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Volponi estremo

Volponi estremo, frutto del convegno internazionale di Urbino dell’ottobre 2014, raccoglie saggi e studi diversi che fanno il punto su Paolo Volponi e ne «discutono e interrogano l’opera […] a partire dalla prospettiva che è di conflitto e insieme di proposta»: così Salvatore Ritrovato in Volponi e le difficoltà della letteratura. Una premessa, introduzione al volume ed intervento critico ad ogni effetto.

“Volponi estremo”: per significare l’estrema radicalità di uno scrittore che, nei romanzi, nelle poesie, nei saggi e nelle riflessioni, ha scavato dentro le contraddizioni della storia, nella conflittualità sociale, nella insufficienza della politica. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1994, a settanta anni. (Oggi Paolo Volponi inorridirebbe al caos della politica istituzionale, alla inconsistenza del dibattito, alla pochezza delle soluzioni, alla negazione sistematica della cultura dei suoi rappresentanti, alle cronache di palazzo promosse a storia futura).

Mai corporalmente distaccato nella sua opera, lo scrittore urbinate. Al contrario, vigile. Mosso da una appassionata, ancorché asciutta, necessità di essere dentro le cose e le situazioni: agendo la propria, sofferta, individualità unita ad una lucida profondità intellettuale, caratteristiche rintracciate solo a tratti nella letteratura degli scrittori della sua generazione. Tanto che, già nei suoi tempi, Volponi dichiarava e scriveva: la letteratura deve «tenere vive le coscienze, …aiutare la gente a non perdere la propria testa e la propria lingua. (La letteratura) ha il dovere di tornare a essere quella che è sempre stata: conflitto, sfida contro il potere dominante, tentativo di trovare nuove forme di comunicazione e nuovi linguaggi».

Intento sempre vivo nelle opere di questo autore singolare: l’acutezza nel vedere pieghe, risvolti, incapacità, deficienze, dinamiche, inutilità e prevaricazioni del contesto sociale e politico (contesto riconoscibile, non di rado, con nomi e cognomi: per esempio in quell’affresco da fine di un mondo del Novecento in Le mosche del capitale, 1989), potenzialità delle persone lontane, ma coscienti, dai centri di potere e di smistamento di prebende e giaculatorie. Mai concedendo sconti nella declinazione narrativa e poetica.

Dall’esordio in poesia de Il ramarro del 1948, all’ultimo romanzo La strada per Roma, del 1991, agli scritti postumi – raccolte di saggi, pagine rare uscite (es. La Zattera del sale, “Istmi”, 13-14, 2003-2004, a cura di Emanuele Zinato) in numeri unici di riviste, ecc., l’abbozzo di romanzo Il senatore segreto (in Parlamenti, a cura di Emanuele Zinato, 2011), i Discorsi parlamentari (a cura di Laura Ercolani, 2013) –, lingua, linguaggio danno forma, in simbologia, in immaginazione creativa, a personaggi e vicende, poesie, con l’ironia, l’afflato lirico mai calato in lirismo, con lo sguardo, gradinato non a specchio ma vissuto in invenzione a 360 gradi, sulla realtà cui Volponi affida uno scatto di umanità non disgiunta dall’utopia. Perché sia presenza che apra spiragli, fiato che possa animare gli spiragli stessi. E che abbia il luogo (e, direi, il logos) nel paesaggio: della memoria attiva (si vedano gli studi di Ritrovato in All’ombra della memoria. Studi su Paolo Volponi del 2013) e in quello da salvare dalla distruzione secondo il dettato de Il pianeta irritabile del 1978, romanzo-apologo emblematico e anticipatore di problematiche che si sarebbero sviluppate teoricamente, almeno in Italia, nel decennio successivo.

