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L’ora felice. Nuovi canti di Tuscia
Poesia. L’autore ci avverte che alcuni testi sono stati rielaborati, i più
datati risalenti secondo la pubblicazione al 2010: sarebbe interessante un
paragone per verificare cos’è cambiato e per quale motivo; peraltro molti autori
hanno rielaborato le loro opere anche da distanza di decenni, ma in tal caso la
domanda è: si perde l’originale? fermo restando il principio che ciascun
autore è padrone della propria scrittura.
Qui invece vorremmo partire dalla
lirica che introduce, per ragionare già su quel giardino che potrebbe
divenire spirituale, ossia proiezione della propria identità e del pensiero che
la sostiene. A volte, anche in modo inconscio, affiorano simboli e miti che
vanno a incidere sull’ispirazione, questo perché l’essere umano, per quanto
nella società odierna sia distratto da una enorme quantità di informazioni,
internamente conserva, forse per archetipi che si trasmettono, una remota
memoria del passato.
Quindi l’impressione che le poesie, o meglio, i nuovi canti
di Tuscia, siano soltanto momenti di un mosaico descrittivo, va esplorata a
livello più profondo, proprio a iniziare da Tuscia, soggetto in grado di
suscitare immagini che al loro interno presentano contenuti ben più pregnanti,
pur confermando la bellezza di un dettato poetico capace di rinnovarsi sino a
incidere sulla forma: si osservi l’efficace incipit “Oro | il tempo di
vento di una foglia” in cui immediatamente si staglia con geometrica precisione
una qualità sintetizzata in una parola che può essere sostantivo e aggettivo.
È
però uno dei numerosi registri in cui il poeta si esprime: ciò rende la materia
linguistica più duttile senza nulla perdere delle sue potenzialità. Difatti,
ogni scrittura si svolge sovente su un piano potenziale, evidenziando soltanto
una parte dei significati. La natura dunque diventa un aspetto del pensiero,
tanto che si trasforma in una libreria, di conseguenza è il paesaggio che
ci parla e rappresenta elemento vivo dell’esistenza, istituendo tra l’individuo
e il mondo naturale un vincolo quasi indissolubile. Muovendosi allora tra
diversi sistemi tecnico-espressivi le poesie colgono le varie risonanze esterne
e interne, completando in tal modo una sintesi persino nei tratti di maggiore
espansione semantica. Tutto questo facendo uscire il nitore dell’immagine, come
l’ala dell’inverno, e nei particolari la già citata simbologia si propaga in
ogni dato descrittivo, per esempio gli asfodeli sul cui valore
emblematico collegato ad altre reminiscenze classiche ci sembra inutile
insistere.
Siamo convinti che un testo non sia mai compreso e annotato in modo
esaustivo, e sembra dimostrarlo “Chiodi di pace” in Veronica di sole: vi
sono vocaboli che in apparenza creano una specie di antitesi per il loro senso
che, se sfugge alla metafora, nel contempo si unisce in una simbiosi,
indicazione probante di come la scrittura apra orizzonti inesplorati qualora si
intenda sottoporla all’indagine o all’interpretazione. Un verso come “Dio è
pietra nella notte divelta” ci introduce a più serrate analisi: la pietra
subisce tramite i versi delle mutazioni, e non a caso il poeta ‘dovrebbe’
affermare che la pietà tramuta la pietra in luce, sino a coagularsi in
pietra-luce. Tornando a quei valori simbolici che connotano la raccolta,
riaffiora l’idea che non soltanto i rapporti siano antitetici, ma che la poesia
aneli a una eternità, sia pure sotto le parvenze della materia, e il riflesso
sulla parte verbale sembra tradurre la realtà, al fine di collocarla in
un luogo assoluto — e qui come si vede i luoghi assumono un loro spiccato
carattere.
Se parzialmente ci è dato di plasmare il mondo sensibile, nasce al
suo posto la possibilità di plasmare il linguaggio, un contraltare tra corpo e
spirito che prosegue nel tempo e secondo i vari periodi. Per chiudere il cerchio
si riprende il titolo, L’ora felice; e sorge spontanea la domanda: cos’è
la felicità? forse ‘nascondersi’ e vivere intimamente con la natura? Ma
riusciamo a individuare un’altra felicità: quella creativa, scrivere poesie e
ascoltare il loro messaggio.
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Recensione |
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