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Silvio Pellico e gli ambienti cattolici torinesi

Silvio Pellico aveva superato le sofferenze patite, sia durante il periodo del processo sia negli anni della detenzione allo Spielberg, grazie alla fede religiosa. Questa fede dopo l’uscita dal carcere continua a nutrirsi di letture che spaziano dalla Bibbia ai libri di devozione.

Nelle lettere indirizzate al padre somasco Giovani Antonio Bottari[1], vengono citati, oltre a due classici come la Filotea e L’Imitazione di Cristo (di cui viene ricordata una traduzione dell’abate Antonio Cesari)[2], anche gli scritti teologici del cardinale Wisemann[3], il Seminario ecclesiastico del padre gesuita Augustin Theiner, le opere del padre gesuita Antonio Bresciani[4], le poesie del padre somasco Antonio Buonfiglio[5], il catechismo scritto dal vescovo di Pinerolo per i Valdesi che volevano convertirsi al cattolicesimo[6].

Sul piano pratico la fede religiosa del Pellico si traduce nella partecipazione attiva alle opere di carità della marchesa Giulia Falletti di Barolo, ma anche in un progressivo avvicinamento agli ambienti cattolici più conservatori.

Silvio Pellico è responsabile, dal 1836 fino alla morte, delle due sale d’asilo, ospitate a palazzo Barolo, in cui vengono accolti ed educati i bambini dai due ai sei anni provenienti da famiglie povere, ma è anche, negli anni 1840-1852, amico e corrispondente di un personaggio discusso come il vescovo di Asti mons. Filippo Artico, che aveva subito, sia per le sue idee politiche sia per le sue scelte pastorali, critiche e contestazioni da parte dei fedeli della propria diocesi[7].

Nel 1850 vengono approvate nel regno di Sardegna le Leggi Siccardi che prevedono l’abolizione del foro ecclesiastico e del diritto d’asilo nei luoghi sacri e sanciscono l’obbligo dell’autorizzazione governativa per l’accettazione di lasciti e donazioni da parte di tutti gli enti morali, compresi quelli ecclesiastici [8].

Nel 1851 il vescovo di Torino mons. Luigi Fransoni nega i sacramenti al conte Pietro de Rossi di Santarosa che aveva appoggiato le leggi Siccardi. Silvio Pellico è legato al conte di Santarosa da un rapporto di stima e di affetto e vive un forte contrasto interiore, non potendo né criticare l’operato del vescovo di Torino né difendere le scelte politiche dell’amico, che non condivide, ma che comunque non meritano, secondo il suo punto di vista, una sanzione così severa.

In una lettera del 18 maggio 1852, indirizzata proprio a mons. Filippo Artico, il Pellico scrive, riferendosi ai contrasti sorti tra la S. Sede e il Governo Piemontese dopo l’approvazione delle Leggi Siccardi: Ebbi la consolazione di baciare il piede del nostro sommo Pontefice e di confermarmi nel filiale vivissimo amore ch’io nutro per quel modello mirabile di paterna ed apostolica Bontà. Non si può vedendo il suo volto, i suoi sguardi, e udendo le sue parole, non venerarlo, non amarlo teneramente, ed insieme non gemere della nera ingratitudine con cui tanti e tanti l’hanno rimeritato dei benefizi che spargeva e che avrebbe voluto maggiormente spargere. V. E. sente questo meglio di me. Figuriamoci quanta [aggiungasi] afflizione ancora oggidì al Papa delle discordie che si sono elevate e dalle presenti difficoltà d’aggiustarle! Egli sospira il momento di poter accontentare il Piemonte; ma il desiderato accordo non pare così prossimo. Nella mia ignoranza di siffatte cose, io mi riduco a far voti e pregare il Signore e Maria Vergine di far cessare questa nostra grande tribolazione disponendo tutti gli animi alla pace, sì ardentemente bramata dall’intera Chiesa e da Chi la regge.


Note

[1] Si tratta di un corpus di sessantaquattro lettere, rimaste finora inedite, conservate nella Biblioteca Comunale Labronica “F.D. Guerrazzi” di Livorno, datate tra il 1838 e il 1853, in cui vengono affrontati argomenti teologici e morali.

[2] «Ella sa ch’io non ho una positiva preferenza in fatto di libri, fuorché pei due Testamenti. Tutti gli altri libri della dottrina Cattolica e di preci Cattoliche mi pajono buoni, fuorché sieno sì malamente scritti da disgustare. Fra i migliori, pongo l’Imitazione e la Filotea» (Lettera del 27 luglio 1839); «L’imitazione tradotta dal Cesari è ottima; - tradotta da altri meno valenti strascina egualmente ai piedi della Croce.» (Lettera del 14 ottobre 1839).

[3] «Que’ due volumi del Wisemann sono tutto oro. Benediciamo il Signore, ch’egli così susciti in ogni tempo valenti difensori della verità» (Lettera del 7 aprile 1839).

[4] «Il P. Antonio Bresciani ha composto parecchi libretti ingegnosi per combattere l’incredulità.» (Lettera del 9 gennaio 1841).

[5] «Ho avuto, giorni sono, visita del R. P. Buonfiglio, e godo d’aver fatto la sua conoscenza. Ei m’ha gentilmente donato un esemplare de’ suoi magnifici Inni[5] che ammiro assai.» (Lettera del 23 marzo 1844).

[6] «Circa al Protestante, gli suggerisca di chiedere al Vescovo di Pinerolo la Guide au Cathécumene Vaudois, libro eccellente composto da esso, e non reperibile facilmente dai libraj. Il Vescovo lo dà volentieri a que’ buoni Protestanti che glielo chiedono, per istruirsi dei motivi militanti a favore della credenza cattolica.» (Lettera del settembre 1840).

[7] N. Gabiani, Filippo Artico e due lettere inedite di Silvio Pellico, Asti, Tipografia Paglieri e Raspi, 1921.

[8] «Il 9 aprile 1850 la sanzione del re rendeva esecutive nello stato sardo le leggi dette Siccardi che, insieme ad altre restrizioni nel campo del diritto ecclesiastico, dichiaravano abolito il foro a cui fino ad allora venivano deferite le cause del clero. Il 1° novembre dello stesso anno Pio IX con un’allocuzione di tono severo ribadiva ufficialmente la sua formale disapprovazione all’agire del Governo di Torino che accusava di aver violato unilateralmente con quelle disposizioni il Concordato con la Santa Sede.» (M. F. Mellano, Ricerche sulle leggi Siccardi, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1973, p. 10).

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