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Scritti diversi e dispersi

Nella coppia di aggettivi schierati dal titolo, che pure singolarmente, quanto ai materiali di questo libro, indicherebbero una eterogeneità da zibaldone ed una occasionalità confacente a pratiche non ad altro finalizzate che al recupero, o al risveglio, di ciò che è disseminato qua e là su riviste di varia impostazione, per questo non facilmente accessibile e come in sonno, io leggo, e non credo di sbagliare, un significato aggiunto che sovrappone all’understatement di una semplice e poco impegnativa legatura di scritti compresi tra il 2000 e il 2014 l’immagine sostanziosa di una robusta compattezza, di una risoluta unità. La leggo, subito in ingresso, nella rima interna – diversi / dispersi – che in realtà è fatta valere da collante a forte tenuta e che non è usata, evidentemente, da gratuito ammennicolo per cui è rilasciata licenza dall’autonomia dei significanti, che in realtà è cosa che non c’è, che mai è credibilmente postulabile; l’analisi del testo, se tale si vuole che sia, consiglia, d’altronde, di prendere in considerazione tutti gli elementi in vetrina sulla pagina, figure del suono comprese; e Gualberto Alvino non manca davvero di raccomandarcela cosa buona e giusta, recando ad esempio, per di più, una interpretazione magistrale di Contini, in esercizio sul I dell’Inferno.

Ebbene, Scritti diversi e dispersi, pubblicato per i tipi di Fermenti e accompagnato da una prefazione di Mario Lunetta, è libro attraversato da un filo assai coerente di organizzazione e di argomentazione; l’uso convenzionale della raccolta in un fascio solo di pezzi già vissuti fuori pacco è riveduto ironicamente e corretto dal suggerimento preliminare, puntualmente indicativo benché di natura soprasegmentale, che anche in essi e proprio in essi un’idea chiara e forte della letteratura e del lavoro critico ritorna di continuo e si individua con nettezza.

Una disposizione, di specie quasi affettiva ma non per questo poco rilevante, mi sembra potersi ravvisare in controluce e, sul filo della nostalgia, indicare un presupposto di metodo. L’esempio di Contini è determinante se ci si ferma all’intensa, profonda attività dello studioso; e Contini, infatti, è il protagonista più considerato nelle pagine iniziali di Scritti diversi e dispersi. Alvino, però, rivà anche ad un’altra consuetudine del grande domese, che può riassumersi sotto la voce delle sue lunghe fedeltà. Ovvero del percorso condotto in parallelo, dei “viatici” e dei “collaudi” ricorrenti, delle fitte corrispondenze fatte di riflessioni, di discussioni e di condivisioni di esperienze, intrattenute con scrittori a lui particolarmente cari, da Gadda a Montale.

Il caso Pizzuto, a cui pure Alvino ha dedicato curatele e spogli filologici e saggi, vale a tal riguardo da segnalazione palese: Contini, apprezzandone scrittura e poetica, avvia con lui un dialogo densissimo. Che è esso stesso, per l’uno e per l’altro degli attori del confronto, metodo efficace di lavoro letterario; che è metodo, oggi tutt’affatto anacronistico – e perciò rammentato da Alvino con un qualche rimpianto della società letteraria che è stata –, da spendersi aggiornato, nondimeno, in lunghe e fedeli frequentazioni dialogiche, in misurazioni corpo a corpo giornaliere con opere  e autori, specialmente con quelli da cui si ritenga che risulti accresciuta la vitalità di espressione e di conoscenza contenibile nel testo di letteratura; che è metodo che si applica, frattanto, alla apertura di un altro fronte dialogico per il quale nel campo di ricerca dello stesso autore in gioco, nel quadro della sua elaborazione intellettuale, si espongono e si incontrano e si potenziano a vicenda gli atti della critica e quelli della scrittura specificamente letteraria.

Alvino ha scelto appunto – e questo è un suo tratto peculiare – di condurre in un incrocio di vicendevoli apporti, di cui rende testimonianza lo stile, la sua professione-passione di lettore e la sua attività, consapevolmente e acutamente sperimentale, di scrittore; e non smette mai di intrattenersi a stretto contatto con le opere, ascoltandone il discorso e chiamandole a pronunciarsi senza omissis, su sollecito della analisi del testo, dietro il riconoscimento della semantica che il testo compone nella sua relazione necessitante con il lettore. Di ciò costituisce conferma quel che egli asserisce in riferimento a Balestrini; il taglio apparentemente asemantico di base alla sua scrittura, nel momento stesso in cui il testo si consegna al confronto con il lettore così compiendosi come testo e dando mandato pieno all’intentio operis, è di fatto ricucito dalla risemantizzazione dovuta al rapporto di corresponsabilità tra il soggetto analizzato, riconosciuto nella sua organicità funzionale, e il soggetto analizzante, quando pratichi l’interpretazione come procedura interattiva e come dialogo serrato, senza traviamenti, senza fughe pretestuose, senza approssimazioni di sorta.

