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Il libro che Lilia Slomp Ferrari (valente e nota poetessa trentina) ha di recente pubblicato, è indubbiamente il più sofferto e travagliato rispetto ai precedenti. Forse è anche il più maturo. Una profonda poetica, strutturata in versi livelli (essenziali quanto eleganti) viene offerta con parole di comune accezione. La Leggenda è narrata con il “vento nel turchino sfilacciato dei capelli”… percorsa da “brividi strani” che assomigliano a quelli “dell’autunno sulle foglie”. Vi è attesa di sole. Sogni e paure si avvicendano. L’aria ha intense pregnanze dove “il fieno e il profumo | dell’erba medica” sono prevalenti. Sospesa tra realtà e immaginario, in una sognante indeterminatezza, la strada di Lilia si sdoppia nel continuo svelarsi di sé. Una corporeità discinta si porge con la leggerezza della mimosa. Il tempo si svuota di ogni significazione. Pressante e continua è la ricerca. Passato e presente si confondono nell’inesistente futuro. L’anticipo del domani, ancora non vissuto, è già ricordo nella trasposizione del tempo “per non soffocare in fotocopie di giorni | senza attese agli angoli”.

Non si può sfuggire alla condizione umana fatta “di naufragi grandi | di barchette di carta” nella consapevole presenza della fatalità. Lilia non ha pretese. Le “basta un battito di ciglia per volare | in cieli rovesciati”. Metafore e allegorie altalenano immagini sullo sfondo di mutevoli cieli. Contrappunti di chiaroscuri modulano il verso. Pause di slanci si avvicendano nel cammino verso la luce, che attende in fondo alla strada. Forse vi sarà qualcuno per quando arriverà “matura al punto giusto”. Si muove in continuo anelito, lei…”così indifesa | e così diversa dagli altri frutti”. Il domani è ancora tutto da cogliere. Un futuro che non potrà e non dovrà essere smarrito. A questo punto la “leggenda” si svuota di ogni significato amnesico e temporale mentre la poesia diviene coscienza anche di drammi collettivi. L’angoscia soggettiva si fa coro, come nelle tragedie greche…”ombre lunghe di donne | con mani intrecciate | sul grambo prosciugato”. La quotidianità degli eventi lascia il posto alla nostalgia di qualche cosa di indefinibile, che non si è mai avuta, posseduta…la saudade dei portoghesi.

Il dramma esistenziale si ammanta di una sorta di pudore. Nella sua introduzione alla silloge, E. Mazzoleni scrive che Leggenda canta la esistenza con lievità e crudezza… Oltre che un’impietosa indagine introspettiva affiora una vita mediata da inconsci segnali e simbolici, in bilico fra gioia e dolore, fra certezza ed incertezza”. E ancora più avanti accenna a “una discordanza fra il tempo anagrafico e quello psicologico”. Ma è un dualismo emergente tra forza vitale e stanchezza, fra entusiasmo e scoramento. Come polena si offre agli uragani “cavalcando l’aria” mentre si agitano ombre di sogni e di ricordi, tanto da sentirsi come una “lucciola smarrita d’agosto in cerca d’innocenza”

La poesia è diretta e immediata, fatta di sognante intensità dove diviene fulcro il mistero. Il verso a tratti si dilata per poi farsi sottile filo di sabbia d’una clessidra. Il ritmo è scandito da fonemi morbidi e sinuosi. Il cromatismo della natura compare in variopinte gamme di immagini, ricche di sfumature. La parola, densa di significazioni, aggiunge magia al mistero. Evocazioni e fantasie si rincorrono, parti integranti di un vissuto che si palesa in frammenti di continue rifrazioni…”Sospesa in silenzi di miele | …Negli occhi solletico di sole… | E il sapore di un attimo rubato | a rossori di papaveri curvi, sotto | l’ondata dei nostri corpi arresi”. A volte immagini dure… “Lacerata la pelle. Parole | come schegge nel palmo…” si alternano a incanti espressivi …”Bastava un accordo e gli occhi | divenivano pozzi per secchi imbrigliati…”.

I versi più struggenti vengono scritti per il padre morto (amatissimo da Lilia). La nostalgia si smarrisce nel dolore, in uno scavo continuo nei ricordi di una infanzia felice, in una sorta di regressione affettiva… “Mi hai detto addio senza saperlo. | Definitivamente. Falciato il grano… Sei scomparso oltre la collina. | Di me bambina è rimasto il nulla | che invento testarda ad ogni passo…” e poi ancora …”Ho voglia | di una culla ultima | e del respiro impercettibile | di un grembo”. Il cammino poetico di Lilia prosegue oltre la morte, al di là del tempo, in totale annullamneto di spazio. Ma c’è un invito ultimo, alla fine, rivolto a …”tutti i cantastorie”, per un grande banchetto su tavole imbandite con foglie d’autunno, con il fieno dell’estate e profumi d’erbe”. Il luogo? Sarà là “dove i passeri rastrellano molliche | e i fiammiferi una scintilla”.

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