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Il romanzo di Giancarlo Micheli si muove abilmente tra i meandri di un
episodio poco noto nella vita di Giacomo Puccini, quello di una giovane
domestica innamorata di lui, ma non considerata, la quale per questo suo amore
segreto, reso meno segreto dai pettegolezzi diffusi nel paese, non vide altra
soluzione che il suicidio.
Sullo sfondo c'è sempre lui, il Maestro Puccini, motore immobile della
vicenda che scuote la quiete un po' sonnacchiosa di Torre del Lago, ma entra
molto poco nel vivo dell'azione. E' lì come un'icona, come il metronomo che
scandisce le ore; però lui con la mente è sui luccicanti palcoscenici delle
grandi città, o presso la sua amica-amante londinese, che gli prospetta il gran
mondo con tutte le sue lusinghe. A Torre del Lago Puccini trova la quiete per
cacciare, anatre, folaghe e ragazze, ma gli sta a cuore soprattutto la sua
"elegia provinciale", la Fanciulla del West, vera e propria opera su
commissione, da cui spera un ampio ritorno in termini di fama e guadagni.
Attorno a lui si muove un mondo in evoluzione, in bilico tra il
radicamento in una società patriarcale, ancora contadina, e le lusinghe
dell'avanzante progresso, mediato dalla rivoluzione industriale. C'è chi si
aggrappa al treno della modernità, come la moglie Elvira o la sua figlia di
primo letto, Fosca, le quali intravedono entrambe un futuro migliore per loro
stesse, agganciate al carro dei vincitori, senza guardare molto al "vinti"
lasciati sul percorso. Don Giuseppe, novello Don Abbondio, condito però da un
pizzico in più di pragmatismo, propone che la giovane segretamente innamorata
del Maestro, Doria, sia allontanata per un po' dal paese, per sottrarla alle
chiacchiere infondate che stanno per distruggerla, ma anche per riportare la
pace tra le mura del borgo.
Doria è delusa, non si spiega come sia calunniata da tutti per un
qualcosa che leiaveva solo sognato e che, invece, sua cugina Giulia aveva messo
direttamente in pratica, con un pragmatismo senza smancerie romantiche: essere
diventata per un attimo l'amante del Maestro. Il veleno che Doria assume non
agisce subito, le lascia il tempo per indicare al pubblico come dimostrare
inequivocabilmente la propria innocenza: con un'autopsia che riveli la sua
illibatezza.
In quest'episodio drammatico si esprime tutta la forza repressiva
dell'ambiente conservatore, che si esercita su chi ne sia rimasto ancorato,
rendendo la morte giudice della vita terrena.
Elvira cerca una marea di compromessi per mantenere in piedi il
matrimonio con Puccini, ingoia molti rospi, ma rimane salda al suo posto. Anche
la figlia Fosca resta saldamente seduta sul treno dell'ascesa sociale, che alla
fine la porterà proprio dove voleva arrivare.
Un merito particolare va alla ricerca storica e filologica di Micheli,
che ricostruisce, nei fatti e nello spirito, un mondo in fase di passaggio ed
una lingua, duplice, ormai rimasta viva solo nella letteratura. Il romanzo porta
a convivere due lingue contemporanee ai fatti: quella della voce narrante,
colta, alle nostre orecchie preziosa ed antiquata, e quella popolaresca dei
dialoghi tra i personaggi, intrisa del dialetto toscano di fine ottocento.
Le descrizioni dei paesaggi e degli ambienti, scritte con grande
serenità, che riecheggiano Manzoni e Verga, fanno da degna cornice aifatti del
romanzo ed aiutano ad immaginare anche visivamente l' ambiente in cui si
svolgono queste elegie provinciali nascoste dal perbenismo.
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Recensione |
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