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Teatro anatomico - 5 pieces inedite
La ferocia straniata
delle
parole
Cinque pièces
inedite di Mario Lunetta, cui se ne aggiunge una probabilmente collaterale al
libretto di dialoghi La mela avvelenata, sono raccolte e pubblicate per i
tipi di Fermenti sotto il titolo di marca sanguinetiana Teatro anatomico,
scelto dal curatore, Francesco Muzzioli, come segnale di quella poetica della
crudeltà che, in ogni sua fase, contraddistingue la scrittura dell’autore: una
scrittura proteiforme, dilagante e potentemente sperimentale, che pure, nel
praticare generi diversi, dichiara persistenti movenze e connessioni teatrali.
Su di una scena che
ribolle di contrapposizioni acutissime e che è fatta spigolosa da conflitti
annosi e irriducibili, compare un campionario dei tanti mostri della nostra
quotidianità, che recitano un vissuto di soprusi o di frustrazioni e
interpretano i giochi delle parti di amori mistificanti, di sessualità compresse
e funerarie (in Smash per esempio).
Il registro è quello
di una conversazione smozzicata e discontinua, che svaria senza tenuta né logica
né emotiva, accompagnata da un of course, segnale reiterato del dominio
dell’ovvio (così in Arkadia Nonsense); ma quel “che” di checoviano che
sembra profilarsi a contraggenio, trattato per svuotamento e coperto di
anaffettività, si inerpica spesso e volentieri in assoli, che essudano
aggressività feroci e sbottano in invettive doviziosamente scatologiche.
L’apparenza è quella di un corpo a corpo che si consuma nel segno dell’eccesso:
i personaggi sono sotto le luci della ribalta per armare l’uno contro l’altro il
loro mondo senza valori, nel quale l’esserci e il riconoscersi consistono nello
scontrare rottami di una soggettività alienata versus rottami (ne rende
testimonianza Rancore).
Il materialismo di
Mario Lunetta si esprime in una manifesta disposizione antimetafisica e
irreligiosa (e vedasi Beatitudine); ma soprattutto stringe la morsa di
una pesante reificazione dagli effetti disumanizzanti e ne induce in chi legge
la consapevolezza; e arriva a bloccare chi è in scena nella gabbia di un
consistere inattivo. L’azione per paradosso resta appannaggio della parola; e
queste, di fatto, divengono pièces di un teatro della parola. Di una
parola eslege, quando sguaiata, quando riottosa, sempre esposta ad una
parossistica acuzie e negata al dialogo.
Non a caso le
didascalie raccomandano una scena vuota, senza arredi o dettagli che tolgano
spazio alla parola; e non a caso i personaggi in recita sono per lo più una
coppia, un lui e una lei in contraddittorio, e sono posti a distanza, ciascuno
bloccato nel luogo assegnatogli. E poi, attori o cantanti o tennisti,
appartengono pressoché tutti all’ambiente dello spettacolo. Cosicché finiscono
esposti alla finzione (una finzione che raddoppia la finzione del récit)
gli episodi orrorosi/amorosi, i delitti, le tranches da thriller di cui
sono farcite le trame di parole. Esposti alla crudeltà dello straniamento e di
una contraddizione per entro il contenuto di verità, di cui si fa forte la
scrittura.
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Recensione |
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