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L’ennesimo saggio agiografico di Gianna Vancini riesuma,
questa volta, la figura d’un’altra benemerita anima ferrarese, altrimenti
soffocata nell’oblio d’una letteratura minima, pressoché irrilevante: il beato
Antonio Bonfadini. E, come accadde per il precedente suo studio su San Contardo
(di cui Contardo il Santo Estense, Este Edition, 2003, assomma
l’esaustiva sintesi delle molteplici altre sue pubblicazioni su questo santo),
si tratta di un venerabile ferrarese morto fuori porta, appunto a Cotignola –
anche se, diversamente da quanto successe a Contardo (perito a Broni, nel
pavese), all’epoca Cotignola, in provincia di Ravenna, era un possedimento
ferrarese degli Estensi.
Gli altri personaggi in concetto di santità già ripescati
dalla Vancini, in relazione alle seguenti pubblicazioni, sono: San
Valentino Martire, Patrono dell’amore, Tipolito Estense, 1997; Il Beato
Alberto Pandoni Vescovo di Ferrara (1258 ca-1274), Schifanoia Editrice,
2000; Carlo Rossetti, Cardinale Ferrarese, Nunzio Apostolico e Legato a
latere nell’Europa del Seicento (1615-1681), Edizioni Arstudio C, 2005;
Il culto secolare di San Nicola da Tolentino nel territorio ferrarese, Este
Edition, 2006.
Il libro è stato realizzato con il patrocinio del Comune di
Ferrara; della Fondazione Carife-Cassa di Risparmio di Ferrara, nonché
direttamente della Cassa di Risparmio di Ferrara; del Comune di Cotignola; e del
Seminario Diocesano di Ferrara-Comacchio – ma soprattutto grazie al contributo
di questi ultimi tre. Di tali enti ne è riportato il logo all’interno del testo.
Nella sua ineccepibile sistematica intelaiatura, l’opera,
accompagnata dall’esplicazione di 54 note, poste alla fine d’ogni sezione
argomentativa, è suddivisa in 13 capitoli, più l’apparato iconografico (16
fotografie, la maggior parte delle quali a colori, di Marco Bigoni e della
medesima Autrice); un’appendice, nella quale è integralmente riportata l’omelia
dell’allora Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Natale Mosconi, in cattedrale, nel
solenne pontificale in onore del Beato, quando il suo corpo incorrotto fece
ritorno in Ferrara, nel 1967, completata da alcuni ritagli di articoli di
giornale; il sommario delle fonti consultate e la biobibliografia.
Per il supporto introduttivo la Ricercatrice s’è avvalsa
dell’eloquente contributo di Padre Orazio Bruno, Rettore della Basilica di San
Francesco in Ferrara, la quale, fin dal trasloco dell’incorrotta salma del
Beato, la custodisce (si tenga presente che il Bonfadini era francescano
dell’ordine minore). Nonché della competente prefazione di Don Enrico Peverada,
Direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Ferrara, il quale, tra l’altro,
sottolinea come «Gianna Vancini si è messa in sintonia con il Personaggio
rimettendolo in azione» tra la dovizia dei tanti venerabili «nella Ferrara del
Concilio (1438-1439), la Ferrara del vescovo Beato Giovanni Tavelli da
Tossignano († 1446), la Ferrara della Clarissa Santa Caterina Vegri († 1464)»,
p. 8.
Al Bonfadini (Ferrara, 1415 o 20 - Cotignola, 1482) fu
imposto il nome di Antonio, in onore del Santo di Padova (1195-1231) «che
proprio a Ferrara, durante un soggiorno presso il piccolo convento francescano,
aveva operato il miracolo del neonato che scagionò la madre dalle accuse di
infedeltà coniugale», per i ferraresi noto come il “miracolo di via Zemola, di
casa Taino degli Obizzi”. «Un santo omonimo, Antonio di Padova, che ebbe forte
il desiderio di farsi crociato e di raggiungere la Terrasanta verso la quale si
avviò in pellegrinaggio, proprio come due secoli e mezzo dopo farà il Bonfadini,
già avanti negli anni e malfermo in salute. Antonio di Padova un modello per
lui; come pure il grande Francesco di Assisi (1181-1226), sulla cui vita santa
il Beato ferrarese modellò la propria», cfr. pp. 16-17, Un illustre
francescano ferrarese. E, più avanti, è pure detto che Bonfadini abbandonò
«un agiato stato di vita in età matura [più o meno quarantenne] per una scelta
eroica che richiama alla mente l’atto coraggioso di Francesco di Assisi al
cospetto del padre Pietro Bernardone e del Vescovo della sua città, quando si
spogliò non solo degli abiti ma anche della paternità». Bonfadini dovette veder
scorrere, durante la sua esistenza terrena, «i marchesati di Nicolò III
(1393-1441) e di Leonello (1441-1450) ed i ducati di Borso (1450-1471) [ed in
parte quello di] Ercole I (1471-1505)». In particolare, del primo scorcio, nel
1425, non si può non rammentare il tragico evento della decapitazione di Ugo e
Parisina, per decreto del padre (per Ugo) e del marito (per Parisina) Nicolò III
(cfr. pp. 19-22, Situazione politica-economica di Ferrara nell’età di Nicolò
III).
Come al solito il saggio è eloquente e superbo, curato con
la certosina parsimonia che denota una competenza ormai specialisticamente
consolidata. Direi che circa la cura della ricerca e quanto all’organica stesura
del testo, dal punto di vista del linguaggio e della sua coerente
armonizzazione, tra le righe è leggibile l’ennesima conferma d’un’abilità ormai
satura di maturazione.
Sarebbe
comunque una provocazione per un’eventuale work in progress, come successe a più
riprese per la ricerca su san Contardo, integrare il saggio con l’indagine sul
perché – se mai sia possibile averne ragguaglio – al beato Bondafini non sia
ancora stata riconosciuta la definitiva qualifica di “santo”. La sua causa di
postulazione, di fatto, è rimasta incompleta. Mancherebbe un ultimo passaggio:
la dichiarazione di canonizzazione da parte del Papa. Dopo di che il Beato
sarebbe santificato e, a tutti gli effetti, calendarizzato.
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Recensione |
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