Servizi
Contatti

Eventi


Piccola colazione
            Ruffilli e la zona del concreto

Volutamente cancello dalla memoria ogni precedente scrittura di Paolo Ruffilli: non con questo intendendo suggerire su di essa un giudizio limitativo, ma unicamente allo scopo di porre nella debita evidenza il salto di qualità che egli mi sembra avere compiuto in questo Prodotti notevoli. Nella carriera di ogni poeta si pone prima o poi il problema di questo salto: è il salto dalla letteratura alla poesia propriamente detta, il taglio di un nodo, il rischio che lo scrittore è quasi irresistibilmente portato a correre (e qualche volta sarà anche per disperazione) verso una sfera creativa dove cultura, esperienza e scaltrezza (aggiungiamovi pure un’astratta intelligenza) non gli possono bastare più, sicché come un acrobata del circo egli è costretto finalmente a esibirsi "senza rete".

È il momento dell’incredibile semplicità, del poeta non più "costretto a essere poetico" (V. Woolf): è arrivato anche per Ruffilli: che qui si fa, nell’apparenza dell’occasione, trascrittore di emozioni e movimenti in mezzo ai quali, per sua condizione, egli vive; e che, scolaro dei suoi scolari, impara il balbettante, incoerente, frammentario e occasionale linguaggio della vita. Quale vita?

Non certo la vita senza tempo e senza luogo dell’eterna riflessione esistenziale: per nativa inclinazione, come stanno del resto a testimoniare i versi fin qui pubblicati. Ruffilli doveva puntare sulla zona del concreto, dell’immediatamente identificabile. E poiché il suo concreto quotidiano è la scuola, ecco che egli ci ha dato una poesia della scuola così come potevano esprimerla le voci, ora tenere ora sguaiate, di aule e corridoi negli intervalli, preludi o post-ludî in cui la voce pedagogica, la voce istituzionale del luogo, non ha né può pretendere udienza. Qui parla una popolazione della scuola che, non soltanto in omaggio a un luogo comune, anticipa e precorre il discorso (o la babele) della società civile nel suo complesso: e quel che maggiormente colpisce è lo spessore delle implicazioni anche culturali e politiche indotte dalla cordiale, affabile, ma anche spietata rappresentazione che il poeta ci porge di questo universale miniaturizzato.

Nonostante la disarmata (anche) cantabilità di taluni passaggi, Ruffilli si propone qui come poeta di notevole impegno sperimentale: la sua bravura (se mi è lecita la parola) è consistita infatti nell’indurre al silenzio, o almeno a una sufficiente discrezione, quella tentazione letteraria di misurarsi su alcunché di preesistente e autorizzato che per molti aspiranti alla poesia continua a costituire un dannato e facile trabocchetto. Egli ha, insomma, riconquistato in sé una condizione di innocenza che lo mette in grado di lasciar parlare una voce che diventa sua in quanto proprio attraverso di lui si esprime da una toccabile realtà traducendosi in questo non celebrativo, non trionfalistico, non parenetico, ma problematico e vivo "poema pedagogico" di una scuola italiana alla soglia degli anni ’80.

Non è risultato di poco conto: è un risultato, anzi, da annoverare fra gli esempi contemporanei di una linea poetica che, nella nostra tradizione, ha precursori illustri, remoti e recenti (da Jahier a Pagliarani, per suggerire due nomi);ma è anche un risultato che senza dubbio porta l’autore a un livello di giuoco piuttosto alto, di più difficili responsabilità.

Adesso lo aspetteremo, dunque, sul dopo.

Recensione
Literary © 1997-2024 - Issn 1971-9175 - Libraria Padovana Editrice - P.I. IT02493400283 - Privacy - Cookie - Gerenza