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Opera originalissima, questa di Dino Marsan, illustratore e creativo, non certo scrittore. Eppure, lui interprete in primis, col suo eclettico talento, coadiuvato da ben dieci supporter, critici e letterati con mani in pasta, è riuscito nell’intento di confezionare un libro che, non solo offre la sua visiva, fotografica (ma, nella parte terminale del lavoro, altresì progettuale, e quindi ideale) estrosità, ma elargisce anche un consequenziale, ragionato bagaglio discernitivo della sua stessa proposta. Idea unanimemente ritenuta geniale, la sua, e che non posso non condividere, anch’io.

Se il titolo del libro è indice d’un programma già di per sé appetibile, l’interno, in calce ad ogni pagina carica delle fotografie di pertinenza, ne completa le aspettative, anteponendosi al titolo di copertina: Maniglie e Battenti. Invero bisogna rendere esaustiva quest’idea afferente le porte di Ferrara. In quanto, oltre alle maniglie ed ai battenti, sono fotografate altre autentiche chicche, tali a borchie di rilievo, antiche o artistiche serrature, chiavistelli più unici che rari, ed altri inimmaginabili manufatti decorativi.

Massimo Maisto, assessore del settore di pertinenza del comune di Ferrara, nell’annotazione “Oggetti e simboli”, p. 5, osserva, tra l’altro, come si tratti di «un’operazione di riappropriazione del nostro passato recente e remoto, dove si intrecciano linguaggio artistico e ricerca storico-antropologica».

Riccardo Roversi, scrittore, giornalista, editore del libro, sottolinea la segnalazione, tramite il repertorio di foto incluse nel libro, di «un inedito indizio caratteriale del “ferrarese” smarrito nei rassicuranti “orti nascosti” di bassaniana memoria», p. 16, in “Davanti alla porta”.

Giuseppe Muscardini, scrittore e critico letterario, intende tale iniziativa come “Qualcosa che aggiunge sapere al sapere”: «La genuinità, l’intuizione e la valenza documentale di Alle porte di Ferrara si leggono segnatamente nella capacità di Dino Marsan di porre l’accento sullo spostamento del gusto, anche quando trattiamo di oggetti di uso comune esposti alle intemperie e alle aggressioni del tempo», p. 26.

Gardenio Granata, cultore di storia delle idee, sostiene che «Dino Marsan ha fermato il suo anatomico fotografare senza pretendere di entrare, dipingendo la strada desueta di questi oggetti “dimenticati”, regalandoci una collezione d’immagini artistiche che la nostra bramosia di svelare continuamente l’oltranza aveva smarrito», p. 36, in “Exemi e manu manubrium”.

Nella mente dell’attore teatrale Giuseppe Monteleone c’è «l’immagine dell’ipotetico scultore Marsan che con il suo talento, la sua tenacia e il suo scalpello, ci ha regalato un sacco pieno di emozioni, Questo sacco ha la forma di un libro», p. 48, in “Riflessioni d’attore”.

Mentre, la circospezione di Rita Montanari, scrittrice ed insegnante, rileva che: «Certamente più delle porte, che sono barriere tra un “fuori” e un “dentro”, le maniglie sono il “tramite” di tante vite, di tante emozioni, attese e speranze», in “Il silenzio e la parola”, p. 61.

Altra insegnante scrittrice, Laura Brisotto, aggiunge che: «La parola “maniglia” indica un elemento impugnabile per aprire, sollevare o trasportare qualcosa, ma sottintende anche il lavoro dell’uomo che le ha costruite, personalizzate, arricchite, di decorazione e significato», in “La rapidità degli eventi e l’importanza dell’immagine”, p. 70.

Individuandone “La cura dei dettagli”, p. 78, Alessia Albieri, psicologa, vede oltre l’umano. Sostiene infatti che: «Protagonista di queste fotografie, dove l’uomo non appare, è il silenzio. / Sarà controcorrente ma il silenzio favorisce l’introspezione. Sempre».

Sintesi finalistica dell’opera fotografica in disamina s’intravede, poi, nell’eloquente chiusura di Mauro Alvoni, giornalista. «Ed ecco che – egli annota a p. 90, “Il viaggiatore del tempo” –, nel tentativo di distogliere le maniglie dal loro anonimato, scopriamo in Dino Marsan, il viaggiatore del tempo, anche un uomo del suo tempo».

Ed, in “Ammagliati con le maniglie”, p. 102, il critico cinematografico Giovanni Mongini si sofferma su un’analisi ad hoc, concernente il suo ambiente. «Nel cinema – egli afferma – la maniglia ha avuto un ruolo importantissimo e si è addirittura animata per poi essere la parlante custode di un regno meraviglioso nel film Alice nel paese delle meraviglie quindi abbiamo avuto l’onore di vederla sempre più istoriata e misteriosa in film epici quali Ivanohe, Robin Hood o I Tre Moschettieri, custode di portali di castelli e magioni che trasudavano opulenza».

Alla complessità della sorta di generica catalogazione che dà identità alla raccolta a colori Marsan dà una cornice, fornendone un inizio e una fine. In avvio della serie Alle porte di Ferrara addobba, con foto in bianco e nero, il libro con i caratteristici monumenti di Ferrara ed i suoi più suggestivi scorci, pp. 6-12: la statua di Girolamo Savonarola, con alle spalle uno scorcio del Castello Estense; parte della facciata della Cattedrale di Ferrara; un particolare del Palazzo dei Diamanti; uno scorcio di via delle Volte. E, così, in chiusura, giungendo a fantasticare con Alle porte del futuro, p. 101, Marsan ci proietta nell’immaginario proponendo suoi prototipi, ideando avveniristiche maniglie e battenti. Manufatti che in sé implicano l’eloquente raggiungimento d’una concezione cosmica dell’arte in strettissima sintonia coi tempi.

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