allo sperpero se vuole lasciare un messaggio che incida. Campana ne è teste con la sua poesia che sogna il sogno di una vita in blocco. Lanuzza giudica Campana un protagonista assoluto, il più grande sulla scena della poesia italiana di primo Novecento.

Solo così, per passione e per intelligenza, per cultura e forza di linguaggio, la letteratura può levare alta la sua voce e certamente svolge una funzione utile, di conoscenza critica e politica. Savinio – altro cavallo di battaglia di Lanuzza – ne è interprete tra l’altro con Sorte dell’Europa: un saggio che settant’anni or sono delineava l’ipotesi, il sogno di un’Europa virtuosa, culturalmente degna del nome, in odore di utopia ma concreta, costruttiva. Nell’Europa disperante, rinunciataria e mendace, bolsa e incapace, che oggi ci preoccupa e ci opprime, rileggere Savinio e prenderlo in considerazione sarebbe doveroso,

Recensione
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