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N.O.F.4
Colonnello Astrale
Nei dieci ettari del Manicomio di Volterra sorgeranno circa
duecento alloggi, due ristoranti, un parco, un albergo, un piccolo teatro
all’aperto, uno sport center. In tempi come questi, in cui si è soliti lavare
con la calce la memoria, un piccolo tessuto lirico come quello creato da Maria
Grazia Carraroli diventa importante perché spalanca l’inferno davanti al corpo
del lettore. L’autrice riavvolge il filo esistenziale di Oreste Fernando
Nannetti, affiancandolo al coro eco dei compagni e alla voce altra della
figura dell’infermiere. Si creano tre vie di canto intenso e tragico che
sviluppano in crescendo un flusso teatrale poetico di forte espressività. Oreste
Fernando Nannetti è stato internato per due anni presso il manicomio di Volterra
per una condanna da cui, in seguito, fu prosciolto. Non trovando alcuna altra
accoglienza, l’uomo rimase nel quarto padiglione del Ferri fino alla morte
avvenuta il 24 gennaio del 1994. In questa segregazione durata sedici anni,
incise il perimetro murario del cortile del reparto, con la fibbia del suo
panciotto: una scrittura mista a disegni di cui è conservata documentazione
fotografica nel Museo dell’Art Brut di Losanna e, a tutt’oggi, malgrado il suo
deterioramento, permane l’estremo interesse per studio da parte di associazioni
psichiatriche e culturali. Nannetti, durante il suo internamento, si è
rinominato N.O.F.4, da cui il titolo. Il numero 4 si riferisce al quarto
padiglione del Ferri in cui era rinchiuso. L’opera merita davvero un elogio,
oltre che per la scelta dell’argomento e per la qualità dei testi poetici,
anche per le fotografie di Luciano Ricci che offrono al lettore l’incontro
terribile con la pelle vivente percorsa dalla fibbia incandescente di Nannetti.
Un’accurata esposizione storica riapre il passato nei suoi dettagli e
approfondimenti, fino alla figura di Mimo Trafeli, lo scultore volterrano che lo
conobbe e che, in tutti questi anni, ha cercato disperatamente di valorizzare
questo patrimonio artistico, tentando di diffonderne l’importanza.
Si capisce, quindi, come questo piccolo libricino viaggi con
una carica elettrica in mezzo alla nostra notte, rovesciandoci dal nostro agio e
coprendoci di lava. Galeotti antiorari,noi,contrari ripete il coro
eco mentre la voce di Nannetti spiega altissima, fiera, in una dolenza che
incidendo si trasforma in energia cosmica… non a me che sono delle
stelle. || Impastato di loro | le mie mani di fulmine son fatte | gli occhi come i
gatti e le pantere… || . Con la chiave mineraria | apro il portone | dei metalli
invisibili | rivesto di rame tutti i nervi | e scarico sul muro | il telepatico
sistema. || Lancio nello spazio il mio pensiero | oltre il pianeta
esistenziale | oltre l’astrale girotondo | …
Il rischio che ha corso Maria Grazia Carraroli è stato quello
di scivolare in una retorica sublimazione che avrebbe assassinato la sacralità
della tragedia di Nannetti e di un popolo di creature massacrato
istituzionalmente in una prigionia devitalizzante. L’attenzione poetica
dell’autrice ha messo a fuoco, invece, il plesso della clessidra umana e
artistica del matto, dell’io. Di quell’io sprofondato che, pur
schiacciato da ogni imposizione, da ogni recinzione, riesce con una lingua di
fibbia a creare una propria espressione, uno spazio un tempo suo proprio,
libero. Proiettando la sua identità interiore, che è dolore, ma anche fertilità,
vastità sterminata.
Non abbiamo ancora elaborato onestamente gli errori di certa
psichiatria. Sappiamo come in cliniche private si continui la pratica
dell’elettroshock, malgrado oggi sia ufficialmente considerata assolutamente
dannosa. Non abbiamo ancora individuato vie certe che recuperino una minima
quiete tra le tempie. Tuttavia, l’urgenza feroce per noi cittadini lettori
scrittori è quella di custodire la memoria, renderla viva e visitabile, sonora,
cantabile. Scalfire in qualche modo il muro di nullificazione consumistica che
ci stringe. Imparare da Nannetti a segnare con il sangue lo spazio e il tempo
che ci è dato.
I graffiti sono in penoso disfacimento per l’incuria di
politici, per la loro pericolosa ignoranza. Il grande vetro li ha più volte
illuminati, ricordati. Una volta di più, ora, con questo buon libro che ci offre
un’ulteriore occasione di riflessione e crescita.
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Recensione |
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