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I fantasmi della gipsoteca

Paolo Ruffilli, a trent'anni di distanza, pubblica la sua sceneggiatura per un cortometraggio sulla Gipsoteca di Antonio Canova a Possagno. Gli fu richiesta, alla fine degli anni Settanta da Raffaele Crovi, che collaborava alla RAI. Decisione più che mai opportuna nel periodo storico nel quale esponenti degli strati più reazionari delle classi dirigenti del mondo arabo, con vastissime complicità e sostegni internazionali, ormai da decenni, continuano ad assassinare, con particolare ferocia, donne del mondo arabo ma non soltanto e distruggono con scatenata barbarie opere d'arte che appartengono alla cultura mondiale alla quale esponenti della civiltà araba e della religione islamica hanno dato contributi fondamentali.

Tutte le opere di Antonio Canova, scultore e pittore, si contrappongono in modo frontale, eroico, come “Teseo sul Minotauro”, alla barbarie scatenata ma resistibile. “Perseo trionfante “ non teme la Medusa. Ercole distrugge Lica portatore dell'inganno assassino.

E l'esaltazione della bellezza femminile, della sua dolcezza e della sua sensualità, è l' elemento fondamentale della poetica del Canova parallela a quello dell'eroismo maschile. La stessa dedizione di Canova al suo lavoro di scultore è eroica. Si pensi ai danni irreparabili che imposto al suo fisico per l'uso del lungo scalpello che si era forgiato.

E' quindi molto difficile accettare o capire l'evocazione di gotici “fantasmi” della gipsoteca di Possagno (Treviso) presenti nel titolo della interessante pubblicazione. Fra i fantasmi del Castello di Otranto e le donne-dee vive e vitali di Antonio Canova nella gipsoteca di Possagno la lontananza e la. contrapposizione è assoluta e totale.

Lo scultore della bellezza e della sensualità femminile ha avuto durante la sua vita un rapporto tragico con le donne. La madre si risposa e lo affida alle cure dei nonni paterni. Le donne di cui si innamora lo deludono. Ma il suo dolore esistenziale si trasforma nella esaltazione della realtà del femminile in tutti i suoi aspetti.

Per Canova le donne sono dee e le dee sono donne. Esse non hanno mai abbandonato la terra. Paolina Borghese è Venere vincitrice. E Venere vincitrice è Paolina Borghese.

Nulla di più contrapposto alla violenza assassina sulle e contro le donne che da anni sta scatenando la reazione che parla arabo e pretende, mentendo, di ispirarsi alla religione mussulmana. Così facendo la reazione sottolinea , esalta l'aspetto più sublime della civiltà cristiano-occidentale.

Nella sua presentazione Ruffilli allude ai trenta capolavori che Henri Beyle, (ribattezzatosi aggiungendo le lettera h, non per caso, Stendhal, la cittadina tedesca patria di Winckelmann) affermava di aver individuato fra le opere di Canova. Beyle, fra tutti coloro che hanno espresso ed esprimono dei giudizi su Canova, è quello che si dimostra più vicino alla sua straordinaria personalità.

Egli ne esalta il coraggio e l'originalità. Canova non ha affatto copiato dai greci. Ma come loro ha inventato una bellezza che ha superato la natura.

Canova è stato elogiato ed esaltato da Beyle, in un modo che non ha confronto rispetto a tutti altri protagonisti della vita artistica italiana che egli ha conosciuto.

Per Beyle la grande arte può nascere soltanto dalla passione. L'Italia è la patria, la terra delle passioni E Canova italiano è la conferma della sua teoria sul rapporto fra passione e arte.

Ruffilli sottolinea l' apprendistato come scalpellino dello scultore trevigiano e a questo si deve ricondurre la sicurezza con la quale egli ha operato la rivoluzione tecnica nell'arte di scolpire. Canova temerariamente crea dei bozzetti di grandezza naturale per le loro dimensioni e usa esclusivamente la creta . Abbandona l'uso della cera o dello stucco.

Sostenuto dal nonno paterno e dai patrizi veneziani suoi mecenati, già a Venezia, prima di trasferirsi a Roma, con l'opera “Dedalo e Icaro” esplicita orgogliosamente il suo rapporto di continuità ma anche di consapevole discontinuità con la tradizione e con la cultura veneziana nella quale egli si è formato.

Grazie alle “Memorie di Antonio Canova”, scritte dal suo fraterno amico Antonio D'Este conosciamo la motivazione del trasferimento a Roma dello scultore allora ventiduenne (1779). Nella scultura “Dedalo e Icaro” egli ha veduto la natura. E se non è riuscito a scegliere il più bello della natura questo fu dovuto all'inevitabile adattamento alla scuola veneziana e al mancato studio dei capolavori dell'arte greca e romana presenti a Roma. Canova si oppone consapevolmente al barocco e al roccocò.

Scultore rivoluzionario, rimase tenacemente attaccato ai suoi parenti e al suo luogo di nascita sulle colline trevigiane ricche di cave di pietre.

Egli difende la Repubblica di Venezia che, davanti all'esercito francese, si era sciolta, liquefatta come il burro del leggendario leone scolpito da Canova ma accetta di lavorare anche per Napoleone Bonaparte e per i suoi regimi in Italia.

Cristiano-cattolico affida ruoli fondamentali al fratellastro Giambattista che ha intrapreso la carriera ecclesiastica. In entrambi i casi non deflette dalla difesa intransigente della sua autonomia di artista. Alcune sue sculture, Napoleone come Marte pacificatore e quella della Religione non sono accettate dai potenti committenti. Sono rimosse o rifiutate.

Canova è cristiano-cattolico-romano. L'autenticità della sua religiosità cristiana emerge nei suoi monumenti funebri. La sua umiltà e la sua rassegnazione di sincero cristiano davanti alla morte gli consentono di accantonare la teatralità barocca dei monumenti funebri seicenteschi. La morte è un passaggio inevitabile accompagnato dalla malinconia e dalla pietà femminile.

La pubblicazione di Ruffilli accompagna la sceneggiatura della fine degli anni Settanta con un piccolo sommario di giudizi su Canova (privi purtroppo di indicazioni bibliografiche precise), una descrizione del suo metodo di lavoro, una biografia e un censimento di oltre un centina di sculture.

E una bibliografia.

Recensione
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