Trovandosi a compararle con queste ultime buone usanze, Alvino traccia un bilancio tanto attendibile quanto poco lusinghiero delle tendenze recenti della critica, che ha perso in larghissima misura gli strumenti del suo mestiere. E fa il suo elenco degli impresentabili: dalle annotazioni a pelle, impressioni senza uno straccio di fondamento che minimamente le giustifichi, ai filosofemi che adoperano l’ontologia della letteratura per legittimare un pensiero voluto debole; dalle facili escursioni solamente digressive, pur se erudite, nei territori dell’intertestualià, alle dimenticanze e agli sgarbi riservati al testo; dalla dismissione di istruttorie responsabili e di ruoli giudicanti e da un pressappochismo corrivo per lo più misticheggiante al disconoscimento dell’evidente essere lingua, e concretezza materiale e ideologia in quanto lingua, del testo. Dove l’essere lingua e corpo di lingua del testo comporta l’obbligo che lo stesso atto di ricognizione critica, che si contenga in un saggio o in un manuale o in una antologia, si realizzi nella convinzione che con la lingua non si scherza e che non sono ammissibili sciatterie, che hanno ritorni semantici contra propria principia le modulazioni infelici, le auto-smentite inavvertite, il restringimento a pochissime parole, perciò ripetute, del vocabolario di uno scritto, tanto che si voglia ad uso di studiosi, tanto che sia di servizio a studenti.

Lungo tutte le sue severe e brillanti riprovazioni, Alvino sostanzia di moralità il discorso; e infatti la moralità, una moralità fattasi accosta al testo, sua ragione immanente, è lo spirito guida delle sue letture, delle sue teorizzazioni. Non per nulla, ancora rifacendosi a Contini, l’autore di Scritti diversi e dispersi s’avvale della categoria dell’espressionismo e, mentre ne denuncia un uso troppo largo, finanche ecumenico, nel descrivere alcune fenomenologie letterarie novecentesche, tiene a distinguerlo dal cosiddetto espressivismo, o da altro di simile da anni entrato nell’uso corrente, e tiene a rintracciarne i caratteri, quanto al primo Novecento italiano, in poche scritture, elettivamente in quella di Rebora. L’espressionismo è la messa in tensione della lingua, del testo che è lingua, in funzione di una opposizione netta al senso comune, di una contestazione della cultura dominante e del potere a cui essa è asservita, di una problematica riabilitazione delle facoltà di conoscenza della scrittura letteraria. L’espressionismo ha una sua sostanzialità morale, che concorre a  indicarlo come una disposizione tuttora ragguardevole, tuttora di grande significato propositivo e di grande apertura prospettica, tanto più in un frangente che vede dilagare e regnare incontrastata una rassegnata e complice calma piatta. Alvino si pronuncia per questo espressionismo e con esso compara, alla luce di repertori documentatissimi di usi linguistici, ciò che, sembrandolo sulle prime, e maldestramente spacciato per tale, espressionismo non è. Anzi, se mai si dovesse procedere a condensazioni esemplari, si potrebbe riassumere Scritti diversi e dispersi in una messa a fronte costante e vivace tra quanto merita la certificazione doc di espressionismo e quanto, anche quando linguisticamente mosso, usurpa l’etichetta. E non è una differenziazione da poco: l’espressionismo dà un nome possibile all’accoppiata ritenuta indispensabile per una letteratura da farsi, per una letteratura da leggersi e con cui misurarsi per ottenerne  contributi di conoscenza, acquisti di coscienza. Tecnica più passione, questo è da cercare, questo è da difendere e da rivendicare secondo Alvino. Questa la sperimentazione che impegna, che deve impegnare, che ha impegnato Gadda e Pizzuto, per restare a due scrittori tra i più citati

Una pronuncia di tal fatta, nella prima parte del volume, è scandita in pagine di ricostruzione critica, con densi sostegni documentali sorretti dalla filologia e dalla storia della lingua, e in pagine di teoria della letteratura, che soprattutto fanno i conti con i grandi maestri del Novecento, segnatamente con la critica stilistica, da subito anticrociana, e con la centralità dell’analisi del testo praticate da Contini. La seconda parte di Scritti diversi e dispersi, costruita sulle fondamenta della prima e ad essa ancorata come opera coerente e compatta, fa libero uso militante delle premesse teoriche e di poetica, indicando il poco che conviene salvare nella torrenziale produzione contemporanea – un poco che per lo più si manifesta nel tener di vista la complessità, nel repellere semplificazioni riducenti, nel cercare intersezioni plurilinguistiche e intersemiotiche nella scrittura letteraria e pure nel racconto di segmenti di storia culturale – e polemizzando senza sconto alcuno con tutta la letteratura desolatamente debole spacciata per nuova all’inizio del terzo millennio, con gli errori di prospettiva, con gli strafalcioni analitici, con le pretermissioni della responsabilità della critica e del testo, con le facilonerie immorali stipate in una produzione pseudoscientifica o pseudodivulgativa magari di cui spesso capita che si macchino coloro che sono ritenuti gli Shakespeare di settore e che però tirano a campare pur di rispettare vincoli e scadenze di una accademia e  di una grande editoria assai poco qualificate.

Scritti diversi e dispersi è un libro organicamente composto per una decisa intenzione testimoniale, un libro di impegno polemico e di intervento, di critica profondamente strutturata che è al tempo stesso critica pungentemente militante, un libro di riconsiderazioni e di proposte, il libro di un studioso assai rigoroso e insieme di un polemista e di uno scrittore  dal linguaggio sorvegiatissimo, efficace, brillante. Un libro raro.

Recensione
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