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Politica ed economia in Alessandro Manzoni

Gli Atti del Convegno di Bergamo, Politica ed economia in Alessandro Manzoni, iniziano con la prolusione «attualizzante» di Umberto Colombo, Manzoni oggi (pp. 15-28), tesa sia a rettificare l’erronea immagine d’un Manzoni «conformista», sia ad evidenziarne gli incentivi fecondi per un ripensamento della società, della storia, dell’uomo. Se il Manzoni fu un «ribelle» incorreggibile, fu anche un «savio» – per esprimermi con l’antinomia di Ugo Dotti -; ed ha capito a fondo che la storia non è un processo astratto di forze autonome: è la dialettica di singole personalità oggettivamente strutturate, ciascuna delle quali, migliorandosi, «coopera alla riforma dell’intero corpo» (p. 23). Insieme, certo: ma in modo che i «tutti» non siano una «massa amorfa» irrazionale e devastatrice, ma una pluralità di spiriti pensanti «con la propria testa». Manzoni non insegna questo? Certo, lo insegna: basta studiarlo «per intero». È il costante invito di Umberto Colombo.

Enzo Noè Girardi, Manzoni: ideologie e ispirazione (pp. 29-34), con la sua abituale rigorosità logica ed espositiva fa il punto, chiaro e difficilmente contestabile, sui rapporti tra ideologia e poesia nel Manzoni e poi sul pensiero economico-politico. La questione sorge dal fatto che il romanziere ha eliminato nelle stesure definitive la riflessione sui provvedimenti di politica economica da adottare durante la carestia. L’espunzione non va attribuita alla presunta incompatibilità tra ideologia e arte e infatti anche nella stesura emendata l’ideologia liberista balza evidente nell’ironia sull’operato di Ferrer -, ma alla misura di compenetrazione dell’ideologia nella poesia. La digressione sull’economia, nel Fermo e Lucia, aveva il carattere di scrittura logico-pratica, disquisitiva, «saggistica» s’è detto altrove -, estraniata dalla «scrittura poetica». La medesima correzione di fondo avviene per quella particolare «ideologia» che è la teologia cattolica: mentre nei primi Inni sacri il riferimento teologico è agli elementi visibili e istituzionali della Chiesa, perciò ancorato ad una «teologia della parzialità» – come il critico la definisce -, nella Pentecoste l’impulso ispirativo procede dal trascendente come «segno» di speranza per tutti, quindi deriva da una «teologia d’ispirazione», in altri termini da una teologia dell’«universalità». Così Girardi supera sia l’alternativa laica tra teologia e poesia, sia la confusione tra l’una e l’altra. Nella più matura ispirazione poetico-religiosa del Manzoni, il sacro è «dislocato»: per nulla «svuotato»; è, anzi, diffuso «per tutto» – è parola di Lucia -, ovunque ci sia carità verace, di Dio e dei fratelli.

Tutto il discorso si raccoglie, conseguentemente, in un principio basilare, che vale per l’economia come per ogni altro specifico settore dell’attività umana: il cristianesimo non è, nel Manzoni, un «sistema» di pensiero filosofico, ma un «sistema estetico, quindi analogico: ove eternità e storia, opera di Dio e opera dell’uomo, attività spirituale e attività economica non sono nozioni alternative ma concomitanti, non implicano ordini contrapposti, ma paralleli» (p. 43).

Nel documentato ed estensivo suo studio, Giorgio Bàrberi Squarotti, Bergamo e Venezia nell’opera manzoniana (pp. 45-68), sempre pronto a disincantare, come ha fatto il Manzoni, l’uomo contemporaneo dalle euforie storicistiche, offre le coordinate tecniche dell’ordinamento politico-economico nella Repubblica Veneziana, per far comprendere il Fermo e Lucia: là non manca la «possibilità di progresso e di incremento della ricchezza attraverso la collaborazione fra il capitale e il lavoro» (p. 47). Poi la seconda stesura ridimensiona questa «cuccagna». Perché? Forse perché il romanziere non crede più, tanto, al vantaggio di una economia «moderna», borghese e liberista? No: ci crede ancora. Ma attento, sembra dire a Renzo: non credere che, allora, sia «già il paradiso» (p. 56). Ed è la pura verità.

Addentrandosi nello specifico dell’aspetto politico-economico del romanzo, analizzato con scrupolosità, Simonetta Bartolozzi Batignani, Teoria e politica economica nel «Fermo e Lucia» e ne «I Promessi Sposi» (pp. 69-94), deduce che la «ricetta» manzoniana di aumentare la paga degli operai in tempo di carestia sottende l’idea di «partecipazionismo», dato che, nel presupposto di una recessione economica, è assurdo elevare i salari per «logica di mercato». Altrettanto, nella proposta manzoniana di creare nuovi posti di lavoro – suffragata del resto da Melchiorre Gioia – sarebbe forse suggerito il compito dello Stato di farsi carico dei disoccupati e dei meno abbienti. Ma perché ne I Promessi Sposi queste due misure economiche scompaiono, e resta soltanto quella del libero mercato – e quindi del libero prezzo – (oltre alla «elemosina»)? Le risposte avanzate son due. Una è tecnica: un salario elevato comprometterebbe ancor di più la già scarsa disponibilità dei beni sul mercato e aggraverebbe la possibilità d’acquisto da parte dei disoccupati. L’altra è generale: il modello economico manzoniano sarebbe quello «di un sistema produttivo in cui sia garantito a tutti un minimo vitale che può ottenersi, in conclusione, soltanto affidandosi alla saggezza provvidenziale delle leggi di mercato» (p. 87). Tutto sommato, quindi, la cultura economica del Manzoni è ancorata a quella «annonaria della fine del ‘700» (p. 92).

Una dettagliata esposizione dell’economia bergamasca in tempi calamitosi è svolta da Giuseppe Belotti, Effetti della peste del 1630 nell’economia di Bergamo (pp. 95-112): da esperto di cose patrie e manzoniano qual è, il senatore Belotti offre ragguagli utilissimi per comprendere anche I Promessi Sposi, nel cui cap. XXXIII l’Autore rimanda all’opera di Lorenzo Ghirardelli per la peste bergamasca. E lo studioso qui la illustra e commenta.

Inoltre Giuseppe Belotti, contraddicendo argomentatamente i pareri contrari, identifica l’Innominato in Bernardino Visconti: Francesco Bernardino Visconti era o non era l’Innominato manzoniano? (pp. 145-152).

Daniele Rota, L’eredità delle opere letterarie ed altre notizie manzoniane in alcuni inediti dì Giovanni Sforza (pp. 113-143), tra l’altro pubblica 21 missive inedite, che comprovano le successive proprietà degli scritti manzoniani: da Pietro Manzoni ai propri figli, poi da Pietro Brambilla, marito di Vittoria Manzoni, al proprio fratello Giovanni, il quale conferma l’incarico a Giovanni Sforza di curare l’edizione, definitivamente affidata all’editore Hoepli. [Francesco di Ciaccia]

[Recensione di Manzoni. Il suo e il nostro tempo. Politica ed economia in Alessandro Manzoni. Atti del Convegno 22-24 febbraio 1985 Bergamo, Comune di Bergamo - Ateneo di Scienze Lettere ed Arti di Bergamo - Centro Nazionale Studi Manzoniani, 1985, pp. 152, in «Annali Manzoniani», I (1990) pp. 259-261]

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