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L’anglomania linguistica

“Talento”,
Torino, gen-mar 2004

Molti anni fa il governo italiano mandò una circolare a tutti gli uffici pubblici per la semplificazione del linguaggio burocratico, essendo notorio che il linguaggio burocratico italiano è il più oscuro del mondo e spesso mette il cittadino nelle condizioni di non capire una norma. Qualche anno dopo, l’esempio fu seguito da alcune amministrazioni regionali, come quella della Sicilia, che nel 2003 — fra l’altro — proibì l’uso di parole straniere quando esistono le corrispondenti italiane. Ma i risultati sono stati scarsi o nulli, perché in questi ultimi anni gl’italiani stanno dimostrando d’essere malati cronici d’anglomania: non si sentono realizzati e importanti — colti, istruiti e aggiornati — se non pronunciano due o tre parole anglo-americane ogni dieci. A tal punto giunge la sudditanza psicologica verso gli anglo-americani!

L’anglomania, per l’impulso di giornali e televisione, ha invaso tutti i settori della vita sociale, dalla famiglia alla politica, dalla medicina alla scuola (che dovrebbe insegnare anzitutto l’italiano), dall’economia e commercio allo sport, dai trasporti alla tecnologia; ma è soprattutto nel mondo dello spettacolo che si dimostra di non poter resistere senza nobilitarsi o sporcarsi (secondo i punti di vista) con l’eloquio/sproloquio anglo-americano.

I malati inguaribili d’anglomania praticamente scelgono di farsi capire completamente soltanto dagli addetti ai lavori, e ad ogni modo da pochi, anziché da tutti.

Quello che segue è solo un piccolissimo campionario a caso delle perle giornaliere a cui ci siamo abituati: per meglio rendersene conto, basta consultare certi dizionari italiani che arbitrariamente hanno inserito i vocaboli stranieri in mezzo a quelli italiani, come se ormai fossero italiani anch’essi. In base ad una recente stima si calcola che le parole anglo-americane abitualmente usate dagl’italiani ammontino a circa 10.000: un vero snaturamento della lingua e della nazione italiana, della quale nazione la lingua stessa è l’aspetto primario. E pensare che l’ortografia e la fonetica anglo-americane fanno a pugni con quelle italiane, e perciò il passare dall’italiano all’inglese comporta continue contorsioni linguistiche e vocali!

A quando uscirà anche in Italia una legge che preveda — come in Francia, Spagna e Stati dell’Est — l’obbligo per i commercianti di esporre insegne in lingua italiana e il divieto di commercializzazione in Italia di prodotti che non abbiano le indicazioni in italiano?

Ma veniamo al dunque, constatando anzitutto che anche nel linguaggio familiare diminuisce sempre più l’uso dell’affermazione tipica di quello che era “il bel Paese là dove il sí suona” (Dante, Inf. XXXIII 80), perché oggi in Italia nelle risposte affermative imperversa l’anglo-americano o.k. invece dell’italianissimo . Inoltre gl’italiani chiamano break l’intervallo e mountain-bike la bici da montagna; non conoscono più l’oscuramento totale dei tempi della guerra ma il blackout; hanno paura del killer e non dell’assassino, specialmente se è serial e non ripetitivo; anche nel loro aspetto vogliono il look anglo-americano; se vanno per negozi a fare acquisti o spese devono dire che fanno shopping, magari comprando cose inutili, tanto per passare il tempo; se vanno al gabinetto devono dire che vanno al water closet o al w. c., tanto che chiamano water (che in inglese vuol dire semplicemente acqua) il cesso; se s’associano preferiscono definisrsi club, anziché associazione o circolo; se fanno pettegolezzo dicono gossip e se vanno al ristorante o al distributore di benzina preferiscono il self service, anziché il libero servizio come in Francia, dove si dice libre service. In realtà la desinenza -ce imperversa anche nelle parole composte, come per esempio in elettroservice, perché l’italiano elettroservizio sarebbe volgare, come sarebbe volgare invitare una persona a bere un’italianissima bibita: si rischierebbe d’avere un rifiuto, perché invece bisogna invitarla a bere un anglo-americano drink.

In politica, quando tre o quattro capi si riuniscono per discutere, gli anglomani preferiscono parlare di summit, anziché italianamente di vertice. Inoltre al Parlamento (che dovrebbe dare l’esempio della lingua italiana) le domande a tempo diventano question time, il nostro capo del governo si sente menomato se non è premier e il capo di partito se non è leader e se non ha la sua leadership, che in italiano sarebbe guida, mentre il complesso di ministri e vice-ministri viene detto team, anziché squadra, e l’insieme di portaborse e galoppini staff, anziché personale. E perché sbraitare tanto per la devolution quando c’è benissimo la devoluzione? Per non parlare del ministro del welfare, che pochi sanno cosa fa, mentre tutti saprebbero cosa fa il ministro del lavoro o dello stato sociale.

Ci sono poi delle autorità che non si sentono autorevoli se non si fanno chiamare authority. Un’autorità è il Garante della privacy, che perderebbe di prestigio a chiamarsi Garante della riservatezza. E così la privacy impazza nelle banche e in altri uffici, quando si potrebbe dire riservatezza. Si vergognino il signor Garante e gli altri maniaci della privacy!

E in medicina si vergognino i signori direttori di quegli ospedali in cui spiccano cartelli del tipo screening, surgery e day hospital, quando si dovrebbe scrivere rispettivamente indagine a campione, chirurgia e ospedale diurno (o ricoveri giornalieri), invece di rendere più difficile la vita dei pazienti, che — costretti a dire test (esame o accertamento), by-pass (che potrebbe diventare bipasso) e pace-maker (stabilizzatore o regolatore cardiaco) — devono pagare il ticket, anziché il biglietto o la tariffa o la percentuale!

