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La solitudine della cattedra

Un cuore che guarda dalla cattedra

“Se chiedete a un insegnante perché continua a rimanere nella scuola nonostante gli stipendi da fame, il peggioramento delle condizioni di lavoro, con classi sovraffollate e il numero delle scartoffie da compilare, vi risponderà : per i ragazzi”.

Con queste parole inizia il libro La solitudine della cattedra di Titti Follieri, scrittrice fiorentina e insegnante a riposo di Lingua e letteratura francese nelle scuole superiori. Alla sua lunga esperienza sulla cattedra a contatto giornaliero con i giovani la Follieri ha dedicato un libro originale e intenso, che si apre con una breve introduzione, che da sola vale la lettura dell'opera e dal significativo titolo Una questione di relazione : ad essa segue una serie di lettere indirizzate a tanti dei suoi ex-alunni, indicati con un ipotetico nome, anche se del tutto vere sono le storie che emergono.

Il libro sottolinea la valenza centrale della figura del docente e del rapporto che riesce ad instaurare con il singolo studente e con la classe : “per stare tanto tempo con i giovani – scrive l'autrice nella prima pagina – occorre un'empatia” e ancora : “la scuola è una comunità che interagisce giorno dopo giorno, un sistema protetto e nello stesso tempo esposto ai venti delle richieste della società”. Possono sembrare affermazioni ovvie ma è nel metterle in pratica nella realtà, in presa diretta come in teatro, che consiste la vera sfida, spesso 'solitaria' – come allude il titolo – a volte quasi titanica. E' questa relazione il compito delicatissimo e arduo, però fondamentale, affidato al docente: essere guida autorevole, sostegno e argine alla vitalità straripante e fragile insieme degli adolescenti che ha davanti, un universo multiforme, ognuno con le sue caratteristiche e problematiche che richiedono attenzione, ascolto, soluzione, metodo, carisma.

Quanto sia ingrato e a rischio di appiattimento, specie negli ultimi decenni, il ruolo dell'insegnante, Titti Follieri lo delinea con efficace chiarezza e quasi autoironica amarezza nella sua nota introduttiva, specchio tuttavia di una “Prof “ che non si è lasciata demotivare dall'appartenere al gruppo di insegnanti - quelli italiani - meno pagati d'Europa e il cui avanzamento di carriera è basato solo sull'anzianità di servizio e non su un minimo di riconoscimento per la effettiva qualità professionale.

E non mancano strali e riserve per il pluriruolo (esperto laureato-psicologo-pedagogo-tour operator-coordinatore progetti, etc) richiesto al docente, con il rischio latente di stress da lavoro, frustrazione, sindrome da burn-out. Un professionista inserito a lavorare in strutture scolastiche spesso non a norma né confortevoli come certi uffici di altri enti o ministeri. E poi, dopo un trentennale lavoro e tanta esperienza didattica ed umana accumulata, nessuna opportunità a fine carriera, per chi lo voglia, di portare nella scuola un contributo in forme diverse, più specialistiche e gratificanti.

Ma il libro non è né vuole essere solo un piccolo pamphlet. ll nerbo del volume è composto da un corpus variegato di lettere, spesso costruite in forme narrative, nonostante la struttura autobiografica di memoir, cioè di rievocazione di episodi vari di vita scolastica dell'autrice. Ma da questi ricordi emerge indirettamente tutta la casistica possibile: alunni ribelli, svogliati, con handicap, gite con sorpresa, problemi familiari, programmi da rincorrere, ragazzi persi per strada...ma anche ritrovati con gioia dopo anni, con affetto invariato.

Tutto il bello e il difficile di questo impegnativo, complesso rapporto che si gioca nell'aula, soggetto a mille variabili, scelte, decisioni, in mezzo ad un profluvio di registri – ai suoi tempi soprattutto cartacei, ora anche informatici - schede, consigli, collegi, colloqui, scrutini e compiti da preparare, correggere, valutare con un numero, un voto che sia l'ombra - docimologicamente esatta, direbbero gli esperti – dell'impegno di quell'allievo, il quale però, scrive Titti Follieri, non è un numero, ma un singolo individuo.

Le lettere del libro, pur facendo trasparire passione e affetto, non derogano mai dal ruolo, non cadono nel patetico o nell'enfasi, grazie ad uno stile espressivo chiaro, asciutto, colloquiale e al tempo stesso controllato e linguisticamente ineccepibile. Si potrebbe forse parlare, parafrasando Giulio Cesare, di un 'commentarium de vita scholastica” .

Che cosa dunque ha sostenuto Titti Follieri (e penso tanti altri validi colleghi) e l'ha poi spinta a scrivere queste pagine? Possiamo rispondere con altre sue parole: l'amore per i ragazzi e per la materia insegnata, la volontà di trasmettere non solo i contenuti disciplinari, ma anche i valori del vivere e la profonda consapevolezza del rispetto dovuto in questo lavoro “a” e “da” entrambe le parti, perché, come nell'amore, è un rapporto che si può agire solo in d u e.

Grazie, quindi, all' autrice per questa testimonianza e contributo.

25 febbraio 2015

Recensione
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