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I bisbigli di un’anima muta. Prosa, poesie e dinanimismo
I bisbigli di un’anima
di Zairo Ferrante hanno in sé la coerente, identica enfasi e l’altrettanto
uguale significato dell’opera prima D’amore, di sogni e di altre follie
(Este Edition) pubblicata nel 2009. Un significato cioè imposto, nella sua
essenza programmatica ed idealistica, fin dalla prefazione, disvelante
un’ironia, qualche volta anche ridanciana, ma soprattutto fungente da assiduo
spot pubblicitario all’insegna del cosiddetto
dinAnimismo.
Questo il fine primario. Tutta la raccolta (un mixage tra poesia e parafrasi,
con un innesto, o meglio un brano d’avvio, perché posto proprio in apertura,
d’un raccontino ispiratore e, per così dire, propedeutico ad un finalistico
concento) è ineccepibilmente orientata ad una sorta d’addottrinamento
dinanimista.
La
medesima, e, volendo essere pignoli, impropria prefazione (la quale avrebbe
potuto trovare una diversa, più canonica denominazione, del tipo introduzione;
e quindi essere divisa in due parti, di cui la seconda, magari collocata a fine
opera piuttosto che all’inizio, con la distinta dizione di ringraziamenti),
nel richiamo che reca in sé, rende comunque il libretto alquanto stuzzicante.
Il
baricentro concettuale dell’opera è, come anticipato, una metodica discettazione
sul dinAnimismo,
movimento che il giovane, ventisettenne autore ha fondato per stimolare «una
certa coscienza comunitaria utile a contrastare la futilità, l’ingiustizia e a
difendere l’Uomo […] da contrapporre alla dilagante superficialità dei nostri
giorni […] una poetica e una produzione artistica ispirate a principi di
matrice “romantico-umanistica”», da intendersi, in buona sostanza, «come un
“futurismo” che esalti il divenire dell’uomo e della sua interiorità anziché il
divenire della “macchina”».
Il
costrutto poetico, a parte, come si disse, l’incipitario raccontino (Prosimetro),
è invariabilmente seguito da consequenziali parafrasi e/o annotazioni tendenti,
nel dilatare i vari passaggi poetici, ad elevare di volta in volta la conoscenza
al dinanimismo. Non sono note strettamente esplicative dei contenuti (non se ne
ravvisa alcuna necessità, né concettuale né metaforica, in quanto esemplari per
trasparenza semantica) bensì sembrerebbero assolvere a quell’unico bersaglio
dinanimista.
Il
titolo,
I bisbigli di un’anima muta, è di fatto la letterale specificazione del
dinanimismo, in quanto comprensivo della dinamicità dell’Anima. Se è vero che
l’anima non partecipa ai rumori molesti del corpo che la rappresenta, potrebbe
però essere altrettanto vero che, proprio in forza della parola trascritta nella
poesia, essa possa persino cantare ed urlare a squarciagola. Ma, l’implicita
sinestesia (e qui sta davvero il piatto forte della poesia di Zairo Ferrante,
che snocciola un espediente assai più incisivo della metafora), vuole dimostrare
che, nella costruttiva meditazione dell’anima, il suo inappagabile silenzio non
vuole farsi stridente portatore di proclami, bensì ama unicamente essere un
sussurro latore d’amore, di pace, di giustizia…
bisbiglio
(tendente a rappresentare un ossimoro di forte sonorità) d’univoca verità, che
comunque, nella sua ponderata posa, sa a sua volta farsi icasticamente
prorompente.
Lo
scrivere in versi di questo poeta è appunto e soprattutto un inno all’Amore.
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Recensione |
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