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Di un cono d'infinito
Il senso della misura di Francesco Giuntini
e lo spazio
era un fuoco...
(Giorgio Caproni)
L'ultima opera poetica di Francesco Giuntini, Il senso della misura,
conferma il talento o genio poetico dell'autore. Opera tanto profonda quanto
enigmatica che bisogna tuffarsi in profondità per comprenderla, e non una sola
volta; si seguono fili infiniti per dipanarne il senso: tante, e pregnanti sono
le parole-chiave, i nodi tessuti dall'autore, che come sempre, non raccoglie
poesie, scritte nel tempo, ma le dispone in un disegno-struttura, frutto di una
meditazione lucida e attenta: un cono d'infinito, al cui vertice in basso
c'è lo sguardo
Compiuto il periplo dell'opera, dopo una prima lettura, nuotando al largo e
approdando per pure suggestioni su altre isole-opere (Dante, Leopardi, Pascal,
Lucrezio, atlanti astronomici), l'immersione in profondità è quanto mai
necessaria, in quanto il libro in sé si presenta come un unicum, nel
panorama letterario italiano.
Seguendo, poi, una traiettoria ascensionale dal buio alla luce, dal mondo
sublunare alla città delle stelle, al labirinto del creato, lo
sguardo si sposta dalla materia primordiale, gli elementi sensibili della
prima parte (fuoco, acqua, aria e terra) alle terre emerse della seconda
parte, alle sfere celesti della terza parte del libro. Il libro ha
infatti una struttura tripartita: 1. Degli elementi sensibili 2. Dalle
terre emerse 3. Per le sfere celesti.
Le dita del bambino, che attraversano
la fiammella del cero,
si salveranno o no, rimane
intatta
la memoria del fuoco e non è
certo
che rinnovi il perdono.
Forma e sostanza, sfida per
i sensi
la misura del fuoco, il
farsi vana
la durezza del calcolo.
Flutti e ceneri, spazi ed
atmosfere,
la crosta della terra. Che
confine
altro che l'indicibile, che
luoghi
per soffermarsi, stringere
una tregua.
Le fiammelle dei ceri, che
attraversano
le dita dei bambini,
si salveranno o no, rimane
intatta
la memoria dei piccoli e
resiste
anche al di là dell’ora del
perdono.
Da questo primo
componimento si dipanano i motivi fondamentali e unificanti del libro: la
memoria (rimane intatta | la memoria del fuoco (vv. 3-4), rimane intatta | la
memoria dei piccoli (vv. 15-16); il fuoco (la fiammella del cero (v. 2),
la memoria del fuoco (v. 4), sfida per i sensi | la misura del fuoco (vv. 6-7);
lo spazio (Che confine | altro che l'indicibile, che luoghi | per
soffermarsi, stringere una tregua (vv. 10-12).
Con
il prevalere dello spazio siderale cresce la distanza. “Sul tema della
distanza sto lavorando, – scrive l'autore nel gennaio 2003 - o forse
annaspando, facile annegare, perdersi: inseguire la cifra un gioco d'azzardo”
Qui, la
distanza è lo spazio che nessuna legge fisica può calcolare, il muro della
terra, che separa i vivi dai morti, che nemmeno la corrispondenza d'amorosi
sensi riesce a scalfire. Neppure la legge della gravità, che pure spiega la
distanza tra gli astri, può spiegare la vicenda del distacco: tensione o
gravità, massa od attrito | spiegano oppure no la singolare | vicenda del
distacco, la frattura.
Sulla distanza come condizione esistenziale s'interroga Mésarthim, la
stella della costellazione dell'Ariete:
Esistere distanti, il vuoto
e il fuoco
ricolmano lo spazio e così
piccola
parte sembra rimasta alla
materia
e fredda e opaca. Stretto è
l'intervallo
dato per sopravvivere e per
quanto
prestato alla materia. Il
vuoto e il fuoco
colmeranno altro spazio e
così piccola
parte potrà serbare la
memoria
se pur trovasse un dove.
Anche quel poco
che resta, che trattengono
le mani
della materia, perderebbe
il nome.
E prosegue il suo cerchio la
memoria,
si fa strada nel vuoto. Che
significa
esistere distanti, a quale
scopo
La domanda che
chiude il sonetto (Che significa | esistere distanti, a quale scopo) cade
nel vuoto come una domanda retorica.
Vuoto e fuoco si contendono lo spazio infinito
dell'universo, in cui la materia occupa una piccolissima parte (Il vuoto e il
fuoco | ricolmano lo spazio e così piccola | parte sembra rimasta alla materia).
Non stupisce pertanto se nella polifonia di voci e temi che affollano Il
senso della misura un ruolo di primo piano, oltre che di esordio, spetti al
fuoco
Nel grande libro dell'universo esso è poi segno e cifra del destino:
L'osservarsi a vicenda, l'incessante
misurare distanze e
traiettorie,
consegna oppure no qualche
messaggio
attraverso le tenebre,
ricolma
o no la rete immobile dei
segni
di quale vita, o che
significato
da poter essere letto. Lunga
strada
per dire nulla al nulla, che
destino
avrebbe di noi l'ardere, il
tracciare
sparse cifre di noi. Di rado
avverto
uno sguardo di Dio fissarmi,
fino
a decifrare il senso della
luce,
rassegnata obbedienza
all'entropia,
vana gloria di sé, grido,
preghiera
Difficile,
però, leggere, decifrare le sparse cifre delle stelle, il senso della
luce. Siamo distanti anni luce dall'universo finalisticamente inteso (lunga
strada | per dire nulla al nulla), raramente si avverte lo sguardo di Dio,
quando non si volge altrove (A quale limite, | domando, possa giungere la
notte, | mentre l'occhio di Dio si volge altrove)
Nella precedente trilogia, La fabbrica del tempo, prevaleva, con la
categoria del tempo, il linguaggio del mito e del quotidiano, qui, con la
dimensione dello spazio, prevale il linguaggio della fisica e dell'astronomia. A
parole astratte e vaghe vengono preferite parole esatte e concrete della scienza
moderna come: entropia, materia, massa, vuoto, anni luce, molecole, attrito,
etc. Troviamo poi i nomi propri di stelle, pianeti, galassie, nebulose.
All'esattezza
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Materiale |
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