In Volponi estremo si trova, nella diversità degli approfondimenti, la ricchezza di un autore mai ripetitivo. Sorprendente. Che può dire molto nei e ai grigiori odierni. La particolare inclinazione degli studi presentati al convegno e in questo volume non concede facoltà riassuntiva. La varietà dei contributi non può essere sintetizzata. Né varrebbero estrapolazioni per la complessità dei singoli scritti. Alcuni studiosi (Emiliano Alessandroni, Anna Bagorda, David Albert Best, Claudia Bonsi, Mauro Candiloro, Massimo Colella, Martina Daraio, Sandro De Nobile, Gabriele Fichera, Alessandro Gaudio, Giovanna Lo Monaco, Franca Mancinelli, Maurizio Masi, Alessandro Raveggi, Marco Rustioni, Fabrizio Scrivano, Siriana Sgavicchia, Igor Tchehoff, Dario Tomasello, Tiziano Toracca, Massimiliano Tortora, Elisa Vignali), per la prima volta studiosi di Volponi, hanno affrontato romanzi e poesie, liberi – per così dire – dagli accaloramenti ideologici del Novecento e, dunque, con riferimenti di comparazione a ricerche degli ultimi venti anni. O, anche, con la forza della proposta nuova svincolata da legami con critici precedenti. Altri già dentro il pensiero volponiano: qui ripercorso per ulteriore contributo (Enrico Capodaglio, Gualtiero De Santi, Paolo Zublena). Infine alcuni hanno attraversato le vicende del lavoro di Volponi alla Olivetti (Manuela Pistilli), del suo amore per il collezionismo (Marco Vallora), sono entrati nella sua Lisistrata (Caterina Paoli), nelle riflessioni, nuove e attuali!, dello scrittore relative alla didattica (Gian Luca Picconi), nell’epistolario con Pasolini (Federica Maltese). In clausola, la tavola rotonda, affidata a interpreti storici di Volponi (Gualtiero De Santi, Gian Carlo Ferretti, Romano Luperini, Massimo Raffaeli, Emanuele Zinato), e uno scritto sui generis di Angelo Ferracuti.

Di certo, da Volponi estremo esce un Paolo Volponi che ha segnato tempi e modi di una narrativa, di una poesia, particolarmente incisive sia in confronto con le esperienze coeve, sia alla distanza, nella valenza di una continua sussunzione di responsabilità verso la letteratura come tale e verso la letteratura come motore possibile di una differente consapevolezza del suo valore intrinseco, formativo, di impegno civile. Ieri e oggi, in scala percorsa in prospezione etica.

E, se una qual certa difficoltà della pagina volponiana ha trattenuto i lettori o ha fatto arrestare i recensori del Novecento, spesso davvero oltremodo frettolosi, sulla soglia della indagine e della analisi, il divario può oggi essere colmato proprio nella rilettura fuori di pregiudizi, tentennamenti, fuori da riserve originate in paragoni. Da lontano, insomma, agendo una modalità sciolta da legami stringenti con i predecessori, con la calma data da un tessuto che era e non è più. Del quale Volponi è stato testimone attento e scrittore-interprete.

Per tale motivo gli studi contenuti in Volponi estremo, in definitiva, senza rifiutare, a mio giudizio, il meglio della critica passata pur taciuta anche in nota o forse anche grazie a questa partenza, consegnano un autore di una modernità sconvolgente. Propositivo. E perciò indimenticato. Iniziatore di una narrativa e di una poesia “in avanti” ma non dipendente da un’avanguardia improduttiva pur rompendo schemi tramandati, abusati nei suoi tempi (di oggi c’è solo da tacere!) benché in apparenza nuovi. Un autore la cui mancanza segna il vuoto nelle lettere odierne. Da riempire, tale mancanza, con la rilettura della sua opera tutta. Mai di intrattenimento salottiero e da comodino, scalda il cuore ma non lo addormenta perché, non consolatoria – conflittuale come è –, spinge a pensare e ripensare la vita che si vive: da vivere, da cambiare.

Recensione
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