Il test (prova, saggio) ora è di moda anche nella scuola, dove prendono piede anche il manager (dirigente), il master (anziché corso di specializzazione) e lo stage, che in inglese sarebbe la scena o il palcoscenico, mentre in francese, che gli anglomani pronunciano all’inglese (ignorando il vero significato inglese), corrisponde alle nostre espressioni corso di formazione e seminario d’aggiornamento. E se si fa vacanza il sabato e la domenica, allora è d’obbligo il week-end, anziché la fine di settimana.

In economia e commercio, oltre al manager, ci sono il budget (stanziamento o bilancio), il marketing (commercializzazione), il pool (accordo finanziario o gestionale), il target (bersaglio o obiettivo) e il trend (andamento o tendenza); mentre anche la casalinga va al supermarket e non al supermercato, se no s’abbassa di livello sociale; e, anziché al magazzino o all’emporio, si preferisce andare allo store, mentre s’indica con magazine l’italiana rivista.

Nello sport (parola già inglese che può essere accettata come italiana) il goal imperversa invece di rete (anche se alcuni lo scrivono gol) insieme col corner (cioè angolo), mentre molti si sentono ristorati praticando il fitness, che nella nostra lingua altro non è se non idoneità fisica o benessere.

Nei trasporti ferroviari qualche anglomane ha inventato l’intercity quando ci stava benissimo l’interurbano o il diretto; in aereo l’hostess è, se non un’ostessa, un’assistente di volo, come lo steward è un cameriere di bordo o dispensiere; e nelle piccole imbarcazioni perché ci dev’essere lo skipper, che pochissimi sanno chi è, e non il comandante o timoniere, che tutti saprebbero?

Nella tecnologia impera il computer, che in italiano è nient’altro che un calcolatore, come in francese calculateur, con la differenza che in Italia c’è l’anglomania cronica e in Francia si adoperano solo parole francesi. Questo apparecchio ha portato anche in Italia un’interminabile catena di parole che avrebbero benissimo le corrispondenti in italiano: account (cliente), banner (insegna, vessillo), byte (unità informativa), disk (disco), e-mail (posta elettronica), file (filza, archivio), finder (trovatore), format (formato), hardware (corredo pesante), homepage (pagina iniziale), input (impulso) internet (rete internazionale o interrete), link (anello, legame, collegamento), mouse (topo), off (disattivato), on (attivato), on-line (in linea), password (parola d’ordine), play-station (posto di gioco), quit (abbandonare), scanner (rilevatore), script (copione, stesura), server (servitore), software (corredo leggero), start (avvio), user (utente), web (rete mondiale), window (finestra), word (parola), ecc. Data la diffusione capillare del calcolatore, si potrebbe in Italia vivere senza computer e senza tutta la sua nomenclatura anglo-americana? Certamente sí: basterebbe essere italiani e non essere malati d’anglomania, a cominciare dalle ditte produttrici, che — ad esempio — s’ostinano a scrivere on-line, anziché in linea. E non si deve dimenticare la nuova frenesia per il call-center, che in italiano altro non è se non un centralino telefonico.

Infine nel mondo dello spettacolo la quantità delle parole straniere è davvero enorme: forse nel lessico della nostra gente di spettacolo, per il totale asservimento all’anglo-americanesimo, sono più numerose le parole straniere che quelle italiane. Se una volta per ballare si andava al dancing, per fortuna ora si va in discoteca; ma la parola anglo-americana dance si preferisce all’italiana danza in varie espressioni. E quale pianto d’un’annunciatrice licenziata dalla RAI per uno sbandierato restyling che pochissimi sapevano cosa fosse, mentre tutti avrebbero capito racconciatura o rinnovamento! Dunque, si vergogni la RAI per il licenziamento e per il restyling, ma anche per RAI Educational (RAI Istruttiva) e RAI Fiction (RAI Sceneggiati).

Ed ecco ora un altro piccolissimo campionario a caso: flash (lampo), mass media (mezzi [di comunicazione] di massa o audio-visivi), news (si vergognino quei radio-tele-giornali che annunciano news invece di notizie!), nomination (nomina, elezione, scelta), performance (esibizione), pornostar (pornodiva), sketch (scenetta), spot (breve pubblicità), star (stella, diva).

L’anglomania è tale che ha invaso anche l’onomastica italiana con nomi quali Betty, Christian, Ketty, Mike, Nicholas, Susy, per rendere i figli perennemente stranieri, e che certe parole latine o greche vengono pronunciate come se fossero inglesi: climax, jumior, media, micro, nike, sponsor. Inoltre sono nati degli ibridi come bypassare (bipassare), formattare (predisporre un disco), masterizzare (copiare un disco), mediatico (radio-tele-giornalistico o audio-visivo), nominare (erroneamente usato nel senso di scegliere per l’esclusione, eliminare), testare (sperimentare).

In conclusione, per non essere anglomani, s’accettino solo rare parole già anglo-americane compatibili con l’italiano: bar, film, quiz , sport e qualche altra, purché senza la -s al plurale.

Bibliografia

• C. Ciccia, Aspetti della lingua italiana contemporanea, “Dialogos”, Roma, 3/1964

• idem, Suggeriti provvedimenti a tutela della lingua italiana, “La procellaria”, Reggio di Calabria, 1/1990

• idem, Lingua e costume, Firenze Atheneum, 1990

• idem, Dialetto e lingua in prospettiva, “Giornale di poesia siciliana”, Palermo, mag. 1991

• idem, Copiamo la Francia: salviamoci dall’inglese / Sono un tutt’uno lingua e nazione, “Il gazzettino”, Venezia, 8.6.1994


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