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L’arte della
realtà. Prime note sulle scritture di Velio Carratoni
Saggistica. Un
critico, nell’analizzare e valutare l’opera di un autore – nel caso di un autore
del calibro di Velio Carratoni – incontra non poche difficoltà sui
significati, sia di un singolo pezzo che dell’insieme di una data
produzione. Peraltro, l’indiscutibile per competenza saggio di Lanuzza
rappresenta la garanzia di una visuale il più possibile svincolata da ismi
o linee tendenziali.
Eppure, già dal titolo, il lettore è obbligato a porsi
delle domande. La realtà, cos’è effettivamente? non si dà il caso che il
libro con le parole incluse ne faccia parte? L’intento oggettivo non di rado
potrebbe arenarsi davanti al fattore ‘visuale’ che non riesce mai a connettersi
tra l’espressione e il senso originario, tanto da dar adito in letteratura a
diverse interpretazioni. Tuttavia la narrativa di Carratoni pare avere il
corpo quale referente, su cui costruire racconti e romanzi contrassegnati da
uno stile personale.
A quel che pare vivere nel presente vuole indicare “un
principio di narcisismo”, ed è l’io uno dei misteri dell’esistenza, però
se osserviamo il problema sotto il profilo del tempo, tutto affiora nel
presente per poi scomparire in un passato la cui memoria è comunque nel
presente. Se dico, questo libro è del secolo XVI, ho però il libro nel
presente. Ecco le difficoltà di intervenire sul piano narrativo, che
ancorché sostenuto da logica e inventiva ci sfugge a ogni istante. L’eros, poi,
è senza dubbio un fenomeno su cui occorre soffermarsi. Creature prive di eros
non potrebbero che a stento perpetuare la specie: qualcuno ha affermato
trattarsi di un trucco della natura la cui primaria funzione è per l’appunto far
sì che la specie non si estingua.
Ma l’essere umano ha in un certo qual modo
sviato tale funzione, facendone il fine del proprio piacere. Carratoni dunque
intreccia le premesse di una sessualità che si disperde nel gioco dei
sentimenti, per approdare perfino alle ripugnanti sostanze dell’atto. Veramente
interessante il Carratoni critico musicale: Lanuzza ci riporta ai contenuti, e
una visione sui musicisti deve quasi per forza collegarsi a gusti ed esperienze;
infatti, se c’è qualcosa di poco oggettivo, malgrado i tentativi di alcuni
compositori, è proprio la musica. Citiamo, per una vicinanza psicologica,
Honegger, in quanto il suono qui si unisce a una destinazione che tenta, se non
altro, di superare la dicotomia tra materia fonica e percezione emotiva.
Per Honegger si suppone una “profonde signification intérieure” (W. Tappolet) e
questo ci dice che anche in musica ognuno può ‘sentire’ ciò che vuole. Il
livello qualitativo della narrativa carratoniana è infine confermato dal
racconto eponimo a chiusura del volume: la prosa talora minuziosa o deviante nel
confronto del tema è la conferma di un autore che non soggiace a strette regole
di scrittura (siamo perfettamente d’accordo sul termine scritture
adottato nel sottotitolo). Sono tre pagine di uno stile accorto e pungente,
capace di lasciare in sospeso ciò che il lettore vorrebbe apprendere
ulteriormente. Prosa che va seguita frase per frase in maniera da svelare tutta
la potenza evocatrice e formale che contiene.
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Recensione |
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