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Giuditta Levato. La contadina di Calabricata
Realismo e umanesimo nel romanzo di Lina Furfaro
La
lettura del romanzo Giuditta Levato La contadina di Calabricataha
rappresentato un utile contributo per riandare con la memoria agli anni della
infanzia, perché come scrisse Cesare Pavese nel Diario “Il mestiere di
vivere”: Tutte le passioni passano e si spengono tranne le più
antiche, quelle dell’infanzia”. Come su un grande schermo è passato il
periodo postbellico di una Italia, prostrata e affamata, durante il quale si
assistette in alcune aree del profondo Sud alle lotte dei contadini contro gli
agrari per avere la terra da coltivare e rendere meno afflitta la vita
familiare; contadini sfruttati e ancora di più immiseriti da una borghesia,
avida e violenta, e da una tradizione feudale di marchesi e principi. Era un
proletariato che si dibatteva in una povertà immensa e senza limiti le cui
famiglie vivevano in abitazioni povere e malsane in una promiscuità di persone e
animali. La guerra aveva ancora di più immiserita e resa penosa la vita dei
contadini cosi che essi prendendo forza sia dal loro stato di estrema indigenza
sia dai Decreti del ministro Fausto Gullo, con la concessione delle terre
incolte ai contadini organizzati in cooperative, si ribellarono. Anche molte
donne fecero parte della lega contadina e tra queste per necessità e fervore si
distinse Giuditta Levato. Il movimento contadino potè organizzarsi e non solo
contadini ma anche artigiani e nullatenenti presero parte alla protesta e
all’occupazione della terra.
Il 28 ottobre del 1946 a Calabricata Giuditta Levato, madre di due figli e in
stato di avanzata gravidanza, partecipa alla sollevazione e durante aspri
scontri, gli agrari avevano reclutato uomini pagati per reprimere il movimento,
viene ferita gravemente da un colpo di fucile e muore in ospedale. Questo, in
sintesi, è il prodromo da cui si dipanerà il romanzo. Non storiografia perché la
storia bisogna lasciarla agli storici. Lina Furfaro nondimeno con tenace acribìa
ha fatto un lavoro certosino nella ricerca delle fonti storiche, per dare forma
e contenuto a un racconto che avesse solide basi; nello stesso tempo la sua
origine calabrese le ha consentito di calarsi con empatia in una realtà vera e
non soltanto immaginata.
Il romanzo ha una architettura a spirale e la storia, raccontata con dovizia
di particolari, si dipanain un climax sempre più incalzante di avvenimenti che
segnano l’esistenza della protagonista Giuditta Levato sino all’evento tragico
della sua morte. L’incipit del testo ha una pacata cadenza poetica e un forte
impatto di crudo realismo, prevale la descrizione immediata e rapida dove
l’immagine diviene pensiero e la parola testimonianza: Un gruppetto di case
appollaiate a pochi chilometri dal mare… Questo era Calabricata. L’inizio
epigrafico raffigura in modo mirabile il palcoscenico naturale dove si svolgono
quasi tutte le azioni e si consuma il dramma della quotidianità dei personaggi,
tutti ben caratterizzati e con un ruolo preciso nell’economia del romanzo.
Appropriata appare, quindi, la frase di Ada Negri, messa in esergo, che
felicemente si inserisce nel contesto narrativo: Io non ho nome / Io sono la
rozza figlia / dell’umida stamberga; / plebe trista e dannata è la mia famiglia,
/ ma un’indomita fiamma in me s’alberga, essanon poteva meglio fotografare
le condizioni disumane e di straordinaria dignità delle famiglie contadine, in
cui però albergava una “indomita fiamma” segno di profonda coscienza morale e di
grande fede religiosa o laica. Lina Furfaro attraverso una fitta rete di temi e
di situazioni dimostra notevole capacità di scrittura nella rappresentazione
oggettiva di figure concrete e di personaggi che attestano tutto il valore e
l’intensità dell’opera. Emerge una situazione sociale insostenibile e in una
siffatta realtà greve vengono colti comportamenti umani di amore e di amicizia
dove non domina l’egoismo o la prepotenza bensì la solidarietà tra le persone in
ogni manifestazione di vita quotidiana.
I temi della povertà della terra di Calabria li troviamo bene descritti nelle
opere di famosi scrittori: Chi non ricorda Corrado Alvaro con quel famoso
attacco in “Gente d’Aspromonte” : Non è bella la vita dei pastori in
Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la
terra sembra navigare sulle acque…” e poi Repaci, Seminara,
Strati, Perri, La Cava. La scrittrice, attenta e acuta osservatrice, non si
lascia sfuggire la possibilità di sottolineare il sentimento fatalistico nelle
azioni dell’uomo, non solo come forma di sottomissione al Divino, da qui una
religiosità profondamente sentita, ma pure come retaggio di una pregressa
cultura magno-greca che ha lasciato una indelebile impronta. Altro aspetto non
secondario nel romanzo è la rappresentazione della natura che ora si manifesta
nell’esplosione di colori e di profumi degna delle descrizioni del poeta greco
Teocrito ora si dimostra matrigna nel rendere più difficile la vita della gente.
I contadini hanno un rapporto panico con essa e l’avvertono immanente alla loro
vita come parte del quotidiano.
Nella narrazione la figura di Giuditta Levato è sempre presente, passo dopo
passo, dall’alfa all’omega e il lettore la sente familiare e vicina. Amore,
gioia, dolore, dignità, libertà sono i sentimenti che attraversano la sua vita,
pertanto il suo esempio, in un discorso diacronico, può diventare patrimonio
comune anche in un tempo come il nostro che cambia vorticosamente in cui
l’ipocrisia, la violenza di ogni tipo e la corruzione rendono complicata la vita
del cittadino. Il messaggio, dunque, che Giuditta Levato comunica a tutti è
quello di non lasciarsi vincere dall’ingiustizia, per paura o viltà, ma lottare
per la libertà perché alla fine il bene prevalga sul male.
Pregio di questo libro, Giuditta Levato con sottotitolo La
contadina di Calabricata, composito e ricco di storia, di
tradizioni popolari, di riflessioni socio-culturali, di usi e costumi consiste
nell’ avere raccontato fatti ed episodi realmente accaduti con un linguaggio
chiaro, misurato ma nel contempo concreto. L’intercalare talora del lessico
dialettale nei dialoghi o nel riferire motti popolari da bellezza e sostanza al
racconto rendendolo vivo e reale. Non vi è nessuna caduta di stile o tentazione
retorica. Un libro, quindi, che per i temi trattati deve essere letto nelle
scuole perché i ragazzi prendano consapevolezza del divenire della nostra storia
per potere esaminare e capire il presente. Lina Furfaro con questo romanzo ha
compiuto non solo una suggestiva e lodevole operazione letteraria ma ha
contribuito anche con rigore e sensibilità alla divulgazione storica di
avvenimenti forse caduti nell’oblio e certamente sconosciuti alle nuove
generazioni e per questo motivo gliene va dato il giusto merito.
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Recensione |
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